Religione

"Anche se Dio non esistesse, la Religione sarebbe ancora Santa e Divina", dice Charles Baudelaire nei suoi 'Scritti Intimi'; e ancora: "Il prete è incommensurabile perchè fa credere a una quantità di cose strabilianti". Il rapporto del dandy con la religione e assai ambiguo, e, per parlare di ciò, si deve viaggiare nell'inespresso dei dandy ottocenteschi che, da terribili "mangiapreti", sono passati alla vita evangelica come niente fosse. Forse perchè, abituati al culto di se stessi, non cambierebbe per loro il culto di una divinità non troppo diversa da loro medesimi?

"Sono entrato nella chiesa, che è moderna, dunque brutta sia fuori che dentro. Come ci ferisce ogni cosa del nostro tempo! C'è però la bellezza delle macchine. Ho cercato una volta di raccogliermi e - oserei dire - di pregare nella pace di una centrale elettrica, dove c'èpiù ordine e più armonia che in una chiesa ingombra di sedie e di grotteschi san Giuseppe, con le labbra imbellettate, la barba riccia, la sottana teatrale, mentre dovrebbero quantomeno portare i pantaloni, come tutti." (Pierre Drieu la Rochelle, "Diario di un delicato").

Beardsley si fece cristiano poche settimane prima della sua fine; sentendola arrivare, si ritirò in un convento assieme ai suoi famigliari. Wilde Illustrazione di Aubrey Beardsley.fece lo stesso: uscito di prigione, assai malridotto, si convertì al cristianesimo, come per tener fede ad una sua affermazione fatta anni prima: "Posso credere in qualsiasi cosa purchè sia incredibile. Per questo voglio morire da cattolico. Ma da cattolico non vivrei: il cattolicesimo è una religione così romantica, ha santi e peccatori... La religione anglicana ha solo persone rispettabili che credono nella rispettabilità. Fa i vescovi non in base alla fede, ma all'incredulità!". Baudelaire aveva un rapporto assai strano con Dio: egli infatti confessa di parlargli, di pregare, ma subito dopo dice di non credere nella sua esistenza; dà del 'cuistreuse' ai preti, ma poi li dice 'incommensurabili' e degni del miglior rispetto; fa anche un calcolo vagamente pascaliano, a favore dell'esistenza di Dio: "Non esiste nulla senza scopo. Quindi la mia esistenza ha uno scopo. Quale scopo? Lo ignoro. Non sono stato dunque io ad averlo fissato. E' stato dunque dualcuno che ne sa più di me. Bisogna dunque pregare questo qualcuno d'illuminarmi. E' il partito più saggio." (Scritti intimi - il mio cuore messo a nudo).

Chiaramente il dandy ha un rapporto ambiguo e contraddittorio colla religione. Credendo in Dio e, si badi bene, non adorandolo, egli vuole però esprimere col suo comportamento e il suo stile di vita il suo disprezzo per esso; casomai, il dandy si sente molto più vicino al diavolo: un escluso dalla società costituita; innamorato della bellezza e del lusso e, in amor di questo, colpevole di aver vestito abiti raffinati e intrapreso le mali arti della seduzione. La veste, l'ivolucro, l'arte del dandy diventano allora quell'abito che, se "fa il monaco", fa, a maggior ragione, il diavolo. Il superbo. L'antagonista. L'orgoglioso. Il fratello del Verbo. L'ispiratore. Il tentatore. Il serpente. Ma è anche il gentleman dostoevskijano che appare a Ivan Karamazov: sulla cinquantina, i capelli appena imbiancati ma lunghi e folti, barbuto, ben vestito anche se fuori moda, con una sciarpa, il cappello di feltro, occhiali con cerchi di tartaruga, sicuramente molto povero... E anche il Pluto della "Gerusalemme liberata" di Tasso, il Mefistofele goethiano, l'Arimane di Leopardi...

Se il dandy è il diavolo, il suo comportamento dimostra che considerare il diavolo come opposto al bene non è che un'eresia manichea. Si può credere all'esistenza del dandy (e alla sua inesistenza) quanto a quella del diavolo; anche se, suppone Baudelaire, la maggior astuzia del diavolo "sta nel far credere di non esistere". O di stare dove non è.

Il dandy non pretende di esorcizzare il dolore e il disagio; non crede al paradiso in terra, al buonismo, al politically correct; ma solo all'apparenza della propria differenza dandone testimonianza. Procedendo a caduta libera come l'angelo decaduto; come un solitario ricercatore, un amante senza desiderio: conscio che l'obolo da pagare al Dio senza cuore - al quale, per mancanza di avidità, non ha mai chiesto niente - sarà la propria dannazione. Una dannazione che è l'unica, possibile, vera opera di poesia: "Non c'è opera poetica in cui non si possa percepire, come enigma della sua vitalità, questa ineludibile opposizione spirituale del Demonio. Il poeta che ne prescinde ne resta solo, senza poesia" (Josè Bergson, in "Importanza del Demonio", 1933). E' forse per questo che Lucifero, il Grande Ribelle, il Lucifero dantesco, piange: "con sei occhi piangeva"...

"Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori, Tutto il mio cristianesimo è in questa certezza, che ho tentato di comunicare agli altri nel mio libro 'La pelle', e che molti, senza dubbio per eccesso di orgoglio, di stupida vanagloria, non hanno capito, o han preferito rifiutare, per la tranquillità della loro coscienza. In questi ultimi anni, ho viaggiato spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio, è tra i vinti. Non perchè mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell'umiliazione, ma perchè l'uomo è tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell'umiliazione. L'uomo nella fortuna, l'uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità, l'uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore, è uno spettacolo ripugnante." (Curzio Malaparte, commentando il suo romanzo "La pelle").