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SENTIMENTALISMO
di Villiers de l'Isle-Adame (tratto da "Racconti crudeli")

A Jean Marras

Mi stimo poco quando mi esamino;
molto, quando mi confronto.
(il signor Chiunque)

In una sera di primavera, due giovani a modo, Lucienne Emery e il conte Maximilien de W***, erano seduti sotto i grandi alberi di un viale degli Champs-Elisées.
Lucienne è quella bella donna sempre vestita di nero, il cui viso è di un pallore marmoreo, e della quale non si conosce la storia.
Maximilien, di cui abbiamo appreso la tragica fine, era un poeta di straordinario talento. Inoltre, era bello e di buone maniere. I suoi occhi riflettevano la luce dell'intelligenza, affascinanti, ma come pietre preziose, un po' freddi.
La loro intimità durava soltanto da sei mesi.
Quella sera, dunque, guardavano in silenzio le vaghe sagome delle carrozze, delle ombre, dei passanti.
D'un tratto, la signora Emery prese dolcemente la mano del suo amante:
"non vi sembra, amico mio" gli disse, "che, agitati incessantemente da impressioni artificiali e, per così dire, astratte, i grandi artisti - come voi - finiscano in sé la facoltà di subire realmente i tormenti o le voluttà che la Sorte riserva loro? Quanto meno, traducete con un disagio - che vi farebbe apparire insensibili - i sentimenti personali che la vita vi mette in condizione di provare. Sembrerebbe allora, vedendo la fredda misura dei vostri movimenti, che palpitiate soltanto per cortesia. L'Arte indubbiamente deve perseguitarvi con una costante preoccupazione perfino nell'amore o nel dolore. A furia di analizzare le complessità di questi stessi sentimenti, avete timore di non essere perfetti nelle vostre manifestazioni, non è vero? Di mancare di esattezza nell'esporre il vostro turbamento… Non sapreste liberarvi di questo pensiero riposto. Esso paralizza in voi i migliori slanci e tempera ogni espansione naturale. Si direbbe che, principi di un altro universo, una folla invisibile non smetta di circondarvi, pronta alla critica o all'ovazione.
"Insomma, quando una grande felicità o una grande sciagura vi accadono, ciò che si sveglia in voi, prima che il vostro spirito se ne sia reso conto, è l'oscuro desiderio di andare a trovare qualche attore di genio per chiedergli quali sono i gesti più adatti cui dovete lasciarvi trascinare dalla circostanza. L'Arte condurrebbe dunque ad un indurimento?… La cosa mi preoccupa".
"Lucienne", rispose il conte, "ho conosciuto un cantante che, al letto di morte della sua fidanzata e sentendo la sorella di costei dirompere in singhiozzi convulsi, non poteva impedirsi di notare, malgrado la sua afflizione, i difetti di emissione vocale che era il caso di segnalare in quei singhiozzi, e meditava vagamente sugli esercizi opportuni per dar loro 'più corpo'. Vi sembra un male?… Eppure, il nostro cantante morì di quella separazione, e la sorella, sopravvivendo, smise il lutto il giorno stabilito dall'usanza."
La signora di Emery guardò Maximilien.
"A sentir voi", disse, "sarebbe difficile precisare in che cosa consista la vera sensibilità a da quali segni la si possa riconoscere."
"Voglio dissipare del tutto i vostri dubbi in proposito", rispose sorridendo il signor di W***. "Ma i termini… tecnici… sono noiosi, e temo…"
"Non temete! Io ho il mio mazzo di viole di Parma e voi il vostro sigaro; vi ascolto"
"Ebbene! Sia; obbedisco", replicò Maximilien. "Le fibre cerebrali colpite dalle sensazioni di gioia o di dolore sembrano, voi dite, come allentate nell'artista, per via degli eccessi di emozioni intellettuali che il culto dell'Arte quotidianamente richiede? Io, al contrario le giudico sublimi, queste fibre misteriose! Gli altri uomini sembrano dotati di tenerezze più riuscite, di passioni più franche, insomma, più serie?…Eppure io vi dichiaro che la tranquillità dei loro organismi, ancora un po' oscurati dall'Istinto, li porta a smerciare, per supreme espressioni sentimentali, dei semplici sfoghi di animalità.
Sostengo che i loro cuori e i loro cervelli sono serviti da centri nervosi che, seppelliti in un torpore abitudinario, risuonano di vibrazioni infinitamente meno numerose e più sorde delle nostre. Si direbbe che si affrettino a far evaporare in clamori le loro impressioni solo per illudere se stessi, o per evaporare in clamori le loro impressioni solo per illudere se stessi, o per giustificarsi in anticipo l'inerzia in cui si rendono conto di ripiombare.
"Queste nature senza echi sono ciò che la gente definisce persone 'di carattere': esseri, cuori violenti e nulli. Smettiamola di farci ingannare dall'opacità delle loro grida. Ostentare la propria debolezza nella segreta speranza di contagiarne gli altri, al fine di beneficiare, almeno fittiziamente ai propri occhi, dell'emozione reale che si riesce così a suscitare in altri esseri, grazie a questa oscura finzione, è una cosa che si addice solo a creature incompiute.
"in nome di quali diritti reali pretenderebbero di decretare che tutte queste emozioni, di lega più che dubbia, sono di rigore nell'espressione delle sofferenze o delle ebbrezze della vita, e tacciare d'insensibilità coloro che per pudore se ne astengono? Il raggio di luce che colpisce un diamante circondato di ganga vi è forse meglio riflesso che in un diamante ben tagliato dove penetra l'essenza del fuoco? In verità, coloro che si lasciano commuovere dalla crudezza delle espansioni preferiranno i confusi rumori alle profonde melodie: ecco tutto."
"Scusate Maximilien", interruppe la signora di Emery: "ho ascoltato la vostra analisi un po' sottile con una sincera ammirazione… ma sareste così gentile da dirmi che ora sta suonando?".
"Le dieci, Lucienne!", rispose il giovanotto guardando l'orologio alla luce del suo sigaro.
"Ah!… Bene. Continuiamo."
"Perché tanta inquietudine a proposito di un'ora che passa?"
"Perché è l'ultima del nostro amore, amico mio!", rispose Lucienne. "Ho accettato dal signor di Rostanges un appuntamento per le undici e mezza, questa sera; ho preferito comunicarvelo all'ultimo momento. Me ne volete?… Perdonatemi."
Se il conte, a quelle parole, divenne un po' pallido, l'oscurità protettrice velò quella maschera d'emozione; non un fremito svelò quel che dovette subire il suo essere in quell'istante.
"Ah!" disse con voce uniforme e armoniosa, "un giovane dei più degni che merita il vostro attaccamento. Ricevete il mio addio, cara Lucienne", aggiunse.
Prese la mano della sua amante e la baciò.
"Chissà che cosa ci riserva l'avvenire?" gli rispose Lucienne sorridente, benché un po' interdetta. "Rostanges non è che un irresistibile capriccio. E ora", aggiunse dopo un breve silenzio, "continuate, amico mio, vi prego. Vorrei sapere, prima di lasciarci, che cosa dà il diritto ai grandi artisti di disprezzare tanto i modi degli altri uomini."
Un istante passò, terribile, muto, tra i due amanti.
"in breve, noi percepiamo le sensazioni comuni", riprese Maximilien, "con la stessa sensibilità di chiunque altro. Sì, l'evento naturale, istintivo di una sensazione, noi lo proviamo, fisicamente, come tutti gli altri! Ma soltanto all'inizio noi sentiamo in questo modo umano!
"E' quasi la impossibilità di esprimere i suoi prolungamenti immediati in noi che ci fa sembrare come paralizzati, quasi sempre, in parecchie circostanze. Allorché gli altri uomini hanno già raggiunto l'oblio, non possedendo sufficiente vitalità, le sensazioni si ingrandiscono nel nostro essere, come il rumore della risacca quando ci si avvicina al mare. Sono proprio le percezioni di questi prolungamenti occulti, di queste infinite e meravigliose vibrazioni che determinano la superiorità della nostra razza. Donde quelle apparenti discordanze tra i pensieri e le azioni quando uno di noi, per esempio, tenta di tradurre, come fanno tutti gli altri, ciò che prova. Pensate quanta distanza ci separa da queste ere primitive del Sentimento, da così gran tempo perdute in fondo al nostra spirito! L'atonia del suono della voce, l'anomalia del gesto, la ricercatezza delle nostre parole, tutto è in contraddizione con le sincerità corrive e con le banalità di espressione, proporzionate al modo di sentire della maggioranza. Suoniamo falsi: ci trovano gelidi. Le donne non si spiegano il nostro comportamento. Immagino di buon grado che anche noi, almeno qualche volta, saremo agitati da qualcosa, partiremo per quelle stesse "nuvole" dove si pensa si rifugino i "poeti", secondo un modo di dire divulgato ad arte dalla Borghesia. Che sorpresa nel veder accadere esattamente il contrario! Lo spregevole orrore che esse provano, a tale scoperta, per coloro che le avevano ingannate sul nostro conto, oltrepassa ogni limite e, se mirassimo a vendicarci, ci sarebbe di che divertirsi.
"No, Lucienne, non ci va a genio di doverci tradurre malamente in queste manifestazioni mendaci abusate dalla gente. Ci sforzeremmo invano di indossare tutti questi abiti smessi dell'umanità, dimenticati nella nostra anticamera da tempo immemorabile! Noi ci siamo identificati con l'essenza stessa della Gioia! Con l'idea viva del Dolore! Che volete farci? È così. Soli, tra gli uomini, siamo arrivati a possedere un'attitudine quasi divina: quella di trasfigurare, al nostro semplice contatto, le felicità dell'Amore, per esempio, o le sue torture, con un immediato carattere di eternità. Questo è il nostro indicibile segreto! Istintivamente, ci rifiutiamo di lasciarlo trasparire, per risparmiare il più possibile al nostro prossimo l'onta di trovarci incomprensibili. Ahimè! Siamo simili a quei possenti cristalli in cui dorme, in Oriente, il puro spirito delle rose morte, ermeticamente velate da un triplice involucro di cera, d'oro e di pergamena.
"Una sola lacrima della loro essenza - di quell'essenza così conservata nella grande anfora preziosa, fortuna di tutta una razza, e che si trasmette in eredità, come un tesoro sacro benedetto dagli avi - basta a impregnare parecchie misure di acqua pura, vi assicuro, Lucienne! E queste, a loro volta, bastano a profumare parecchie case, parecchie tombe, per lunghi anni!… Ma noi non siamo affatto simili (e questo è il nostro delitto) a questi flaconi pieni di banali profumi, tristi e sterili fiale che il più delle volte non badiamo neppure a richiudere e le cui virtù inacidiscono e svaniscono ad ogni soffio che passa. Avendo acquisito una purezza di sensazioni inaccessibile ai profani, diventeremmo bugiardi, ai nostri propri occhi, se prendessimo in prestito le pantomime preconcette e le espressioni "consacrate" di cui il volgo si contenta. Ci affretteremmo, in coscienza, a dissuaderlo, se prestasse fede, non fosse che per un istante, al primo grido che talvolta ci viene strappato da una coincidenza felice o fatale. Per rispetto al giusto concetto di Sincerità dobbiamo essere sobri nei gesti, scrupolosi nelle parole, riservati negli entusiasmi, contenuti nella disperazione. "E' dunque alla qualità delle nostre facoltà affettive che dobbiamo queste accuse di durezza?… In verità, cara Lucienne, se ambissimo (Dio non voglia!) a non restare più incompresi dalla maggior parte degli individui, a rivendicare dal loro intelletto ben altri omaggi che l'indifferenza, sarebbe davvero auspicabile, come dicevate poco fa, che nelle grandi occasioni un buon attore si mettesse dietro di noi, passasse le sue braccia sotto le nostre, quindi parlasse e gesticolasse per nostro conto. Allora saremmo sicuri di toccare le folle nel solo punto in cui sono accessibili."
La signora Emery osservava attentamente il conte di W***.
"Ma caro Maximilien, voi arrivereste davvero", esclama, "a non osar dire 'buongiorno' o 'buonasera' pur di non sembrare… preso a prestito… dal comune mortale! Avete dei modi squisiti e indimenticabili, lo ammetto, e sono fiera di averveli ispirati… A volte mi avete abbagliata con le profondità del vostro cuore e con le dolci espansioni della vostra tenerezza; sì, fino a non so quale rapimento di cui serberò per sempre lo strano e perturbante ricordo!… Ma, che volete!… mi sfuggite - dove non posso seguirvi! - e non sarò mai del tutto convinta che voi stesso provate, in maniera non immaginaria, ciò che fate provare. Per questo motivo, Max, non posso far altro che separarmi da voi." "Mi rassegno dunque a non essere comune, dovessi meritarmi il disprezzo delle brave persone che (forse a ragione) si considerano più a posto di me", rispose il conte. "Tutti, d'altronde, mi sembrano oggi più o meno nauseati di provare alcunché. Spero che ci saranno presto quattro o cinque teatri per capitale i quali, offrendo una rappresentazione sensibilmente migliore che nella realtà degli eventi della vita, indurranno tutti a non darsi neppure la pena di vivere. Quando ci si vorrà appassionare o commuovere, si prenoterà un palco, sarà semplice. Questa scappatoia non sarebbe mille volte preferibile, dando retta a buon senso?… Perché esaurirsi in passioni destinate all'oblio?… Che cosa non si finisce per dimenticare nel giro di un semestre? Ah! se sapeste quanto silenzio portiamo in noi!… Ma vi chiedo scusa, Lucienne: sono le dieci e mezza, e sarebbe indiscreto non rammentarvelo, dopo la vostra confidenza di poco fa", mormorò Maximilien sorridendo e alzandosi.
"La vostra conclusione?…", disse Lucienne. "Arriverò comunque in tempo."
"Concludo", rispose Maximilien, "dicendo che, quando un tale esclama, a proposito di uno di noi, battendosi il petto come per stordire il vuoto in se stesso: 'Ha troppo cervello per avere cuore!' innanzitutto è assai probabile che quel tale diventerebbe rosso dalla vergogna, se gli rispondessero che lui ha 'troppo cuore per avere cervello!', il che prova che in fondo noi non abbiamo scelto la parte peggiore, per ammissione stessa di chi ce lo rimprovera. Inoltre, avete notato che cosa diventa questa frase , ad un attento esame? È come se si dicesse: "Questa persona è troppo ben educata per darsi la pena di avere buone maniere!". In che cosa consistono le buone maniere? È ciò che la gente comune, cos' come l'uomo veramente ben educato, non sapranno mai, malgrado tutti i codici di puerile e onesta civiltà. Di modo ché questa frase, ingenuamente, non esprime altro che la gelosia istintiva e, per così dire, melanconica di certe nature in presenza della nostra. A separarci, in fin dei conti, non è una diversità, è un infinito."
Lucienne si alzò e prese il braccio del signor di W***.
"Dal nostro colloquio traggo questo assioma", disse, "che, per quanto contraddittorie sembrino le vostre parole o i vostri modi di essere, qualche volta, nelle circostanze terribili o gioiose della vostra esistenza, non provano affatto che voi siate…"
"Di legno!…", finì il conte con un sorriso.
Guardavano passare le carrozze illuminate. Maximilien fece segno ad una di esse, che si avvicinò.
Quando Lucienne si fu seduta, il giovane s'inchinò, silenziosamente.
"Arrivederci!", gridò Lucienne, mandandogli un bacio.
La carrozza si allontanò.
Il conte la seguì con gli occhi per qualche istante, soprappensiero; poi, risalendo a piedi il viale, con il sigaro in bocca tornò a casa, nella rotonda.
Quando fu solo, nella sua camera, si sedette davanti allo scranno, prese in una custodia una limetta e sembrò assorbito dall'atto di nettarsi le unghie.
Poi scrisse alcuni versi su una… valle scozzese, che gli tornò in mente alquanto stranamente, nei percorsi erratici della Mente.
Poi tagliò alcune pagine di un libro nuovo, diede loro una scorsa, e gettò il volume.
Suonarono le due di notte: si stiracchiò.
"Questo batticuore è davvero insopportabile!", mormorò.
Si alzò, fece ricadere le pesanti cortine e le tende, andò verso uno scrittoio, lo aprì, prese in un cassetto una pistola 'tascabile', si avvicinò a un divano, si puntò l'arma al petto, sorrise, e scrollò le spalle chiudendo gli occhi.
Un colpo sordo, attutito dalla tappezzeria, riecheggiò; un po' di fumo bluastro si levò dal petto del giovane, che ricadde sui cuscini.
Da allora, quando chiedono a Lucienne il motivo del suo abbigliamento scuro, lei risponde ai suoi amanti, giovialmente:
"Bah! che volete! Il nero mi sta bene!".
Ma allora il suo ventaglio a lutto palpita sul suo seno, come l'ala d'una falena su una pietra tombale.