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INTRODUZIONE A JACQUES VACHE’
Tratto da "La confessione sdegnosa", di André Breton

"Più grande di me di un anno, era un giovane dai capelli rossi, elegantissimo, che aveva seguito i corsi di Luc-Olivier Merson, all’istituto di Belle Arti. Costretto a letto, passava il tempo a disegnare e a dipingere delle serie di cartoline postali per le quali inventava singolari leggende. La moda maschile dominava quasi interamente la sua immaginazione. Amava quelle figure glabre, quegli atteggiamenti ieratici che si vedono nei bar. Almeno un’ora ogni mattina la passava a disporre una o due fotografie, dei ninnoli, qualche violetta, su un tavolinetto rivestito di pizzo che aveva a portata di mano. "Mi colpì sia per il carattere studiatissimo dei modi che per il tono ultralibero delle uscite. Parlavamo di Rimbaud (che detestò sempre), di Apollinaire (che si e no conosceva), di Jarry (che ammirava), del cubismo (di cui diffidava). Credo che mi rimproverasse la volontà di modernismo che da allora… Ma in lui la cosa andava senza snobismo. "Dada" non esisteva ancora, e Jacques Vaché l’ignorò finché fu in vita. Di conseguenza fu il primo ad insistere sull’importanza dei gesti, cara ad André Gide. La condizione del soldato, poi, predispone particolarmente bene nei confronti dell’espansione individuale. "Jacques Vaché, appena dimesso dall’ospedale, si era fatto ingaggiare come facchino, e scaricava il carbone della Loira. Il pomeriggio lo passava nelle bettole del porto. La sera, di caffè in caffè, di cinema in cinema, spendeva più del dovuto, creandosi attorno un’atmosfera al tempo stesso drammatica e piena di brio, a furia di menzogne che non lo turbavano minimamente. "Devo dire che non condivideva i miei entusiasmi e che a lungo sono rimasto per lui il "poheta", uno a cui la lezione dell’epoca non ha giovato abbastanza. "Passeggiava alle volte per le vie di Nantes in uniforme da tenente degli Ussari, da aviatore, da medico. A dire il vero, non si seppe mai in quale arma prestasse servizio Jacques. Capitava che incontrandovi facesse finta di non conoscervi e proseguisse per la sua strada senza voltarsi. Vaché non dava la mano né per dire buongiorno ne arrivederci… "Il 23 giugno 1917 […] un suo messaggio, che accompagnava un disegno. Mi dava appuntamento per il giorno dopo alla prima di "Les Mammelles de Tirésias" [famoso dramma di Apollinaire che fece tanto scalpore quanto la prima esecuzione della Sacra della Primavera di Stravinskij]. Alla fine del primo atto un ufficiale inglese faceva un gran baccano in platea: non poteva essere che lui. Lo scandalo della rappresentazione lo aveva prodigiosamente eccitato. Era entrato in sala con la pistola in pugno e parlava di sparare a zero sul pubblico. A essere sinceri il "dramma surrealista" di Apollinaire non gli piaceva. Trovava l’opera troppo letteraria… "Tre mesi dopo, Jacques era di nuovo a Parigi. Venne a trovarmi. Rivedo quel lungo pastrano gettato sulle spalle e l’aria torva con cui parlava di una riuscita nella drogheria. "Mi crederete scomparso, morto, e un giorno – tutto succede – (pronunciava questo genere di formula con voce canora) verrete a sapere che un certo Jacques Vaché vive ritirato in una qualche Normandia. Dedito all’allevamento. Vi presenterà sua moglie, una figliola assolutamente innocente, piuttosto carina, che mai avrà avuto sospetto del pericolo corso. Solo alcuni libri, - pochissimi però, - accuratamente chiusi al piano superiore, attesteranno che qualcosa c’è stato". "Jacques Vaché si è suicidato a Nantes qualche tempo dopo l’armistizio. La sua morte ha questo di ammirevole, che può passare per accidentale. Assorbì, credo, quaranta grammi d’oppio, benché sia lecito supporre che non fosse un fumatore inesperto. Per contro, è più probabile che i suoi sfortunati compagni [in realtà furono ritrovati solo il suo corpo e quello di Bonnet] ignorassero l’uso della droga e che egli, scomparendo, volesse commettere, a spese loro, un ultimo tiro scherzoso."

(da "La confessione sdegnosa", in "Antologia dell'humor nero", Einaudi)