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LE SPADE DI NIMIER:
RECENSIONI (autori vari).

Alias, 19.10.2002
Se la vita lava la letteratura
Roger Nimier è uno dei ’nostri’ kamikaze: con tutta la sua vita di vitellone disperato, allude comunque al sacrificio: ondivago, dichiaratamente non esistenziale e, per ciò stesso, impregnato di Pernod come pochi. Che cosa viene immolato? Forse il suo schianto con l’Aston Martin, alla periferia di Parigi, nel 1962 (lo stesso anno del Sorpasso di Risi) è privo di valore reale, assurge a puro simbolo? È facile fare della letteratura, far vivere tali episodi di letteratura. Le spade è fra i pochissimi titoli disponibili in italiano di Nimier: uno sgangherato racconto lungo (1948), biografia di fantasmi accantonati o elusi e di osservazioni minuziose sull’imponderabile, un getto nervoso d’adolescente allucinato dal reale: "Amo quest’epoca disumana. Il gusto dell’infelicità non lega necessariamente con la tenerezza". L’aria del tempo detta legge: tutto è gusto, retorica, posticcia invenzione della grazia. Il samurai François Sanders adora le geishe francesi, incestuosamente: "Sono la tua piccola schiava. Nei giorni successivi, mi trattava col più grande disprezzo e io non ci capivo più niente, se non che le piccole schiave sono nostre amanti". La sorella salva Sanders-Nimier dal suicidio e dal grottesco (primo segno d’un kamikaze diverso, complicato, fumantino). Il racconto apre con una eiaculazione sulla faccia di Marlene Dietrich. La foto raccoglie sperma e disperazione, eros mediatico ante litteram che esplode di gioventù. Tutto quello che segue - in un certo senso - è un commento allo choc iniziale. In questo sfacelo funghiscono la storia e la politica. Il parassita Nimier, per innocenza, ingoia la colpa. Diventa collaborazionista, come il modello Celine (ma si schiera coi pieds noirs nella guerra d’Algeria). Ma la temperie è - forse ancora di più - quella del comunista Paul Nizan in Aden Arabia. "Avevo vent’anni. Nessuno mi venga a dire che è la più bella età della vita".
Uno cade a Dunkerque, l’altro - borghese incanaglito - collezionando macchine sportive. Quando governa il clima, destra e sinistra - solo al di fuori delle precise responsabilità storiche - divengono categorie parassitarie, un modo per non schierarsi. Un colpo di rivoltella altro non è che una ferita d’amore: "Durante le funzioni della sepoltura è il morto che noi amavamo, con la morte non siamo in contatto". Qui parla Saint Exupéry, in Pilota di guerra (1942).Il gesto segreto di Roger Nimier è questo: talvolta la letteratura guarda alla vita come espiazione, lavacro. Ogni punto di partenza è buono, anche la letteratura, visto che l’imparzialità dello sguardo è solo un’idea limite. La spia è nella dedica: "a Mahaut". Non sappiamo se ve ne fosse una reale nella vita di Nimier. Fa lo stesso. Egli ha portato la Mahaut del Ballo del conte d’ Orgel di Radiguet nello charme delle ragazze, ha spezzato la sua figura in cenni e movimento (come Balla fa con l’immagine) conservandone la delicatezza, sempre prossima al congedo.
Luca Archibugi

Corriere della Sera, 2.03.2003
Le spade di Roger Nimier, il romanzo maledetto che voleva imitare Céline
E il giovane Sanders scelse l ’infamia

Curato da Massimo Raffaeli e con una introduzione di Eraldo Affinati, Le spade di Roger Nimier si presenta, e senza voler millantare patenti di piccolo classico o di capolavoro minore, per ciò che realmente è, ovvero il romanzo di esordio di un ventitreenne che si era scelto un maestro inarrivabile come Céline e dunque sapendosi votato al fallimento.
L’opera (pubblicata in Francia nel 1948) e il suo autore fanno parte di quella costellazione letteraria che la formula di "romanticismo fascista" definisce e storicizza. Nimier, di simpatie monarchiche, è affascinato dalle parole d’ordine dell’Action Française, condivise con Drieu La Rochelle, con Brasillach e con gli altri scrittori "collaborazionisti". François Sanders - il protagonista, un ragazzo "piuttosto biondo" ammaliato da ogni disfatta e da un’irragionevolezza infantiloide e vanitosa coltivata come un alibi e come una risposta che tutto giustifica e assolve - attraversa gli anni dell’occupazione nazista del suo paese, scegliendo di stare con i miliziani di Vichy. La "fedeltà alla sventura", la voglia di sprofondare (tanto gli pare "dolce rotolarsi nel proprio fango") e il desiderio di un destino romanzesco, nella Parigi che scoppia di stupidità", portano François a oltrepassare la linea d’ombra della criminalità, a uccidere un ebreo, a torturare. Egli, amandola, abita "l’epoca disumana" con la perizia di un carnefice capace, astutamente, di autodenigrarsi mentre esorta i "cari tedeschi", i "cari guerrieri biondi" a chiudere "bene le gabbie". Nimier morirà nel 1962 andandosi a schiantare, con la sua Aston Martin, contro il parapetto di una superstrada nei pressi di Parigi. Amava le belle automobili e la velocità. Enzo Di Mauro

il Gazzettino, 6.11.2002
L’anti-esistenzialista Nimier torna in libreria a 40 anni dalla morte.

A quarantanni dalla morte di Roger Nimier, critico, sceneggiatore cinematografico e animatore di una fronda che si opponeva al romanzo esistenzialista, la casa editrice padovana Meridiano zero ha pubblicato nella traduzione di Massimo Raffaeli la sua più celebre opera Le spade che nel 1948 ne ha sancito l’esordio. Lo scrittore è prematuramente scomparso all’età di 36 anni, lasciando sette opere considerate di grande rilievo. Gli sono bastati 23 anni per spaccare a metà il mondo della cultura francese. Gli sono bastati 150 folli chilometri all’ora per morire nell’ingenua speranza di essere ricordato per quella sua vita sprezzante e spericolata, per quei romanzi fulminei come la sua Aston Martin lanciata a velocità cieca contro chissà chi e chissà cosa. Roger Nimier muore a 36 anni, quando uno scrittore inizia a trovare il suo spessore umano, quando la vita comincia a non essere più solo una battaglia, quando si dovrebbe intravedere una via di uscita nel labirinto delle disperazioni giovanili e riconciliarsi con i folli tentativi per un eroico suicidio. Si lascia morire invece, Roger Nimier, sfracellandosi contro il parapetto di un cavalcavia francese in una notte d’autunno del 1962. Quarant’anni dopo, il bisogno categorico di un gesto eroico che rimanga nella mente e nel cuore dell’umanità appare rimosso, accantonato, reso goffo e ridicolo dall’assenza di memoria. Di Roger Nimier ne l’Italia ne l’Europa conserva un ricordo significativo, e nemmeno il ventre molle della Francia letteraria degna di un po’ d’attenzione questo scrittore beffardamente cinico e iconoclasta. Eppure, appena sfiorato il traguardo dei vent’anni, Nimer è già autore acclamato, considerato il capofila di un gruppo di scrittori che non ne può più del romanzo esistenzialista, della pesantezza delle atmosfere sartiane, demolite con gioiosità da una scrittura disinvolta e aggressiva. A Nimier basta un romanzo semi-autobiografico, festoso e cinico come L’Ussaro Blu, per mettere alle corde i vecchi esistenzialisti e per divenire capo carismatico di un gruppo dei nuovi ribelli francesi, come Laurent, Déon, Blondin, che la vecchia critica appella sprezzantemente con i termini di ussari e fascisti. Iniziata con Le Spade e passata attraverso la fortuna dell’Ussaro Blu, la produzione di Nimier si espande tramite altri romanzi rabbiosi e insolenti come Bambini tristi e Storia di un amore. Poi il nulla: l’avventura letteraria di Nimier pare fermarsi del tutto. Quasi una noia distratta nei confronti della scrittura. Divenuto direttore letterario della casa editrice Gallimard, Nimier smette di editare romanzi; piuttosto si rivolge timidamente al cinema: briciole e residui di una produttività affievolita e spenta come solo può smorzarsi in nulla e in breve un fuoco violento e devastante. La firma di Nimer compare dapprima nel 1952, sulla sceneggiatura di uno dei tre episodi che compongono il film di Michelangelo Antonioni I Vinti, che offre uno spaccato crudo su una sorta di gioventù bruciata assai meno romantica di quella immaginata dalla cinematografia americana. Poi a fianco di Louis Malie nella sceneggiatura del romanzo di Noel Calef Ascensore per il patibolo. Altra traccia di produzione letteraria non c’è. Pare la morte di una attività. Pare ravvicinarsi costante, e enigmatico al concetto di morte individuale. "Contro la morte ci armiamo per una sconfitta. Non osiamo guardare in faccia una cosa così semplice." Così l’affronto della morte, diviene motivo dominante della vita di Nimier ben più della letteratura. Definita l’impossibilità di vivere, esprimendo in pieno quelle potenzialità dell’essere umano, piegate e costrette dalle convenzioni fatte su misura per i deboli e gli incapaci, Nimier inizia la sua ricerca della morte, la nemica da stanare e affrontare impavidamente. E allora la morte arriva, cercata e voluta in una sconsolata notte d’autunno in uno spaventoso incidente stradale. Ma a differenza di altre morti celebri, quella di Nimier non produce leggenda o immortalità. Censurato, rimosso, punito per la sua eccessiva esuberanza e per la sua ostentata appartenenza alla destra, il suo nome viaggia da solo nei labirinti della memoria collettiva, senza la compagnia di James Dean o di Albert Camus. Ma del resto era stato lui a profetizzare che "a certi uomini non restano da percorrere che strade di solituidine". Paolo Patui

il Giornale, 4.10.2002
Le spade di Nimier infilzano la morale.

Tradotto in italiano, a oltre mezzo secolo dalla prima edizione francese, il libro di un autore controcorrente. Fra nihilismo e richiamo della sconfitta. La letteratura politicamente scorretta non ha avuto vita facile nel Novecento. Così succede che un romanzo eccentrico e paradossale, estremo e sorprendente come Le spade di Roger Nimier veda la luce in traduzione italiana a più di cinquant’anni dalla sua prima edizione francese: da Gallimard, nel 1948. D’altra parte anche in patria la letteratura dello sporco, cattivo, controcorrente Nimier ha subito più di un ostracismo. Tanto che nel 1962, anno della morte prematura dell’autore, François Mauriac ebbe a parlare su Le Figaro di un veleno che da centocinquant’anni la gioventù bruciata si passava di mano in mano, concludendone che Nimier non era degno della Chiesa. Ma quali erano le colpe dello scrittore nato a Parigi nel 1925? Il dossier a suo carico è tutto nel libro d’esordio, pubblicato ad appena ventitré anni e che ora Meridiano zero si incarica di mandare in libreria, nella traduzione di Massimo Raffaeli e con una introduzione di Eraldo Affinati. Le spade comincia con una scena di piacere solitario, che il quindicenne François Sanders consuma sopra una foto di Marlene Dietrich. E prosegue con un teatrale tentativo di suicidio del ragazzino: finito a vuoto, naturalmente. Sventato dall’arrivo della sorella, Claude, uno dei perni della sua vita: una creatura solenne e dolce, spiritosa e incantevole. Per lei François prova un sentimento profondo e intricato, in cui l’affetto e la complicità rasentano una forma di sognante innamoramento, un’attrazione psicologicamente incestuosa. Si, perché fratello e sorella escono insieme e si comportano quasi come fidanzati. E certo la gelosia sottile e penetrate di lui ha qualcosa di malato, anche se agli occhi di lei si riscatta e giustifica come necessario, superiore amore. Sarebbe ancora poco se quello che Nimier ha da raccontarci fosse soltanto un’adolescenza turbata, incerta e spettrale. La storia irrompe presto nelle pagine disinvolte, lievi e insieme terribili, di questo racconto lungo. La Francia scende nell’arena della seconda guerra mondiale, e la scena cambia. L’autoritario colonnello padre dei due ragazzi (la madre è morta da tempo) è al fronte e cade prigioniero dei tedeschi, François ne è - nemmeno tanto nascostamente - soddisfatto. Gli si spalanca davanti l’avventura della vita, da mordere senza precauzioni e divieti. Nemmeno ventenne, Sanders si trova a giocare la sua parte nella travagliata vicenda della Francia occupata. La partita non si decide a livello di ideologia o di coscienza: Sanders non ne ha nessuna, non crede in nulla, non rispetta alcunché. Agisce per noia, noncuranza, indifferenza. Le frasi, agghiaccianti e velenose davvero, che descrivono questo stato di anestesia morale sono tante, fitte, fino a formare il vero Leitmotiv del romanzo ("il sangue è come il resto: passati i diecimila litri, non è più una tragedia, ma un’industria nazionale"; oppure: "non ne sapevo niente. Dato che ero deciso, avrei giocato il gioco fino in fondo. Con indifferenza. Con noia"). Così Sanders, trascinato da alcune conoscenze, decide di intraprendere un attentato per conto della Resistenza. Entra nelle file della temutissima e crudele milizia di Darnand per ucciderne il capo. Ci prova, effettivamente. Ma un caso (uno scambio di pastrani) vuole che egli, quando il piano viene scoperto e sventato, sia trovato senza armi e che del tentato omicidio sia incolpato un altro al suo posto. Sostiene le torture e il processo a ciglio asciutto: qualcuno lo aveva venduto, e lui a sua volta tradisce i compagni con i quali aveva ideato l’azione. Li vede condannati e poi uccisi, a bruciapelo. Non solo se la cava, ma decide di dar retta al consiglio del suo superiore e di impegnarsi a fondo dalla parte della milizia. Comincia a perseguitare, brutalmente, i resistenti, salvo qualche illogica, brusca manovra in senso contrario. Ecco il punto: la politica c’entra solo marginalmente, Sanders (alter ego dell’autore, che certo fu simpatizzante dell’Action Francaise) è uno che ha del mondo una visione estetica, superomistica, grottesca. Dice di sentire forte il richiamo della rovina, della sconfitta definitiva: i francesi che lottano contro l’occupazione sono dalla parte giusta della storia, lui avverte il fascino assurdo del torto, dello stare con i destinati alla sconfitta, con i cattivi, i torvi. Rappresenta, Nimier, un esistenzialismo secco e assoluto, senza riscatto: un "esistenzialista d’opposizione", un "anti-Camus" lo ha definito uno dei suoi pochi conoscitori italiani, Maurizio Serra. Per sfida, scommessa, gioco Sanders uccide, ripetutamente. Con voluttà, con precisione, con insofferenza. Nel profondo niente ha veramente significato; quello che Nimier celebra, in pagine appuntite e ulceranti, è la totale insensatezza, l’assurdo. Lo stesso postulato da Beckett o dall’unico, vero maestro di Nimier: quel Celine di cui fu amico e poi, come funzionario editoriale, consigliere. Ma nella scrittura, Nimier è all’opposto dell’autore del Viaggio al termine della notte. Quanto Céline ama la scrittura vorticosa, l’espressionismo, la furia verbale, tanto Nimier è scarno, impeccabile, distante. Uno stilista algido, perfetto e alienante: "Ho rivisto con emozione la terra che avevo battuto con gli scarponi da milite. Ci tornavo da innocente. Il popolo dimenticava i suoi boia tanto presto quanto i suoi martiri". Anche il finale, sorprendente e insensato, è all’insegna di questo gesto stilistico assoluto, irrelato. Insinuante, amorale, distruttivo; Nimier fu tale, in ciò Mauriac non si sbagliava. Ma lo scrittore francese, viveur e dandy, che si sarebbe schiantato a nemmeno quarant’anni su una delle vetture di lusso che amava, una Aston Martin, sul raccordo Parigi Ovest, rappresenta una specie di cartina di tornasole per vedere senza schermi o maschere l’assurdità, la gratuità crudele del secolo. Per questo, forse, pur riconoscendone la pericolosità e il veleno spirituale, vale la pena, oggi, di rileggere il suo piccolo, urticante capolavoro.

L’Ussaro che scrisse per l’amico Louis Malle
Nato a Parigi nel 1925 Roger Nimier si arruola nel 1945, dopo la Liberazione, nel Secondo Reggimento Ussari. Quindi entra nell’agone letterario, fronda destrorsa all’esistenzialismo di Sartre e Camus.
Oltre a Le spade (1948), scrive Perfide (1950), L’Hussard bleu (1950), Les enfants tristes (1951) e D’Artagnan amoureux ou Cinq ans avant (1962). Come sceneggiatore, aveva scritto tra l’altro Ascensore per il patibolo (l957) per l’amico Louis Malle.
In italiano erano finora apparsi Storia di un amore (1962),D’Artagnan innamorato ovvero Cinque anni prima (1964) e Giovani tristi (1964). Daniele Piccini

Mucchio Selvaggio, 29.10.2002
E con un’edizione ipercurata, ricca di commenti e paratesti (prefazione di Eraldo Affinati, postfazione del traduttore Massimo Raffaeli) che Meridiano zero recupera un piccolo classico della letteratura, e forse anche dell’ideologia esistenzialista. Anche se, a oltre cinquant’anni di distanza dalla prima pubblicazione, tanto ardore filologico rischia di risultare pericolosamente fuori tempo. Le spade è infatti un testo del 1948, cinico, nichilista e immorale almeno quanto il ventitreenne che lo scrisse: sodale/editor di Céline, amico di Louis Malle (assieme al quale firmò la sceneggiatura di Ascensore per il patibolo), masochista quanto basta per schiantarsi con un’Aston Martin contro un parapetto del raccordo Parigi Ovest, Roger Nimier è qui alla sua prima prova letteraria, che suona come un privatissimo regolamento di conti all’indomani della caduta di Vichy e della liberazione di Parigi dai tedeschi. E ritrae in tutta crudezza il veleno, la spregiudicatezza e in definitiva il disorientamento di una generazione di collaborazionisti. Impossibile affezionarsi a una voce tanto stentorea, autoreferenziale e priva di esitazioni (figurarsi di scrupoli di coscienza!) fin dalla prima scena: una colata di sperma sulla foto di Marlene Dietrich, una lucida lettera di addio alla vita, la consapevolezza di un rapporto morboso con la sorella Claude... Buttati sulla pagina in maniera ultrascenografica, questi elementi costituiscono il preambolo di un racconto drammatico e provocatorio che affascinerà per l’indiscutibile qualità della prosa ma irriterà per sfrontatezza e disinvolto disprezzo della Storia, dell’etica e della vita altrui. L’amata, i rivali in amore, gli avversari politicistanno meglio da morti che da vivi: infuna bara non disturbano, non tradiscono, non si ribellano... Si può chiedere alla letteratura qualcosa di più reazionario?
Maura Murizzi

Panorama, 24.10.2002
James Dean delle lettere francesi

Non scriveva per il pubblico, ma solo per amici e nemici. Detestava l’engagement e amava provocare coi suoi modi insolenti. Adorava le auto di gran lusso: e morì sulla sua Aston Martin.
Poche righe frettolose nelle storie letterarie, quando va bene. È quello cui ha diritto il James Dean della letteratura francese, Roger Nimier, di cui in questi giorni esce in Italia un provocatorio romanzo, Le spade (a cura di Massimo Raffaeli). È la storia di un adolescente che passa dai partigiani alla milizia collaborazionista mettendo a nudo la gratuità della violenza nella guerra civile, la retorica della destra e quella della sinistra. Era un libro controcorrente nel 1948, in una cultura largamente controllata dalla sinistra. Ma Nimier (1925-1962) era attratto dalle sfide sproporzionate e dallo scandalo. Era arrivato tardi per la guerra. Era come quegli ufficiali che, dopo la caduta di Napoleone, passavano il tempo a sfidare a duello i militari del regime borbonico. La sua sciabola era la raffinata laconicità di uno stile affilato dall’ironia. Gli piaceva provocare, travolgere, esplicitare l’inconfessabile: la gratuità del mondo. Dopo l’uscita del libro, ostentava all’occhiello una minuscola spada. Era la sua filosofia. Nella vita c’erano sempre delle spade puntate e due scelte: sottrarsi o misurarsi con le loro lame per sentirsi vivere. Bello, chiuso in un’eleganza un po’ a rigida, Nimier più che camminare sembrava andare all’assalto. Per fare arrabbiare i resistenti dell’ultima ora, ansiosi di reinventarsi un passato bellicoso, lasciava cadere con disinvoltura: "Quando ero nelle Waffen SS...". A Nimier non spiaceva essere definito ’fascista’. Non che lo fosse veramente, ma preferiva l’infamia al conformismo. La sua ribellione si esprimeva anche in un francese sfacciatamente classico ed elegante. Quel dandy insolente non scriveva per il pubblico, ma per gli amici e i nemici. Era amico di Orson Welles, di Jeanne Moreau e di Louis Malle. Nel suo affettuoso disprezzo per lo stereotipo dell’intellettuale impegnato, amava le fuoriserie e le fastose bellezze platinate. Non gli bastava gettare il guanto all’egemonia culturale, doveva sfogare la sua sete di battersi anche nel rugby e nella boxe: "Sono attratto dal sudore e dal sangue, dalla gratuità della cosa. E potermi battere realmente mi sembra stupendo". Indifferente all’ostracismo della sinistra, Nimer rintracciò la sua parentela dispersa dalle epurazioni letterarie. Rilanciò Paul Morand, confinato in un limbo per la adesione a Vìchy. Morand cercava di allontanarlo dalle spacconate politiche: "Niente politica perché tutto è perduto. Stattene tranquillo". Ma quella non era una cosa che si potesse chiedere a Roger. La domenica faceva visita a un altro grande isolato, Louis-Ferdinand Céline, che lo trovava simpatico e apprezzava le sue auto. Sarebbe stato Nimier a spingere Gallimard a pubblicare Da un castello all’altro di Céline. Nimier, notò Curzio Malaparte, "ride di tutto. Ha un modo di ridere che mi fa pensare a quello del credente che ride dell’ateo".
Nimier scorrazzava per le vie di Parigi sulla sua Jaguar con la capote abbassata in pieno inverno. Morand lo aveva avvertito: "Ti rimprovereranno la Jaguar per tutta la vita, il che è ottimo. Dimenticheranno perfino la tua bellezza e il tuo talento, ma la Jaguar mai". Nel baule dell’auto c’era sempre un volume del Littré, il più raffinato dizionario di francese.
Sanders, l’eroe superbo, insolente, disperato di Spade, rispuntò in un’opera successiva, L’ussaro blu, ambientata nella Seconda guerra mondiale. Nimier fu un critico superbo, pieno di intuizioni. Il 28 settembre 1962 si schiantò con la sua Aston Martin. Lasciava dietro di sé un omaggio a Dumas, il delizioso D’Artagnan innamorato. Parafrasandolo: "Se fosse sopravvissuto, oggi avrebbe 70 anni. Impossibile. Aveva troppa fretta di raggiungere il popolo delle statue, cui somigliava tanto".
Giuseppe Scaraffia

Sette/Corriere della Sera, 24.10.2002
Fedele a un personale ideale di purezza, François Sanders è un adolescente guerriero senza ideali che passa dai ranghi della Resistenza alla Collaborazione nel disprezzo di qualsiasi morale. Monologhi rapidi, stile "parlato" che richiama Céline, Le spade di Roger Nimier trasforma una paurosa vicinanza psicologica tra autore e protagonista in un romanzo di formazione nichilista.
Elio Nasuelli

tuttolibri/la Stampa, 19.10.2002
Nimier, una gioventù bruciata nella Francia collaborazionista Roger Nimier era "indegno della Chiesa", secondo François Mauriac. Lo scrisse sul Figaro nel dicembre del 1962, due mesi dopo la sua morte per incidente stradale sul raccordo Parigi-Ovest. Nimier si era schiantato con l’Aston Martin, a 37 anni, bruciando alla James Dean una carriera molto ben avviata, e anche ben supportata, nonostante il non nascosto anti-esistenzialismo. Le spade, romanzo d’esordio scritto a 23 anni e uscito nel 1948 da Gallimard, è il ritratto di Roger Nimier. Non tanto in senso fedelmente autobiografico, quanto piuttosto nel carattere. Le prime righe sono uno schizzo di sperma che François Sanders, quattordicenne precoce, spara sul viso di Marlene Dietrich e da lì sulle sue gambe, allargate per terra sulla doppia pagina di una rivista. Il ragazzino aggiorna poi, accuratamente, in apposito quadernetto, il computo delle sue masturbazioni: "22 marzo 1937: 8. Tira un rigo e addiziona l’8 alla cifra precedente poi annota 1454, su una terza colonna". Segue una minuziosa mise en scène di un suicidio con pistola (sottratta al padre, militare), tentativo che fallisce grazie all’intervento tempestivo di Claude, la sorella maggiore, di cui François è tragicamente innamorato. Questo è l’antefatto, in terza persona. Prime parole: "Comincia con un ragazzino piuttosto biondo che lascia andare i sentimenti". Seguono due parti, ’La congiura’ e ’Il disordine’. Il punto di vista passa all’io, ed è François Sanders che ci racconta la sua deriva, con la stessa lucida freddezza che aveva il ragazzino notaio del proprio onanismo. Una deriva che passa, nella Francia occupata, dall’adesione alla Resistenza al tradimento in nome della Milizia, l’uccisione infame di un ebreo "per togliersi un capriccio", la durezza d’animo programmatica del ventitreenne che si vendica di un destino ancora inesistente. Sono piani sequenza di perfetta concezione cinematografica, a costruire il romanzo. Nimier l’avrebbe fatto, lo sceneggiatore, qualche anno dopo, per Louis Malie. Si cita il grande film Ascenseur pour pour l’échafaud, 1957, con Jeanne Moreau. Nel’50, venticinquenne, aveva avuto il premio Goncourt per L’ussaro blu. Era diventato l’enfant chéri delle lettere francesi, sufficientemente dannato per conquistare l’attenzione, celebrato da maestri come Morand, Jouhandeau, lo stesso Céline. Ma nel giro di poco i riflettori non l’avevano più illuminato, e lui si era in qualche modo auto-censurato. Aveva scelto l’immagine del mondano che si disperde tra donne, gioco e belle macchine, fino a morirne. Scrive Massimo Raffaeli, curatore e traduttore del libro, che le sue spade (spade "alla ricerca di un fodero di carne", si legge nella pagina del romanzo che motiva il titolo), Nimier le rivolse soprattutto contro se stesso. Il problema del contraddittorio collaborazionismo, la patente di sbandato di destra con cui si è soliti liquidare Nimier, meritano attenzione. Pagine così compiute, nella disperazione che si fa rivolta, a 23 anni, sono un ritratto non del solo Nimier. Raffaeli parla tra l’altro, nella sua Postfazione, del "diagramma di un completo fallimento cognitivo": qualcosa su cui vale la pena di riflettere. "Non era facile per nessuno", gli fa da controcanto Eraldo Affinati nelle pagine introduttive, "avere vent’anni nel ’45", preludio alla richiesta di una "sospensione del verdetto", equivalente a quella di cui gode da sempre Arthur Rimbaud. Ma tornando alla costruzione del romanzo: apertosi su un masturbatorio tentativo di suicidio andato a vuoto, si chiude sull’impotenza. François Sanders, sconfitto dalla Storia, e decantato un po’ del disorientamento in una Cannes post-bellica, nel treno che lo riporta a Parigi, così congeda il proprio incesto: "Lei è meglio dov’è. Claude è meglio morta".
Gabriella Bosco

Wu Ming Foundation, dicembre 2002
Un romanzo acuminato e tagliente come il titolo promette, l’esordio letterario di Roger Nimier, anno 1948. Discepolo di Céline, nichilista, anarchico, autodistruttivo, l’autore mette molto di sé nel protagonista François Sanders, allergico a qualsiasi genere di conformismo e ipocrisia, ma immerso in un epoca che trasuda entrambi: quella della seconda guerra mondiale e della scelta tra Resistenza e collaborazionismo nella Francia di Vichy. François, nella sua sete di contraddizione, esplorerà tutte e due le opzioni. Un racconto lungo inciso sulle pagine senza mezze misure, piacevolmente indigesto in alcuni passaggi, difficilmente non condivisibile in altri, perché il protagonista è il classico "cattivo" per cui, spesso, ci si trova fare il tifo.
Wu Ming 2