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L'ORMAI ABBANDONATA FIGURA DEL DANDY
di Andrea Soardo

Il dandy, così come il quatorzieme di cui racconta Simmel o il flaneûr di Benjamin (questi due possono essere considerati suoi aspetti o momenti particolari), è una figura dell’ inutile; anzi, possiamo, senza incertezza, affermare che egli, erede e rielaboratore dell’ esteta classico (di cui, come uno dei più degni rappresentanti, vogliamo pensare il poeta latino Orazio), sia la forma più sublime ed essenziale dell’ inutile.

Cosicché, questo grande personaggio è destinato, tragicamente, a costituirsi come elemento di contraddizione all’ interno della stessa anima occidentale; per cui, l’ utile, l’ azione sempre at-tesa a pro-durre qualcosa di "significativo" – ed in questo concetto di produzione, includiamo sia le sue declinazione più nobili che più prosaiche –, rappresentano, sin dalle sue origini, principi fondamentali di senso. Il dandismo, non a caso, si afferma nella sua pienezza, proprio quando questa logica dell’ occidente incomincia il suo estremo ed onnipervasivo dispiegamento: ricordiamo, infatti, che proprio negli anni in cui nasce il mito di George Bryan Brummell 1 (1782-1840), detto il Beau, per la storia il primo dandy ufficiale (al cui riguardo Alexandre Kojève afferma: "Tre uomini l’ hanno capito nello stesso momento: Hegel, Sade e Brummel. Sì, sì, Brummel ha compreso che dopo Napoleone non sarebbe più stato possibile essere soldati" 2 ), Friedrich Schiller lamenta nelle sue Lettere: "L’ utile è il grande idolo del tempo, che tutte le forze debbono servire e a cui tutti i talenti debbono rendere omaggio" 3 .

Il dandy, per contro, in quanto cercatore della bellezza è già sempre estraneo ad ogni logica d’ interesse: in questo senso, è d’ aiuto la grande lezione estetica di Kant, la quale ci ricorda che "unico e solo quello del gusto del bello è un piacere disinteressato [uninteressirtes] e libero" 4 , "il giudizio di gusto è […] indifferente riguardo all’ esistenza dell’ oggetto" 5 ; Heidegger stesso, proprio intorno a questo discorso, afferma: "Che cosa significa "senza alcun interesse"? interesse è il latino mihi interest. Mi importa di qualcosa; avere un interesse per qualcosa vuol dire: volere avere qualcosa per sé, possederla, adoperarla e disporne" 6 , "per trovare bello qualcosa, dobbiamo lasciare che sia ciò in cui ci imbattiamo a venirci dinanzi puramente come tale, nel suo proprio rango e nella sua dignità" 7 . Sempre dall’ insegnamento kantiano, si esperisce tutta la finitezza dell’ agire umano rispetto all’ evento della bellezza: il fatto che il bello sia "ciò che piace universalmente senza concetto 8 [ohne Begriff]" 9 , evidenzia l’ impossibilità a rendersi incondizionati padroni del superficiale mistero del bello, lo stesso genio è, appunto, un "dono", il nostro fare può creare le condizioni per l’ accadere della bellezza (in questo senso il ruolo dell’ artista, in quanto modo d’ essere dell’ uomo), ma non porsi come causa assoluta.

Detto questo, veniamo ora alla ragione per cui, la figura del dandy è presente in questo cammino. Il dandy rappresenta, a nostro parere, la risposta umana adΆδράστεια, al regno della gettatezza, e, a quella condizione di apolide nell’ essere – in virtù di quanto abbiamo detto intorno alla questione della sensatezza –, di stranierità rispetto alla sua stessa origine, che ci caratterizza 10 .

Come scrive Baudelaire: "Il Dandy deve aspirare ad essere sublime senza interruzione; deve vivere e dormire dinanzi a uno specchio" 11 . L’ inesausta fatica del dandy è essere Signore del proprio esser-gettato, dei suoi originari vincoli, è ciò a determinare la sua sublimità; cosicché, l’ indifferente freddezza, che in ogni istante egli lascia trasparire, è quella di chi vive la vita come ne fosse il suo creatore, che da nulla può essere sor-preso poiché sta al di là di tutto. In questo senso, anche Baudelaire ritiene, che il dandismo confini con lo "stoicismo" 12 : "Un dandy può essere un uomo cinico, può essere un uomo che soffre, ma, anche in questo caso, egli sa sorridere come lo Spartano addentato dalla volpe" 13 . Infatti, dinanzi a quello specchio, suo inseparabile compagno, egli prova a guardarsi anche con gli occhi di quella gettatezza, prima sua nemica, che mina indefessa la sublimità della sua persona. Questo assurgere al punto di vista della sua avversaria è segno del tratto di sfida, di eroica rivolta che la figura del dandy porta costitutivamente con sé: lo specchio serve a non cadere in fallo, a controllare, in ogni istante, di esseri degni di quel sublime, non concedendo, così, neppure per un momento, soddisfazione adΆδράστεια.Lo stesso abito, immagine esteriore del dandy, è, prima di tutto, un "simbolo" 14 , un monito continuo a corrispondere, confermare quel significato che funge anche da veste: in tale senso l’ abito è sempre anche maschera, infatti, come afferma Kerényi: "la maschera […] crea una relazione tra l’ uomo che la porta e l’ essere che rappresenta" 15 , essa "è lo strumento di una trasformazione unificatrice" 16 .

Al fondo di queste costanti fatiche sta il sincero culto di sé, l’ amore profondo per la propria singolarità, profondo perché consapevole che massimo atto d’ amore può essere proprio decidere, o quantomeno cimentarsi, a non amare affatto, scegliendo, così, di liberare l’ anima dal peso del legame con se stessa; in questo senso, il dandy non cede, a discapito di se stesso, alle seduzioni o ai ricatti della vita (sotto questo aspetto, egli è vicino al Persuaso di Michelstaedter), l’ amore per essa non deve mai superare l’ amore che nutre per se stesso.

Ovviamente, tale attività non viene intrapresa gratuitamente, in maniera infondata, bensì, in virtù della consapevolezza che il dandy ha del proprio intrinseco valore, della propria essenziale aristocraticità; egli non si muoverebbe affatto se sapesse di essere immeritevole di tante attenzioni, se non trovasse degna bellezza nella propria singolarità, bellezza meritevole d’ essere dispiegata e custodita; insomma, il dandy combatte sempre per una giusta causa, un senso. Come scrive Baudelaire: "[i dandy] sono rappresentanti di ciò che vi è di migliore nell’ orgoglio umano, del bisogno, troppo raro negli uomini di oggi, di combattere e distruggere la volgarità" 17 , il dandismo è "il progetto di costituire una nuova specie di aristocrazia" 18 , "l’ ultimo bagliore di eroismo nei tempi della decadenza" 19 .

Cosicché, "il carattere di bellezza del dandy consiste soprattutto nell’ aria fredda che nasce dall’ incrollabile risoluzione di non essere commosso; si direbbe un fuoco latente che si lascia appena scorgere, che potrebbe ma non vuole ardere" 20 .

Il dandy, infatti, è ben consapevole della sua condizione, di essere "charme d’ un néant follement attifé", sa che la vita, i suoi eventi – gioie, sofferenze, amori - trascendono il senso, la logica umana; in tale consapevolezza si radica quel sentimento di nostalgia che accompagna, di tanto in tanto o spesso, questa figura. Tale nostalgia rimanda ad un altrove (una Heimat), tanto possibile quanto impossibile, dove le cose accadono proprio secondo quel senso, quella logica, dove il singolo che le vive è anche il loro Dio, le fa avvenire secondo la sua volontà, è il loro legislatore; per questo motivo, il dandy, immagine dell’ eccesso, predilige, talvolta, quando lo ritiene, per gli aspetti per lui veramente fondamentali, rimanere, agli occhi dell’ esistenza, "un fuoco latente, che potrebbe ma non vuole accendersi": infatti, alle reali profferte della vita, qualora esse non fossero conformi ai suoi progetti, il dandy preferisce, comunque, il sapore, solo possibile, delle cose da lui contemplate: ad una gioia reale, ma non conforme ai suoi pensieri, sceglie la possibilità della gioia, quale, secondo lui, dovrebbe essere.

In questo prospettiva, emerge, ancora una volta, la sfida nei confronti d’ un esistenza che sempre eccede l’ umanità, e, per di più, il carattere estremo della figura del dandy, il quale è consapevole che il compromesso non ha nulla a che vedere con la bellezza ed è, pur sempre, concedere soddisfazione.



1- A tale riguardo, si veda la storica opera di J. A. Barbey d’ Aurevilly, scrittore francese, contemporaneo di Baudelaire: Du Dandysme et de George Brummell, 1844, tr. it. George Brummell e il dandismo, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1994.

2- Intervista a Alexandre Kojève di Gilles Lapouge, 1968, tr. it. A. Kojève, Il silenzio della tirannide, Adelphi, Milano 2004, p. 239.

3- F. Schiller, Ůber die ästhtetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen, 1795, tr. it L’ educazione estetica, Aesthetica, Palermo 2005, p. 24.

4- I. Kant, Kritik der Urteilskraft, 1790, tr. it Critica del Giudizio, Laterza, Roma-Bari 1960, p. 85.

5- Ibidem, p. 83

6- M. Heidegger, Nietzsche, p. 115.

7- Ibidem, p. 116.

8- Corsivo nostro.

9- I. Kant, Kritik der Urteilskraft, p. 105.

10- Ci si riferisce qui alla condizione dell’ esser gettato che, alla luce di questo percorso metafisico, non è istanza solo umana, ma cifra di tutto l’ essere.

11- C. Baudelaire, Mon coeur mis à nu, 1867, tr. it. Opere, Mondadori, Milano 1996, p. 1417.

12- C. Baudelaire, Le peintre de la vie moderne, 1863, tr. it. Opere, p. 1303.

13- C. Baudelaire, Ibidem, p. 1303.

14- C. Baudelaire, Ibidem, p. 1303.

15- K. Kerényi, Mensch und Maske, 1948, tr. it. Miti e misteri, Bollati Boringhieri, Torino 1979, p. 342.

16- K. Kerényi, Ibidem, p. 343.

17- C. Baudelaire, Le peintre de la vie moderne, p. 1304.

18- C. Baudelaire, Ibidem, p. 1304.

19- C. Baudelaire, Ibidem, p. 1304.

20- Corsivo nostro, C. Baudelaire, Ibidem, p. 1306.