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CRONACA D'UN PELLEGRINAGGIO IMMAGINIFICO
di Tommaso Pandolfo Fanchin (1 Settembre 2008)

"Vivo in una solitudine selvaggia e raffinata, misera e opulenta, dove le passioni ardono s'inceneriscono riardono incessantemente" Gabriele d'Annunzio

Dal piroscafo che ci portava sul lago calmo nella mattina fresca guardavo impaziente le rive punteggiate di agavi e cipressi, ville e roccia, intuendo la Gardesana occidentale che avremmo potuta percorrere se non avessimo scelta la via lacustre.

Il panama mosso e modellato dal vento che correva Carlo Zichittella e Tommaso P. Fanchintraverso gli abiti chiari, scotendoli; le gomene posate per terra in attesa dello sbarco; il rumore del motore ed il fischio della sirena – mentre i marinai giovini e scherzosi parlavano tra loro il dialetto veneto (ancorché quivi si fosse in Lombardia) che riconosco dall'infanzia –; il bianco delle paratie e della balaustrata sul quale spiccava bronzeo un tondo di invocazione Mariana; l'odore acquatico ed il nuovo sole sorto dal monte Baldo; verde, azzurro, bianco di luce, porpora della bouganville, il giallo raro del fiore dell'Agave: la traversata del lago di Garda da Gargnano a Gardone Riviera con il paesaggio ormai familiare che scorre non così velocemente da non poter essere goduto. Oltrepassata la penisola di Maderno appare sulla riva la torre Ruhland, già approdo dannunziano.

Più sopra, stagliate su l'intricata verzura, bianche, finalmente vedemmo le arche degli eroi; sopra, più alta e più bianca, l'arca del Principe. Iniziano a comparire, sulla sinistra, dopo le antenne, gli alberi ed i pennoni della Nave Rostrata, le forme gialle e rosse del Vittoriale, illuminato e fermo nella cipressaia scura, armata di nere guardie antiche, silenti, palazzo e clausura del Pescarese.

Scendemmo nella piazzetta di Gardone, con, sulla destra, l'immenso Grand Hotel – ricovero primo degli ospiti di d'Annunzio, dorato riparo di scrittori e nobiluomini (ospitò Vladimiro Vladimirovič Nabokov e William Somerset Maugham, nonché i principi von Hohenzollern; sir Winston Churchill, dal quale il bar prende il nome, vi si ritirava per dipingere nel giardino) – e, sulla sinistra, la "Promenade des Allemands".

Noi però salimmo per il versante della collina e, attraversata Gardone Alta, raggiungemmo l'ingresso del Vittoriale.

"Preserveremo l'estremo rifugio della grazia: il Vittoriale" G. d'Annunzio (da una lettera a Luisa Baccara)

Passammo oltre i tre archi fermandoci nella piazzetta dalmata. Dinnanzi a noi la facciata della Prioria, come i palazzi pubblici delle città della repubblica di Venezia, ornata dei molti stemmi e pietre, sopra le quali sta il levriere rampante "né più fermo, né più fedele".

Le guide ci dissero di attendere che si fosse formato un gruppo di una dozzina di persone; e noi, così, avemmo modo di passeggiare pel cortile. Si vede anche la bellissima Isotta Fraschini bleu chiaro del Vate.

Qualche minuto dopo oltrepassammo in silenzio la soglia della Prioria, come Gabriele d'Annunzio –con gusto francescano – ribattezzò villa Thode allorché gli fu data dal regno d'Italia dopo la confisca al legittimo proprietario, il professor Henry Thode dell'università di Heidelberg, appunto.

Il Vittoriale, a parer mio, può sempre dare sensazioni immense e all'ospite: qui visse per tredici anni Gabriele d'Annunzio, il poeta, il prosatore. L'autore di uno dei libri più eleganti che io conosca, Le vergini delle rocce, e di Il Piacere, uno dei manifesti del decadentismo, come ci fu insegnato al liceo, nonché delle molte raccolte di poesie, di opere teatrali, di interessantissimi pezzi giornalistici nel periodo umbertino. Ma soprattutto l'eroe (ed intendo la parola "eroe" senza nessun rimando bellico, dacché Gabriele d'Annunzio non fu, come ci viene sempre insegnato, un acceso militarista: non voleva neppure fare il servizio di leva; ma forse varrà la pena di affrontare questo argomento un'altra volta) dalla vita inimitabile, uno dei dandies che più seppero esprimere il proprio gusto ed il proprio stile, che seppe fare della propria vita un'opera d'arte. Come ognuno sa all'interno delle camere della residenza di Gardone c'è una moltitudine di oggetti spesso definiti bibelots, molti dei quali -ricordiamo che anche d'Annunzio,pur amante degli stili successivi, Art Nouveau, Art Déco fu figlio dell'eclettismo ottocentesco – eccentrici a tal punto da parere kitsch. Invero se si prendono in esame uno per uno, tra le preziosissime opere d'arte o di alto artigianato, v'è anche qualcosa che ci sentiremmo di dire che non vorremmo nelle nostre residenze... Ma non è questo il modo di vivere il Vittoriale. Nessun oggetto è da prendersi slegato dal contesto: tutti hanno il determinato ruolo e valore che il Principe volle dare; e solo nella totalità della camera esso può essere interamente colto.

È come entrare nel poeta e nell'eroe, il quale non finì di parlarci né con la morte terrena, ovviamente, né con i suoi scritti. La sua casa è l'ultima opera d'arte.

Con questo spirito e con queste permesse facemmo visita a Gabriele d'Annunzio nella sua dimora.

L'Epifania dello Spirito.

Tutto ciò, com'è prevedibile, fu rovinato dalla presenza di visitatori non proprio adatti,tra i quali un omino -di certo un grigio capoufficio di una grigia fabbrichetta brianzola – magro, un po' stempiato, il quale voleva sempre riconoscere Rossini in Liszt o Wagner deliziando tutti con la sua "sapienza", per la gioia della brava consorte; l'immancabile massaia cicciona che non avrebbe potuto risparmiarci la volgare battuta: "Eh, chissà quanto ci voleva per spolverare tutto...", ed infatti non lo fece; il curioso marmocchio fresco di sussidiario il quale, allorché la guida disse che il Principe non entrava mai in cucina che perciò era l'unica stanza disadorna, continuava a domandare inebetito se allora il Vate non "mangiasse mai" o " dove mai mangiasse", non potendo evidentemente concepire l'esistenza di una stanza fatta apposta per prendere i pasti...

Uscimmo comunque dalla Prioria con l'evidente sensazione di essere stati partecipi di una delle manifestazioni dell'Arte e della Bellezza, ma sempre deprecando l'impossibilità di poter visitare da soli il tempio dannunziano.

Allora ci dirigemmo verso il Mausoleo bianco sul verde scuro, ove son le spoglie mortali del Priore di Cargnacco. Carlo ed io ci sentimmo compresi dalla grandezza del Poeta che riposa su l'arca più alta, in faccia al lago ed ai monti, su quella che pare una gran radura di pietra od un palcoscenico volto a levante, come le antiche chiese, sporto sulla vita del lago; ad occidente, invece, l'entrata per le celebrazioni religiose.

Quindi la visita ai giardini, il laberinto glorioso del Priore ove ci perdemmo nel Vate, l'unico grande fattore del Vittoriale, concretizzazione della vita inimitabile.

Lo salutammo dal piroscafo diretto a Gargnano, mentre il sole ad occaso si eclissava dietro all'arca del Poeta più bianca della spuma del lago, del riflesso dei nostri abiti, degli uccelli che si frapposero per un momento tra noi e lui.