LO SPLEEN DI PARIGI di Charles Baudelaire VIII - IL CANE E IL PROFUMO " - Cane mio, cane mio bello, vieni qui, avvicinati e vieni a sentire questo eccellente profumo comprato dal miglior profumiere della città." E il cane, dimenando la coda, cosa che in queste umili creature corrisponde, credo, al nostro ridere o sorridere, si avvicina e posa con curiosità il suo naso umido sulla fiala aperta; ma poi, indietreggiando improvvisamente con disgusto, si mette ad abbaiarmi contro, come se mi volesse rimproverare. " - Ah, miserabile cane!, se ti avessi offerto un pacchetto di escrementi, lo avresti annusato come una squisitezza, e forse lo avresti divorato. Anche tu, indegno compagno della mia triste vita, somigli al pubblico: a cui non si devono mai offrire delicati profumi che lo esasperano, ma solo lordure accuratamente scelte." XXVIII - LA MONETA FALSA Mentre ci allontanavamo dalla rivendita dei tabacchi, il mio amico fece un'accurata suddivisione del suo denaro; nella tasca sinistra del gilè fece scivolare alcune monetine d'oro; nella destra, alcune monetine d'argento; nella tasca sinistra dei pantaloni, una quantità di grosse monete, e infine, nella destra, un pezzo d'argento da due franchi che aveva esaminato attentamente. "Singolare e minuziosa ripartizione!" dissi fra me. Incontrammo un povero che ci tese il berretto tremando. - Non conosco niente di più inquietante dell'eloquenza muta di quegli occhi supplichevoli, che contengono nello stesso tempo, per l'uomo sensibile, capace di leggervi, tanta umiltà, tanti rimproveri. Qualcosa di simile a questa complicata profondità di sentimento, la si trova negli occhi lacrimosi dei cani bastonati. Essendo l'offerta del mio amico molto più consistente della mia, gli dissi: "Avete ragione: dopo il piacere di meravigliarsi, non ce n'è uno più grande di quello di suscitare meraviglia". - "Era la moneta falsa", mi rispose lui tranquillamente, come per giustificarsi della sua prodigalità. Ma nel mio miserabile cervello, sempre occupato a cercare la luna a mezzogiorno (di quale faticosa facoltà la natura mi ha fatto dono!), entrò di colpo quest'idea: che una simile condotta da parte del mio amico non era scusabile se non come desiderio di provocare un evento nella vita di quel povero diavolo, e anche forse di vedere le conseguenze, più o meno funeste, che può far nascere una moneta falsa nelle mani di un mendicante. Chissà, forse poteva moltiplicarsi in tante monete buone! O poteva portarlo in galera. Un oste, per esempio, o un fornaio, avrebbero potuto farlo arrestare come falsario o come spacciatore. Oppure, quella moneta senza valore avrebbe anche potuto diventare, per un povero piccolo speculatore, la fonte di una ricchezza che sarebbe durata qualche giorno. E così la mia fantasia viaggiava, prestando ali allo spirito del mio amico e traendo tutte le deduzioni possibili da tutte le ipotesi possibili. Ma costui interruppe bruscamente la mia fantasticheria riprendendo le mie parole: "Sì, avete ragione; non c'è piacere più dolce di quello di meravigliare un uomo regalandogli molto di più di quello che si aspetta". Lo guardai nel bianco degli occhi e fui spaventato nel vedere che i suoi occhi brillavano di un innegabile candore. Vidi allora chiaramente che egli aveva voluto fare, nello stesso tempo, la carità e un buon affare; guadagnarsi quaranta soldi e l'amore di Dio; portarsi via il paradiso facendo economia; e infine acquistarsi gratis una patente di uomo caritatevole. Gli avrei quasi perdonato il desiderio della gioia criminosa di cui un momento prima lo avevo ritenuto capace; avrei trovato curioso, singolare che si divertisse a compromettere i poveri; ma non gli avrei mai perdonato l'inettitudine dimostrata in questo calcolo. Non c'è scusa per la cattiveria, ma c'è qualche merito nell'esserne coscienti; e il più irreparabile dei vizi è fare il male per stupidità. XXXIII - UBRIACATEVI Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull'erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l'ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: "È ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare". XXXIV - DI GIÀ! Cento volte il sole era già sorto, radioso o rattristato, da quell'immensa conca del mare i cui bordi si lasciano appena scorgere; cento volte si era rituffato, scintillante o mesto, nel suo immenso bagno serale. Da parecchi giorni, potevamo contemplare l'altro lato del firmamento e decifrare l'alfabeto celeste degli antipodi. E ogni passeggero si lamentava e gemeva. Si sarebbe detto che l'approssimarsi della terra esasperasse la sofferenza di tutti. "Quando la finiremo", dicevano, "di dormire un sonno agitato dalle onde, turbato da un vento che russa più forte di noi? Quando potremo mangiare della carne che non sia salata come l'infame elemento che ci porta? Quando potremo digerire su una poltrona immobile?". Alcuni pensavano al proprio focolare, altri rimpiangevano le mogli infedeli e imbronciate, e la loro prole urlante. Erano tutti così fuori di sé per la visione della terra assente, che si sarebbero messi, credo, a brucare l'erba con più entusiasmo delle bestie. Finalmente fu segnalata una riva; e vedemmo, avvicinandoci, che era una terra magnifica, abbagliante di luce. Sembrava che le musiche della vita se ne staccassero in un vago mormorio, e che dalle coste, ricche di ogni specie di verde, esalasse fino a parecchie leghe di distanza un odore delizioso di fiori e di frutti. Tutti diventarono immediatamente felici, ognuno rinunciò al suo cattivo umore. Tutte le liti furono dimenticate, tutti i torti reciproci perdonati; i duelli già stabiliti furono cancellati dalla memoria, e i rancori svanirono come fumo. Solo io ero triste, inconcepibilmente triste. Come un prete a cui hanno strappato la sua divinità, non potevo staccarmi senza una straziante amarezza da quel mare così infinitamente vario nella sua spaventosa semplicità, che sembra contenere in sé e rappresentare con i suoi giochi, i suoi movimenti, le sue ire e i suoi sorrisi, gli umori, le agonie e le estasi di tutte le anime che sono vissute, che vivono e che vivranno! Dicendo addio a quell'incomparabile bellezza, mi sentivo mortalmente prostrato; ed è per questo che quando tutti i miei compagni dissero: "Finalmente!" io non potei che gridare: "Di già!". E tuttavia era la terra, la terra con i suoi rumori, le sue passioni, le sue comodità, le sue feste; era una terra ricca e magnifica, piena di promesse, che ci mandava un misterioso profumo di rosa e di muschio, e da cui le musiche della vita arrivavano a noi in un amoroso sussurro. XL - LO SPECCHIO Un uomo spaventoso entra e si guarda allo specchio. "Perché vi guardate allo specchio, se vedervi vi dà solo dispiacere?". L'uomo spaventoso mi risponde: "Signore, secondo gli immortali princìpi dell'89, tutti gli uomini sono uguali nei loro diritti; e dunque io posseggo il diritto di guardarmi; se con piacere o dispiacere, questo riguarda solo la mia coscienza". In nome del buon senso, io avevo senza dubbio ragione. Ma dal punto di vista della legge, lui non aveva torto. XLIII - IL TIRATORE GALANTE Mentre la carrozza attraversava il bosco, egli la fece fermare nei pressi di un tiro a segno, dicendo che gli sarebbe piaciuto sparare qualche colpo per ammazzare il Tempo. Ammazzare quel mostro non è forse l'occupazione più ordinaria e più legittima di ognuno? - Offrì galantemente la mano alla sua cara, deliziosa ed esecrabile donna, a quella misteriosa donna alla quale deve tanti piaceri, tanti dolori e forse anche gran parte del suo genio. Parecchi proiettili colpirono lontano dal bersaglio prescelto; uno di essi andò a conficcarsi addirittura nella tettoia; e dato che l'affascinante creatura se la rideva pazzamente prendendo in giro l'imperizia del suo sposo, questi si girò bruscamente verso di lei e le disse: "Guarda quella bambola, laggiù a destra, col naso in aria e la faccia così arrogante. Ebbene, angelo mio, faccio come se quella fossi tu!". Chiuse gli occhi e premette il grilletto. La bambola fu decapitata di netto. Allora, inchinandosi verso la sua cara, la sua deliziosa, la sua esecrabile moglie, la sua inevitabile e inesorabile Musa, e baciandole rispettosamente la mano, soggiunse: "Ah, angelo mio, come ti ringrazio della mia bravura!". XLVIII - FUORI DEL MONDO La vita è un ospedale dove ogni malato è in preda al desiderio di cambiare letto. Questo qui vorrebbe soffrire davanti alla stufa, e quello là crede che guarirebbe accanto alla finestra. A me sembra sempre che starei bene là dove non sono, e questa questione del traslocare è una di quelle che sto continuamente a dibattere con la mia anima. "Dimmi, anima mia, povera anima infreddolita, che ne diresti di abitare a Lisbona? Lì deve fare caldo, e così potresti riprendere forza come una lucertola al sole. È una città in riva al mare; dicono che è tutta fatta di marmo, e che la gente ha un tale odio per la vegetazione che strappa via tutti gli alberi. È un paesaggio di tuo gusto; un paesaggio fatto di luce e di minerale, e dell'elemento liquido che li riflette!". La mia anima non risponde. "Se è vero che ami tanto il riposo unito allo spettacolo del movimento, perché non andare ad abitare in Olanda, in quella terra beatificante? È probabile che ti divertiresti in quella contrada di cui spesso hai ammirato l'immagine nei musei. Che ne diresti di Rotterdam, tu che ami le foreste di alberature, e le navi ormeggiate ai piedi delle case?". La mia anima resta muta. "Batavia forse ti sorriderebbe di più? È lì che troveremmo lo spirito dell'Europa sposato alla bellezza tropicale". Non una parola. - Che sia morta, la mia anima? "Sei dunque arrivata a un tale punto di torpore che ti compiaci solo del tuo male? Se è così, fuggiamo verso quei paesi che sono analogie della morte. - Ho capito quello che ci vuole, povera anima! Faremo i bagagli per Torneo. Andiamo ancora più lontano, all'estremo limite del Baltico; ancora più lontano dalla vita, se possibile; stabiliamoci al polo. Là il sole sfiora la terra solo obliquamente, e il lento alternarsi della luce e della notte sopprime la varietà e aumenta la monotonia, questa metà del nulla. Là potremo prendere dei lunghi bagni di tenebre, mentre, per divertirci, le aurore boreali ci manderanno di tanto in tanto i loro cesti di rose, come riflessi di un fuoco d'artificio dell'Inferno!". Finalmente la mia anima esplode, e saggiamente mi grida: "Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori di questo mondo!"