ATTI DEL PROCESSO AD OSCAR WILDE (ESTRATTI) Un secolo ci separa dall'epoca di Oscar Wilde. Mica poco. E a prima vista si potrebbe essere tentati di dire che le (dis)avventure di un esteta decadente nell'Inghilterra di fine ottocento non hanno niente a che fare con noi. Ma Oscar Wilde era molto più "avanti" rispetto alla sua epoca. Non per niente amava ripetere che "essere prematuri è essere perfetti". L'epoca di Oscar Wilde è quella dell'Inghilterra vittoriana. Un'epoca in cui la nobiltà, la detentrice tradizionale del potere, lo condivide con una nuova classe sociale: la Rivoluzione Industriale, infatti, ha prodotto una borghesia tronfia e soddisfatta di sè, tanto più arroccata su questo potere conquistato quanto più si vede minacciata dalle idee socialiste. L'ideologia nata dalla Rivoluzione Industriale vuole inserire l'Arte nella grande macchina della Produzione. All'Arte si richiede di "produrre" idee, sentimenti, concetti. Di essere "utile". Come se l'Arte fosse l'ennesima impresa mercantile votata esclusivamente al profitto. In una parola, all'artista si richiede non Arte, ma Artigianato. Solo l'artista che opera in questo senso con opere "edificanti" e "positive" può sperare di ottenere un riconoscimento sociale. Chi non si adegua viene respinto ai margini della società. Nasce un attrito fra artista e borghesia, e la figura romantica dell'artista ribelle e reietto si delinea per la prima volta proprio in questo clima. Molte sono le voci che si levano in difesa di una concezione libera dell'arte, riassunta nel motto "l'art pour l'art" (coniato, forse, da Victor Hugo). E lo scontro ideologico fra artisti e borghesia raggiunge il suo apice proprio poco dopo la metà del secolo. E' l'epoca delle opere "scandalose" di Baudelaire e Flaubert, entrambi al centro di clamorosi processi per "immoralità". In Inghilterra, verso il 1880, l'amore per l'arte ha ormai preso le pieghe di una vera e propria moda (un trend, diremmo oggi); diventa "trendy" collezionare oggetti d'arte, occuparsi di arredamento, curare meticolosamente il proprio abbigliamento. Si respira un'aria di languorosa decadenza "fin-de-siècle", e si diffonde un non ben definito "vangelo estetico" di cui uno dei più accaniti divulgatori è un certo Oscar Wilde. Irlandese di nascita (è nato a Dublino nel 1854), forgiato culturalmente da ottimi studi classici, nel 1882 Wilde è una figura popolarissima nei salotti della buona società, e una vera e propria manna per i cronisti mondani. Ma nel 1883 il giovane Oscar imprime una svolta alla propria carriera. Finora la sua creatività ha prodotto solo qualche poesia, e di non eccelsa qualità. Ora Oscar invece comincia a scrivere freneticamente, e scrive di tutto: saggi, poesie, commedie, racconti, fiabe. Molte sue commedie ("Il ventaglio di Lady Windermere", "L'importanza di essere probo") sono successi. Le sue fiabe ("Il gigante infelice" "Una casa di melograni") diventeranno popolarissime. Ma Wilde si rivela essenzialmente un saggista. Ed è soprattutto nei saggi che Wilde combatte la battaglia del secolo, in difesa della libertà dell'arte contro il filisteismo vittoriano. Al materialismo di una borghesia pragmatica, tutta tesa a "fare" e "produrre", Wilde oppone critiche argute, puntellate con sentenze lapidarie e solo in apparenza paradossali: "Non c'è paese al mondo che abbia bisogno di persone poco pratiche quanto il nostro". E ancora: "Non fare assolutamente niente è la cosa più difficile del mondo (...) è per non fare niente che esistono gli eletti." Paradossi, certo, battute. Che vengono prese per quello che sono. Ma più Wilde scrive, più affonda il coltello nel ventre molle delle convenzioni borghesi. Nel 1886 Wilde è ricco e agiato. Ha sposato la figlia di un avvocato di Dublino, Constance Loyd, che gli ha dato due figli, e vive nel lussuoso quartiere di Chelsea a Londra. Ma non è cieco al punto da non vedere le piaghe del mondo in cui vive, e le condizioni disperate in cui versano migliaia di persone. Scrive: "Quelli che oggi sono considerati criminali non lo sono affatto. E' la fame, non il peccato, il padre dei delitti moderni." E' un socialista, Wilde? No di certo. E' troppo colto, troppo disincantato per lasciarsi ingabbiare dai dogmi. E, soprattutto, mette l'Individuo dinanzi a tutto il resto. Verrà il giorno, profetizza, in cui "lo Stato farà ciò che è utile. L'individuo farà ciò che è bello." La società di massa, così come noi la intendiamo, è ancora di là da venire. Ma Wilde -che guarda più lontano dei suoi contemporanei- la vede all'orizzonte, vede l'omologazione del pensiero, l'intorpidimento delle coscienze, la volgarità eletta a sistema. La salvezza dell' Individuo, afferma, è nella sua affermazione, e l'affermazione dell'Individuo si realizza nell'Arte, non nel Mercato. "Un individuo costretto a fabbricare oggetti per l'altrui uso, e tenendo conto degli altrui bisogni e desideri, non lavora con interesse, e quindi non può mettere nel suo lavoro quanto c'è di meglio in lui. D'altro canto, quando una comunità o un settore potente di una comunità, o un governo di un qualsiasi tipo tenta di dettare all'artista ciò che egli deve fare, l'Arte scompare del tutto, o diventa Stereotipo, o degenera in una bassa e ignobile forma di artigianato. L'opera d'arte è il risultato unico di un temperamento unico. La sua bellezza deriva dal fatto che l'autore è quello che è. Non ha niente a che fare col fatto che altri vogliano quello che vogliono. Nel momento in cui un artista prende atto di quel che vogliono gli altri, e tenta di soddisfare la richiesta, cessa di essere un artista e diventa un artigiano noioso o divertente, un commerciante onesto o disonesto." Certo, queste parole non sono proprio quelle che una borghesia di commercianti e artigiani vuole sentirsi dire. Chi si crede di essere questo dandy molliccio, presuntuoso e perdipiù -dicono- anche frocio? La rivoluzione industriale ha portato la stampa, e la diffusione della stampa ha diffuso l'alfabetizzazione in strati della popolazione sempre più larghi. Non è necessariamente un male, anzi. Eppure Wilde annota sarcastico: "Qual'è la differenza tra il giornalismo e la letteratura? Il giornalismo è illeggibile, la letteratura non viene letta." E dato che, come abbiamo detto, Wilde guarda molto più lontano degli altri, vede un fantasma per ora senza nome, e che solo un secolo più tardi sarà chiamato "kitsch", il cattivo gusto di massa. E annota: "Il pubblico chiede continuamente all'Arte di essere popolare, di compiacere la sua mancanza di gusto, di adulare la sua assurda vanità, di dirgli quello che gli è già stato detto, di mostrargli quello che dovrebbe essere stufo di vedere, di divertirlo quando è appesantito dopo avere mangiato troppo, e di distrarre i suoi pensieri quando è stanco della sua stessa stupidità. L'Arte non dovrebbe mai cercare di essere popolare. E' il pubblico che dovrebbe cercare di diventare artistico." Wilde rema controcorrente. Proclama la superiorità dell'Arte sulla Natura, afferma che il Critico deve essere più colto dell'Artista, che il Peccatore ci insegna più cose del Santo. Le sue teorie paradossali agitano le acque del mondo letterario. Ma lo scontro tra Wilde e la società del suo tempo diventa una vera e propria battaglia in occasione dell'uscita del suo romanzo, "Il ritratto di Dorian Gray". Molti critici attaccano il romanzo, accusandolo di oscenità. Il critico della "St James Gazette" scrive che il libro dovrebbe essere "gettato nel fuoco". Wilde non si tira indietro. Si difende proclamando l'indipendenza dell'arte dalla morale, e rifiutandosi di rinnegare in alcun modo il romanzo. Anzi, lo sostiene appassionatamente scrivendo ai critici e alle testate giornalistiche. Al direttore della St James Gazette scrive: <<(...) il direttore di un giornale come il suo sembra sostenere la teoria mostruosa per la quale il governo di un paese dovrebbe esercitare una censura sulla narrativa. Questa è una teoria contro la quale io e ogni letterato di mia conoscenza protestiamo con tutte le nostre forze; e qualunque critico mostri di trovare ragionevole una teoria simile, si rivela incapace di comprendere la letteratura, e di comprendere quali siano i diritti della letteratura. Tanto varrebbe che un governo tentasse di insegnare ai pittori a dipingere o agli scultori a modellare, se tenta di interferire nello stile, nel trattamento e nel materiale dell'artista della letteratura; e nessuno scrittore, autorevole o oscuro che sia, dovrebbe mai approvare una teoria che degraderebbe la letteratura molto più di quanto potrebbe mai degradarla qualsiasi libro didattico o libro "immorale".>> E ancora: "Il puritanesimo non è mai così offensivo e distruttivo come quando si occupa di faccende dell'arte". Ancora più caustico Wilde è verso il direttore dello "Scots Observer": secondo il critico di questo giornale, infatti, "Dorian Gray" sarebbe stato scritto apposta "per le classi criminali e illetterate". Wilde risponde beffardo: "Io credo che le classi criminali e illetterate non leggano altro che i giornali". E poi, serio: "Un artista, signor mio, non ha alcuna simpatia etica. Virtù e malvagità sono per lui semplicemente quello che per un pittore sono i colori sulla tavolozza. Nè più nè meno. L'artista vede che con essi si può produrre un certo effetto artistico, e lo produce. Iago può essere moralmente orribile, e Imogene immacolatamente pura. Shakespeare (...) aveva provato altrettanto piacere creando l'uno che l'altra." Nel 1891, nemmeno un anno dopo avere pubblicato "Dorian Gray", Wilde conosce Lord Alfred Douglas, giovane studente a Oxford, e intreccia con lui una relazione che non si cura troppo di nascondere. Il successo delle sue commedie e la stima di cui gode negli ambienti letterari lo proteggono dagli scandali. Ma non per molto. Il padre di Alfred lo perseguita, e nel 1895 Wilde trascina in tribunale Douglas senior. L'accusa è di calunnia. Ma la vicenda si trasforma in un boomerang per lo scrittore, che finisce processato per sodomia. In un primo momento, il pubblico ministero Carson attacca lo scrittore sul piano delle sue convinzioni artistiche piuttosto che sui suoi costumi sessuali. Ma Wilde, ferreo, non si muove di un millimetro dalle sue posizioni. "Un'opera di ingegno non è mai morale o immorale, ma solo brutta o bella". E' una dichiarazione di libertà forte ed esplicita, come forte è l'asserzione implicita in queste parole: si potrà apprezzare o disprezzare un'opera per la sua qualità artistica, ma mai per il pensiero che l'opera sottende, e quindi per le opinioni che l'autore esprime. La libertà dell'arte e la libertà di pensiero sono una cosa unica, e inviolabile. Wilde pagherà cara la sua coerenza, che l'ha spinto ad affrontare il processo nonostante il parere contrario degli amici. Forse se si dichiarasse pentito, se si dichiarasse colpevole di una generica "immoralità" nelle sue opere, potrebbe cavarsela con poco. Ma non indietreggia di un passo. Non riuscendo a incastrarlo su questo piano, Carson porta in aula alcuni giovani che testimoniano di avere avuto rapporti sessuali con lo scrittore. Wilde viene condannato a due anni di lavori forzati per sodomia. Per lui è la rovina sociale ed economica. Gli vengono tolti i figli. I suoi beni vengono sequestrati e messi all'asta per pagare le spese processuali. Internato dapprima nel carcere di Hollway, poi a Wandsworth, Wilde è infine trasferito nella colonia penale di Reading, da cui esce nel 1897. Minato nel corpo e nello spirito dalla dura detenzione, muore a Parigi nel 1900, all'alba del nuovo secolo. Qualche anno prima aveva scritto: "La società perdona spesso il criminale. Ma non perdona mai il sognatore." OSCAR WILDE ALLA SBARRA In un primo momento del processo, il pubblico ministero Carson concentra l'interrogatorio sulla personalità artistica dello scrittore. Carson cerca di "incastrare" Wilde costringendolo ad ammettere pubblicamente di sostenere e incoraggiare opere "immorali". Allo scopo, Carson tira in ballo lo scabroso racconto "Il prete e il chierichetto", di J.F. Bloxham. Il racconto, infatti, è pubblicato sul "Chameleon", una rivista di studenti che pubblica nello stesso numero il saggio di Wilde "Frasi e filosofie ad uso dei giovani". Quello che segue è un estratto degli atti del processo. Breve, ma significativo. E, soprattutto, di estrema attualità a un secolo di distanza. Cento anni dopo, la voce di Oscar Wilde risuona ancora forte e chiara nella condanna del filisteismo e nella difesa appassionata della libertà dell'arte. Vale la pena di riascoltarla. CARSON: Lei ha letto "Il prete e il chierichetto"? WILDE: Sì. CARSON: Non dubita che quello fosse un racconto sconveniente? WILDE: Dal punto di vista letterario era altamente sconveniente. Per uno che si occupi di letteratura è impossibile giudicarlo diversamente. Per "letteratura" intendo il trattamento, la scelta del tema e così via. Giudicai pessima la forma e pessimo il soggetto. CARSON: Se non sbaglio lei è dell'idea che non esistano libri immorali. WILDE: Infatti. CARSON: Posso concludere che per lei "Il prete e il chierichetto" non era uno scritto immorale? WILDE: Era peggio che immorale. Era scritto male. CARSON: Non era la storia di un prete che si innamora di un ragazzo che lo aiuta all'altare, che viene poi scoperto da un curato nella stanza del prete con conseguente scandalo? WILDE: L'ho letto una volta sola, lo scorso novembre, e per niente al mondo lo rileggerei. Non mi piace. Non mi interessa. CARSON: Lei ritiene il racconto blasfemo? WILDE: Ritengo che abbia violato ogni canone di bellezza artistica. (...) CARSON: Risponda alla domanda, signore. Considerò il racconto blasfemo o no? WILDE: Lo reputai disgustoso. CARSON: Capisco. Lo sa che nel racconto quando il prete dà il veleno al ragazzo pronuncia le parole della consacrazione del rito anglicano? WILDE: L'avevo completamente dimenticato. CARSON: E questo non lo considera blasfemo? WILDE: A me sembra orribile. "Blasfemo" non appartiene al mio vocabolario. (...) CARSON: Ho ragione se dico che lei non si preoccupa degli effetti morali o immorali che un'opera può produrre? WILDE: Giusto, è così. (...) Quando scrivo una commedia o un libro, mi occupo esclusivamente di letteratura. Cioè di arte. Non mi propongo di fare del bene o del male, ma di cercare di creare una cosa che abbia un certo grado di bellezza. CARSON: "Se si dice la verità si è sicuri, prima o poi, di essere scoperti". (...) E' (una massima, NdT) buona per i giovani? WILDE: Qualsiasi cosa stimoli a pensare è buona, a qualunque età. CARSON: Che sia morale o immorale? WILDE: Moralità e immoralità non esistono per il pensiero. Riguardano l'emozione. (...) CARSON: Cito dalla sua introduzione a "Dorian Gray": "Non esistono libri morali o immorali come crede la maggior parte della gente. I libri sono scritti bene o scritti male." Questo esprime la sua opinione sull'arte? WILDE: La mia opinione sull'arte? Sì. CARSON: Ne deduco che quando un libro è scritto bene, per quanto immorale possa essere, secondo lei è un bel libro? WILDE: Sì, se è scritto così bene da suscitare un sentimento di bellezza, che è il sentimento più alto che un essere umano possa provare. Se fosse scritto male, provocherebbe una sensazione di disgusto. CARSON: Allora un libro scritto bene, ma che sostenga principi morali corrotti, potrebbe essere un buon libro? WILDE: Nessun'opera d'arte sostiene mai dei princìpi. I principi appartengono a chi non è artista. CARSON: Un romanzo corrotto potrebbe essere un buon libro? WILDE: Non so cosa intenda lei per "romanzo corrotto". CARSON: Posso dire allora che "Dorian Gray" si presta a essere considerato tale? WILDE: Solo da parte di bruti e illetterati. Le opinioni dei filistei in arte sono di una imbecillità incalcolabile. CARSON: Un illetterato che leggesse Dorian Gray potrebbe considerarlo tale (corrotto, ndt)? WILDE: Le opinioni degli illetterati sull'arte sono bizzarre. Io mi occupo soltanto delle mie opinioni sull'arte. Di quello che pensano gli altri non mi importa un accidente.