Il disegno riportato qui a fianco è un autoritratto di Charles Baudelaire eseguito con molta probabilità attorno al 1844, data in cui il poeta, ancor in giovane età, aveva lasciato la famiglia per trascorrere una vita fatta di piaceri dissoluti, dispendiosa e raffinata, insomma, una vita da dandy. Pochi sanno però che l'acquarello qui a lato fu eseguito dal poeta in una condizione ben particolare: egli infatti era stato invitato dall'amico Charles Cousin in casa d'un conoscente a provare uno stupefacente orientale, lo hascisc. L'acquarello venne eseguito sotto l'effetto della droga e subito donato a Cousin. Presto il poeta si diede all'oppio, e secondo lui "l'oppio dilata quel che non ha limiti, prolunga l'illimitato, approfondisce il tempo, sviscera la voluttà, e riempie l'anima oltre ogni limite di piaceri neri e cupi"; il suo lungo saggio sui "Paradisi artificiali" è un lungo elogio seminascosto alla sostanza i cui effluvi avranno in futuro una buona parte nella paralisi mortale del poeta. D'Annunzio era invece affezionato alla cocaina, sua "polvere folle", che prendeva volentieri assieme ad un'amante per passare le lunghe giornate al Vittoriale. Rigaut sperimentò ogni tipo di droga, dall'oppio all'eroina, come in un dolce apprendistato alla morte. Suo caro amico, Drieu la Rochelle, trovava l'oppio come "il vizio dei portinai" (così lo definisce in "Fuoco fatuo"), ma sembra non disdegnasse altri tipi di droghe, anche se le testimonianze sono assai discordanti in proposito. Impossibile non citare, infine, il lungo e doloroso rapporto di Cocteau con l'oppio. Iniziato alla droga in gioventù, ne era diventato Qui sopra: L'assenzio, 1876. Olio su tela di Edgar Degas.dipendente solo dopo la prematura morte di Radiguet, il ragazzo da lui amato; sconvolto poi dall'importanza pressante che l'oppio cominciava ad assumere per lui aveva finito col ricoverarsi in una clinica di disitossicazione. Qui i medici, oltre a riconoscerne l'originalità come paziente (si stupivano che un letterato e uomo di mondo come lui fosse caduto nel 'vizio') lo curarono dalla dipendenza, ma non dalla nostalgia che il poeta provava ora per il mondo che quella sostanza era stata in grado di creargli. "Guarito mi sento vuoto, povero, scorato, malato, ondeggio. Esco dopodomani dalla clinica. Uscire dove?". Il rapporto del dandy con la droga è apparentemente contraddittorio; egli da un lato, conscio della volgarità e stupidità del mondo, è tentato di rifuggere nei paradisi artificiali; dall'altro non sopporta più di tanto d'essere schiavo di qualcosa, e giunge quindi per lui il momento d'eliminare la dipendenza creatasi.