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TOBERMORY
di Saki (Hector Hugh Munro) - A cura di Silvio Belfiore

Era una giornata fredda e piovosa di fine agosto, in quell'incerta stagione dell'anno quando le pernici o sono in ghiacciaia o si nascondono in un luogo sicuro, e c'è ben poco da cacciare, a meno che non si confini a settentrione con il Canale di Bristol: in questo caso è possibile correre dietro legalmente a dei robusti cervi rossi. Ma la dimora di Lady Blemley non era contigua al Canale di Bristol, e pertanto quel pomeriggio i suoi ospiti stavano riuniti intorno al tavolo del tè. Nonostante la brutta stagione e la congiuntura tutt'altro che insolita, tra i presenti non esisteva alcun segno di nervosismo dovuto alla paura che qualcuno suonasse la pianola, e al desiderio represso di giocare a bridge. In quell'istante tutti loro si chiedevano, con stupore, chi fosse il signor Cornelius Appin, che consideravano una persona limitata e quasi negativa. Di tutti gli ospiti lì dentro era certo quello che aveva la reputazione più vaga. Circolava la voce che fosse intelligente e la padrona di casa lo aveva chiamato nella vaga speranza che questa sua perspicacia potesse contribuire al trattenimento degli invitati. Giunti al tè Lady Blemley non era ancora riuscita a capire di che tipo fosse questa sua dote, se pur esisteva. Non era né sottile né brioso, era un modesto giocatore di croquet, non sapeva ipnotizzare né era appassionato di teatro. Il suo aspetto fisico. infine, non lo ponevano fra quegli uomini, cui le donne scusano di buon grado una grossa lacuna intellettuale. In breve lì dentro era diventato solo Appin, e il "Cornelius" era da considerarsi un palese refuso battesimale.
Adesso però Appin pretendeva di aver fatto una scoperta così importante che in confronto l'invenzione della polvere da sparo, della stampa e della locomotiva erano vere e proprie bazzecole. Negli ultimi decenni la scienza aveva fatto passi da gigante in ogni direzione, ma la sua scoperta era più prossima al miracolo che al progresso scientifico.
"E lei vorrebbe farci credere di aver scoperto un sistema per insegnare agli animali a parlare?" si oppose Sir Willfrid " e che il nostro caro, vecchio Tobermory si è rivelato il vostro allievo più perspicace?"
"E' uno studio a cui mi dedico da diciassette anni, ma solo quest'anno ho iniziato a nutrire qualche vaga speranza di riuscire" rispose il signor Appin. " Ho compiuto tentativi con migliaia di animali, naturalmente, ma ormai provo solo con i gatti, queste creature stupende che vivono a loro agio nel nostro mondo, pur conservando tutti i loro evolutissimi istinti ferini. Ogni tanto ci si imbatte in un gatto dall'intelletto superiore, così come può succedere fra gli uomini, e una settimana fa quando ebbi l'occasione di conoscere Tobermory mi resi subito conto che mi trovavo in presenza di un animale dall'intelligenza eccezionale. Nei miei ultimi esperimenti mi ero più volte avvicinato al traguardo, ma solo con Tobermory posso dire di aver riportato un trionfo."
Il signor Appin terminò questa impegnativa dichiarazione con un tono di voce che tentava di nascondere la sua enorme soddisfazione. Nessuno esclamò "sono tutte balle", per quanto il signor Clovis avesse mosso le labbra, mordendosi le labbra a fatica.
"Vuole farci credere" domandò la signorina Resker " che ha insegnato a Tobermory a pronunciare e a intendere semplici frasi di poche sillabe?"
"Cara signorina Resker," ribatté tranquillo l'uomo dei miracoli " è ai bimbi, ai selvaggi e agli scemi che inseguiamo le 'semplici frasi'. Con un supergatto di grande intelligenza come il nostro non è necessario avvalerci di questi metodi poco intensivi. Tobermory può apprendere la nostra lingua in maniera perfetta."
Questa volta Clovis esclamò in modo comprensibile "che balle!"
Sir Wilfrid invece fu più educato, per quanto non credesse a una sua sola parola.
"Non è forse meglio chiamare Tobermory, in modo che possiamo accertarci con le nostre orecchie?" tagliò corto Lady Blemley.
Sir Wilfrid andò a scovare il gatto e gli altri aspettarono, rassegnati a dover assistere a uno spettacolo, più o meno ingegnoso, di arte ventriloquistica. Di lì a poco Sir Wilfrid fece ritorno in sala con un volto pallido benché abbronzato e gli occhi sbarrati dallo stupore.
"Caspita, ma è proprio vero!"
Il suo sgomento era evidente a tutti, e i presenti con un sussulto spinsero il capo in avanti, interessati a saperne di più.
Sir Wilfrid si lasciò cadere su una poltrona, e disse con voce emozionata: " L'ho trovato assopito nel fumoir e gli ho detto di venire a prendere il tè. Lui come fa sempre ha socchiuso gli occhi, e io soggiunsi: 'Andiamo, Toby, non farti pregare', e, diamine, lui mi rispose trascicando la voce come uno snob che sarebbe venuto quando ne avesse avuto voglia. La sorpresa è stata così intensa che ho fatto un salto sul pavimento e per poco non ho sfondato il soffitto.
Se poco prima le parole di Appin avevano lasciato il pubblico del tutto incredulo, al contrario ora Sir Wifrid li aveva subito messi in riga. Loro si misero a fare commenti pieni di sconcerto, e il solo Appin se ne stette tranquillo a godersi i primi risultati della sua straordinaria maestria.
Nel bel mezzo di quella confusione il gatto giunse nella sala, e camminando in silenzio e con ostentata indifferenza passò in mezzo a quella gente che stava seduta intorno al tavolo da tè.
La combriccola si zittì di botto, goffa e sconvolta. C'era qualcosa di strano nell'idea di rivolgersi da pari a pari a un gatto domestico di grande destrezza venatoria. " Vuoi bere un po' di latte, Tobermory?" gli rivolse la parola Lady Blemley con tono impacciato.
" Sì, perché no "ribatté l'animale con condiscendenza. I presenti provarono un brivido di emozione, e Lady Blemley lasciò cadere il latte nel piattino, perché la sua mano ebbe un comprensibile tremito.
E disse a guisa di scusa: "Temo di averne versato un po' fuori".
E Tobermory ribatté :" Tanto l'Axminster non è mio".
Quella gente non seppe far di meglio che tacere, finché la signora Resker, con il tono deferente che prendeva quando si recava in visita agli indigenti, gli chiese se avesse fatto fatica ad imparare la lingua degli uomini. Tobermory la sfiorò appena con lo sguardo e poi le mostrò la schiena, segno che i discorsi di quella donna garrula non lo interessavano proprio.
"Che ne pensa dell'intelligenza umana?" chiese sventatamente Mavis Pellington.
"L'intelligenza di chi, per esempio?" chiese con freddezza il gatto.
Mavis volle fare la spiritosa, e con una risatella rispose: "Be', la mia".
"Si mette in una brutta situazione" affermò Tobermory, con un piglio che poteva suggerire di tutto, salvo una traccia di imbarazzo. "Come si valutò l'idea di includervi fra gli invitati, Sir Wilfrid non fu d'accordo, in quanto vi considera la persona più stupida che abbia mai conosciuto, tanto che volle sottolineare la distinzione precisa che c'è tra l'ospitalità e la protezione dei minorati di mente. Ma Lady Blemley ribatté che vi invitava proprio perché siete priva di intelligenza, l'unica persona di sua conoscenza che può essere così stupida da comprare la loro vecchia automobile. Sapete, quella che chiamano 'l'invidia di Sisifo', perché supera a fatica le salite, quando viene spinta a braccia.
Lady Blemley protestò con tutta la sua veemenza; se non che proprio quella mattina lei aveva suggerito a Mavis che la loro automobile era la più adatta per la sua dimora nel Devonshire.
Il maggiore Barfield si affrettò a cambiare argomento, facendogli una domanda davvero infelice.
"E che ci dici delle tue orge con la gattina soriana qui nelle scuderie?"
Prima ancora che avesse finito di parlare i presenti si resero conto della gravità della gaffe.
"Certi discorsi di solito non si fanno in pubblico" rispose severo il gatto. " Una sbrigativa osservazione dei vostri modi, da quando vi trovate in questa dimora, mi lascia supporre che la trovereste assai seccante una analisi pubblica dei vostri amori privati."
Subito si diffuse il panico, che non coinvolte il solo Barfield.
"Perché" si precipitò a suggerire Lady Blemley " non vai in cucina a vedere se la cuoca ti ha preparato la cena?" E finse di non sapere che mancavano ancora due buone ore alla cena.
"Già, ma non subito dopo il tè," commentò il gatto "perché non intendo certo morire di indigestione."
"I gatti" Sir Wilfrid gli parlò con cordialità "hanno sette vite."
"Sì," gli fece eco Tobermory "ma un fegato solo."
"Adelaide" esclamò la signora Cornett "avete intenzione di lasciare che questo gatto vada a fare dei pettegolezzi sul nostro conto tra il personale di servizio?" Il panico si era ormai diffuso dappertutto. Una stretta balaustra passava davanti alla maggior parte delle camere e loro ricordavano con sgomento che questa era stata l'escursione più frequente del gatto in tutti i momenti della giornata, perché dal muretto sorvegliava i colombi... e poi entrava nelle stanze da letto e nei bagni. Se avesse avuto il ghiribizzo di abbandonarsi a reminiscenze in questo suo stile sorgivo e brutale c'era per tutti da spararsi un colpo.
La signora Cornett, il cui incarnato passava per essere rugoso e coperto di crema, era preoccupata tanto quanto il maggiore. La signorina Scrowen, che viveva casta come una suora e scriveva poesie impregnate di sensualità, era proprio seccata: chi conduce un'esistenza irreprensibile non sempre desidera farlo sapere in giro. Bertie van Tahn, già così dissoluto a soli diciassette anni da non avere più la possibilità di peggiorare ulteriormente, divenne pallido come una gardenia, ma non fu così goffo da scappare dalla stanza come fece Odo Finsberry, un giovane che pareva si accingesse a prendere i voti, e aveva orrore degli scandali che avrebbe potuto raccogliere sul conto di terzi. Clovis aveva avuto il sangue freddo di mantenersi esteriormente calmo, e dentro di sé calcolava quanto tempo ci sarebbe voluto per far arrivare dal più vicino negozio una scatola di topolini extra, con cui conquistare le simpatie del gatto.
Benché il momento fosse eccezionalmente delicato, Agnes Resker non resistette a lungo alla voglia di farsi notare. "Ma come mai sono venuta in questo posto?" si lamentò. Il gatto colse al volo l'opportunità che gli veniva offerta.
"In base a quello che ieri, sul campo del croquet, avete confessato alla signora Cornett, sareste venuta qui solo per scroccare un pasto. Avete osservato che non esistono persone più noiose dei Blemley, che tuttavia hanno l'accortezza di tenere un cuoco di alto livello, altrimenti non ci sarebbe nessuno disposto a tornare da loro una seconda volta.
"Mente, mente! La signora Cornett mi è testimone" si difese Agnes sconvolta.
"Più tardi la signora Cornett ha riferito le vostre osservazioni a Bertie van Tahn" continuò Tobermory " e ha soggiunto:'Quella donna è proprio una Marcia della Fame. Andrebbe in casa del diavolo pur di sfamarsi con quattro pasti regolari al giorno'. E Bertie van Than ha replicato..."
Tutt'a un tratto questa penosa vicenda subì una provvidenziale frenata. Tobermory aveva scorto Tom, il gattone del rettorato che passava attraverso i cespugli in direzione delle scuderie, e in un baleno era uscito dalla porta.
Scomparso quel brillante rompiscatole, Cornelius Appin fu assalito da quella gente che altercò con violenza, in preda all'ansia e al terrore. La responsabilità di quelle figuracce ricadeva su di lui e Appin temeva che la vicenda prendesse una piega ancora più brutta. Poteva Tobermory trasmettere il dono della parola agli altri gatti? fu la prima domanda cui dovette rispondere. Replicò che era probabile che avesse insegnato a parlare alla sua amica intima, la gatta delle scuderie, ma difficilmente i suoi insegnamenti potevano essersi diffusi a macchia d'olio.
"E allora Tobermory - per quanto sarete affezionati a un gatto così prezioso, e anche voi ammetterete, Adelaide - tanto lui quanto la gatta delle scuderie devono essere eliminati subito" concluse la signora Cornett.
"Non penserete che questo episodio sia stato di mio gradimento, spero?" ribatté incollerita Lady Blemley. "Mio marito e io vogliamo molto bene a Tobermory... comunque gliene volevamo prima che ci fosse questa orribile novità, e ora l'unica cosa che ci resta da fare è ovviamente quella di levarcelo dattorno."
"Possiamo spargere un po' di stricnina sui resti che mangia" osservò Sir Wilfrid " e in quanto alla gatta, la annegherò io stesso. Il cocchiere si arrabbierà nel vedersi privato della sua bestiola, ma io gli racconterò che aveva contratta una rogna contagiosa che poteva trasmettere ai cani."
"Come?! La mia grande scoperta, dopo tanti anni di esperimenti e ricerche!"protestò il signor Appin.
"Perché non continuate i vostri studi col bestiame del podere, che si trova sempre nello stesso luogo, o con gli elefanti del giardino zoologico?" esclamò la signora Cornett. "Sono animali molti intelligenti, e fra l'altro hanno una grande dote, che non si intrufolano nelle camere da letto, non si mettono sotto le sedie, e non fanno altre prodezze di questo tipo."
Un arcangelo che in preda all'estasi promulgasse il Millennio e con fastidio si accorgesse che esso combacia con la regata di Henley, e che quindi deve venire rinviato a tempo indeterminato, non si sarebbe sentito più afflitto di quanto lo fu Cornelius Appin, quando prese atto di come era stata accolta la sua geniale scoperta. L'opinione pubblica gli era tutta contraria, e se in merito al suo caso si fosse tenuta una votazione segreta, è assai verosimile che la maggioranza dei votanti avrebbe chiesto che lui stesso venisse eliminato con una dose di stricnina.
Sia perché non c'erano treni comodi sia perché erano impazienti di vedere sistemata quella vicenda, gli invitati non partirono subito, in tutti i casi il pranzo quella sera non fu festoso come altre volte. Sir Wilfrid ebbe non pochi problemi con la gatta delle scuderie, e di lì a poco col cocchiere. Agnes Resker si limitò a morsicare con rabbia, quasi fosse un implacabile nemico, una fetta di pane abbrustolito e non imburrato; invece Mavis Pellington mantenne un ostinato silenzio durante tutta la cena. Lady Blemley, per alimentare una traccia di conversazione, gettò lì qualche frase, ma aveva sempre gli occhi puntati sulla porta.
Nella credenza stava un piatto con avanzi di pesci alla stricnina, ma avevano mangiato il dolce, il formaggio e la frutta, e Tobermory non si era fatto ancora vivo né in sala da pranzo né in cucina.
Tuttavia quel pranzo funebre si poté considerare allegro, paragonato alle ore che seguirono. Il compito di mangiare e bere sotto sotto li aveva distratti, offrendo al disagio di tutti uno schermo. Dato che loro erano con i nervi tesi e di pessimo umore, decisero di non giocare a bridge, e anche la musica venne subito scartata dopo che Odo Finsberry interpretò in modo lugubre "Melisenda nella foresta".
Alle undici la servitù andò a dormire, informando che la finestra della cucina era rimasta come sempre aperta per dare la possibilità a Tobermory di entrare. Gli invitati ripresero a sfogliare gli ultimi numeri delle riviste e dopo si appellarono alla collezione Badminton e ai libri rilegati di Punch.
Ogni tanto Lady Blemley andava in dispensa, ma poi faceva ritorno con una faccia così delusa che era superfluo farle domande.
Alle due Clovis ruppe il silenzio generale, osservando: "Per stanotte Tobermory non si farà più vedere. Mi sa tanto che in questo momento stia dettando la prima puntata delle sue memorie alla direzione di un giornale. Le scabrose confessioni di Lady Pigliatutto non saranno niente, in confronto. Quelle di Tobermory solleveranno uno scandalo universale".
Dopo aver contribuito a deprimere la serata Clovis andò a dormire. Quella combriccola imitò il suo esempio, dormendo disordinatamente.
All'alba i domestici, mentre servivano il tè, interrogati diedero la stessa risposta: Tobermory non aveva fatto ritorno.
La colazione fu forse ancora più triste di quanto fosse stato il pranzo, ma prima che terminasse ci fu un colpo di scena. Il giardiniere trovò fra i cespugli e portò alla villa il cadavere di Tobermory. Dai morsi che gli avevano lacerato la gola, e dai peli gialli che stringeva tra le unghie, parve chiaro che avesse sostenuto una lotta mortale contro il grosso gatto del rettorato.
Prima di mezzogiorno quasi tutti gli ospiti se ne erano ritornati a casa, e dopo colazione Lady Blemley stava già così bene che scrisse una lettera assai cattiva, indirizzata al rettorato, per lamentarsi della morte del suo insostituibile gatto. Il quale fu l'unico gatto allievo di valore di Appin, e non ci furono mai altri successori.
Infatti poche settimane dopo circolò la notizia della morte di un inglese, Appin appunto, ucciso da un elefante del giardino zoologico di Dresda, che fino in quel momento non aveva dato segni di aggressività; ma quel giorno Appin lo aveva forse stuzzicato, e l'elefante aveva rotto le catene.
I giornali storpiarono il suo cognome, che divenne ora Oppin ora Eppelin, ma il suo nome di battesino era esatto, Cornelius.
"Ha avuto ciò che si meritava," commentò Clovis " se è vero che stava insegnando a quel povero animale i verbi irregolari tedeschi.