LA MODA MASCHILE TRA 1800 E 1830 di Massimiliano Mocchia di Coggiola Recentemente, nel sito dedicato al dandismo (www.noveporte.it/dandy) del quale sono autore e curatore, mi era stato chiesto di indicare qualche fonte bibliografica adatta a studiare il periodo della moda maschile tra 1800 e 1830 circa. La questione postami riteneva utile specificare questo periodo come quello della "moda dandy". Cercherò di spiegare invece, in questo breve appunto sulla moda maschile d'inizio Ottocento, che in questo momento particolare l'invenzione dei dandies (Georges Brummell per primo) è certo essenziale al propagarsi del nuovo stile "all'inglese", ma non crea nulla di nuovo. I germi, se così possiamo dire, di un gusto sobrio e senza fronzoli dava i primi segni di vita nella Francia sanculotta, e nelle campagne dell'Inghilterra di Giorgio III. A fianco possiamo infatti notare un gusto assai brummelliano nel vestire, sebbene il ritratto di David sia datato 1795 (Brummell aveva diciassette anni). L'Inghilterra di Giorgio III aveva già conosciuto il diffondersi di un gusto tutto particolare: quello dello statista "whig" Charles James Fox (1749-1806) e dei suoi seguaci. Fox, in quanto uomo politico, era un ammiratore dei francesi rivoluzionari, ed il suo sogno ricorrente era quello di cacciare il re a pedate fuori dall'isola. Fox studiava attentamente la sua negligenza vestimentaria, arrivando perfino a consumare gli abiti, spesso bucati o mal rammendati, portava parrucche spettinate e poco incipriate, appariva spesso con la barba di qualche giorno, il gilet macchiato, una pinta di birra mezza piena alla mano. Le caricature dell'epoca lo dipingono spesso nelle vesti di uno straccione grasso e unto, tanto la sua negligenza in fatto di guardaroba doveva scioccare i suoi contemporanei. Fox fece tuttavia scuola: con sé portava ovunque un drappello di seguaci politici, tutti "abbigliati" allo stesso modo. Si tenga conto che siamo ancora alla fine del Settecento: bottoni ricoperti di diamanti, giacche in velluto di seta, fibbie dorate sulle scarpe, merletti e parrucche erano lo chic del galantuomo... (Nell'immagine: James Fox in un ritratto di Sir Joshua Reynolds). La negligenza di Fox non ispirò certo il dandismo. Ma potremmo dire che ne diede, in un certo senso, la giustificazione all'occhio popolare. Vediamo in questo figurino datato 1802 l'uomo nuovo del nuovo secolo: se, come dice Adolf Loos, l'ornamento è delitto, qui possiamo star certi che se Loos fosse vissuto in periodo di Reggenza sarebbe stato un perfetto dandy. Gli orpelli sono ridotti ai minimi termini, e si preferisce porre attenzione al dettaglio di taglio e tessuti. Le stravaganze del Direttorio francese sono dimenticate, ed ora è Londra a dettar legge in fatto di gusto. E' la pace di Amiens a favorire il dialogo tra Francia e Inghilterra: gli effetti li abbiamo qui in evidenza, trattandosi di un figurino tratto dalla rivista "Costume Parisiens", anno X, numero 355. Parigi e Londra danno vita a quello che oggi chiamiamo stile classico: gli stilemi son già tutti qui. Tra 1799 e 1804 il guardaroba del gentiluomo si compone ancora di abiti cosiddetti semplici e pratici. La giacca, sorta di frac-redingote, è a doppiopetto, a vita altissima, corta davanti e lunga dietro, con code al ginocchio. Il collo è molto alto e ribattuto, e scende sulle spalle in due grandi revers, richiudibili grazie a dei bottoni ma più spesso lasciati aperti di modo da mostrare la formidabile cravatta bianca. Le maniche, piuttosto attillate, son plisettate o stropicciate alla spalla, e svasate sul polso, aperto, che ricopre la mano fino a mezzo palmo. I primi cinque anni del nuovo secolo seguono in linea di principio la moda del precedente: l'uomo è negligé, "stropicciato". Il gilet è corto e a falde diritte (falde che arrivano a mezzo ventre), e supera di poco la lunghezza della giacca, sbordando di uno o due centimetri. Può essere mono o doppiopetto, con un piccolo collo diritto e due revers imponenti, che spesso escono a ricoprire quelli della giacca. Ma, a partire dal 1800, i revers del gilet spariscono e il collo aumenta in altezza senza però superare quello della giacca. Il pantalone può essere aderente o larghissimo. Se è stretto ricorda le culotte, si ferma alle caviglie e lascia in mostra degli scarpini scollati, oppure entra in stivali senza tacco, e si dice allora "pantalone alla ussara". Se largo può presentare tre o quattro pinces; scende sino ai piedi, sui quali si piega leggermente, ma può anche infilarsi bruscamente in un paio di stivali alti al polpaccio. Si inziano a portare le bretelle. In città il cappello più usato è il cilindro, dalle falde generalmente larghe. Il bicorno, portato "alla battagliera" (cioè con le punte sopra le orecchie), diviene il cappello elegante, ufficiale. I capelli, dopo esser stati portati all'"orecchie di cane" (corti ovunque ma lunghissimi sulle tempie e sulla fronte), si portano corti e ondulati a partire dal 1800. Un tentativo di ritorno alla cipria sui capelli non riscuote molto successo, dacché Bonaparte non appare favorevole. (In questa caricatura originale, che ha il semplice scopo di ridicolizzare la moda contemporanea, vediamo tre "incroyable"... piuttosto al passo coi tempi). Tra 1804 e 1811 la giacca a code si fa meno abbondante, e più sciancrata in vita. Le maniche son meno stropicciate, e si cominciano ad intravedere le punte del colletto della camicia emergere tra le pieghe della cravatta. Il pantalone è quasi sempre attillato: si presenta piuttosto corto e negligé e, verso il 1810, abbottonato ai lati per montare a cavallo. Le culotte non vengono quasi più fabbricate in daino, ma con lo stesso nome si inizia ad indicare uno speciale fustagno dalla mano morbida e dal colore giallo-beige chiaro. In questo periodo anche i colori divengono sobrii, autunnali: alle corte, gli stessi che compaiono oggi in un classico guardaroba maschile, ovvero il nero, il blu (chiaro o oltremare), il verde bottiglia, il marrone, il beige, il grigio ferro. Brummell era fedele al blu scuro per il pomeriggio e la sera, mentre pare che al mattino preferisse mettere una giubba azzurro chiaro. Fonti inesatte (e maligne!) parlano di un Beau vestito completamente di bianco panna; dicerie che contribuiscono oggi a farne un eccentrico, cosa che non era affatto. Tuttavia il color crema era usato, come notiamo in questo autoritratto di Louis Leopold Boilly (mi scuso per la cattiva qualità dell'immagine), del 1800 circa. Il cappello più gettonato tra 1804 e 1811 rimane il cilindro, che inizialmente è svasato in alto, ed in seguito diventa cilindrico o a tronco di cono, col bordo abbassato davanti e dietro. Lo si porta su capelli pettinati "alla colpo di vento", ovvero riportati in avanti, sovente ondulati o arricciati artificialmente; molti gentiluomini, anche tra i più giovani, ricorrono volentieri a tupè e parrucche se la loro chioma non risulta essere abbastanza abbondante per una simile coiffure, che ne richiede in abbondanza. In questo periodo è ugualmente abituale farsi crescere dei fluenti favoriti e basettoni che scendono assai sotto le orecchie. A seconda dell'orario e della circostanza, si calzano stivaletti ben attillati alla caviglia, oppure eleganti scarpini scollati decorati da due fibbiette, di derivazione settecentesca. (Disegno di Ingres, 1816). A Parigi, la redingote era inzialmente concepita come soprabito, anche se quasi da subito la si indossò direttamente sopra il gilet. A partire dal 1817 la redingote da mattino è molto lunga e a doppiopetto. Altre, sagomate, a collo ribattuto e fermato bordo contro bordo, son dette "all'inglese"; altre ancora, come quella nell'immagine, doppiopetto e gallonate, vengono definite "alla polacca". Tutte queste denominazioni son invero tracce lasciate dalle armate occupanti stazionarie in Francia nel 1815, o da visitatori stranieri di passaggio a Parigi. In città, nel pomeriggio, si portano pantaloni attillati e fissati alle calzature con dei laccetti che si fissano sotto le suole. Ma, per il mattino, è il pantalone largo a riscuotere maggior successo. Nel 1817 lo si stringe alla caviglia, "alla russa", o lo si porta (col nome di pantalone "all'americana"), con l'orlo corto, sopra la caviglia. In questo disegno del 1816 di Ingres notiamo che il primo uomo, sulla sinistra, indossa una redingote a monopetto con revers sciallati e paramani decorati alla militare. Spalle di redingote e frac sono le stesse che troviamo nei due secoli precedenti: strette e rimontanti la spalla naturale. Lo stesso tipo di spalla che vedremo ancora sulle giacche del 1910-1920, un secolo dopo. Il ragazzo a destra veste un abito che potrei identificare come di corte, o sorta di divisa ussara. Qui dovrei chiedere l'aiuto di esperti in materia di uniformi... Uno dei soprabiti o cappotti più usati era il modello detto carrick, di lunghezza estremamente variabile (poteva esser corto al ginocchio, o lungo sino alle caviglie, come era di moda in Francia nel 1814). Particolari sono i colletti, da quattro fino a otto, l'uno posato sull'altro e di dimensioni assai vaste, tipo mantellina. Le maniche, larghe e lunghe, coprono completamente le mani. Splendido modello di carrick in un disegno di Ingres datato 1815. Si noti l'effetto morbido e rilassato della silouette maschile di questo periodo, che andrà ad irrigidirsi col passare del tempo, sebbene gli indumenti restino pressappoco sempre gli stessi sino al 1830. Rimarchevole il peso di questi abiti, confezionati in tessuti pesanti e piuttosto duri di mano, simili a quelli che ritroviamo oggi nel guardaroba ufficiale di un militare d'alto grado. Indumento essenziale resta la camicia. Questa era rimasta pressappoco la stessa che già usavano i ricchi aristocratici del Rinascimento. Nel corso del Seicento e del Settecento né colletto né maniche né altro aveva cambiato minimamente disegno e forma: esaminando le sagome dell'epoca notiamo che la confezione era improntata ad un massimo risparmio del tessuto (sempre lino, più o meno fine a seconda della qualità del tessuto). Nell'Ottocento la camicia cambia di poco: il colletto si alza considerevolmente, e viene lasciato molle e ripiegato, oppure viene drasticamente inamidato per permettere buona tenuta alla cravatta e garantire una postura conveniente al gentiluomo che la indossa. Dacché durante i due secoli precedenti lo sparato non si vedeva, nascosto sotto pizzi e gilet, era una parte della biancheria che non veniva particolarmente curato. A partire dal 1810 lo sparato si mostra tra cravatta e gilet, e lo si comincia a plisettare o a decorare con fiori bordati a mano, o con altri motivi ornamentali, in genere bianco su bianco. I polsini son lunghi e stretti, aperti, di modo che spuntino graziosamente fuori dalle maniche della giacca, di per sè già lunghe (coprivano metà della mano). Per la prima volta si fa uso di bottoni da camicia, e si eliminano gli antichi sistemi di chiusura (spaghi di lino annodati). In questo ritratto (eseguito da Ingres) di François-Marius Granet, notiamo che il colletto della camicia è molle e ripiegato in maniera asimmetrica e "mobile", una sorta di moda romantica che voleva il giovin signore d'aspetto poetico, anticonformista e a suo agio tra le insidie della natura selvaggia (sic). Sebbene il ritratto sia del 1807, notiamo che il giovinotto porta una cravatta nera: questa era invero d'uso normale già dalla fine del secolo precedente (se ne portavano pure di colorate, spesso a righe), ma sino al 1830 era la cravatta bianca ad essere il "must" per l'uomo elegante. Incondizionatamente, dichiaro tutta la mia ammirazione per il mantello con cappuccio, gettato sulle spalle con tanta disinvoltura, che, quasi quasi, nemmeno lo si nota. Abbiamo fatto cenno alla cravatta, e allora tanto vale mostrare anche quest'immagine, notissima, che compare su tutti i manuali d'eleganza dell'epoca. I nodi erano parecchi, uno più complesso dell'altro, e a volte (debbo dire) ci sfuggono le differenze tra loro - se non nei nomi, tutti assai pittoreschi. Difficile parlare in questa sede della cravatta d'inizio Ottocento, perché è cosa che meriterebbe un post a parte. Constatiamo soltanto che la lunghezza delle cravatte era di circa due metri, variabile a seconda del diametro del collo; si avvolgevano attorno al colletto incrociando le gambe dietro la nuca, e poi annodandole sotto la gola. Le punte potevano essere a scalpello sbieche (più comuni) o simili a quelle d'oggidì, ma più allungate. Dettaglio di un pantalone d'epoca. La patta è rimasta identica, a partire dalla fine del Rinascimento; si semplificherà, venendo ad essere simile a quella attuale, solo negli anni '50 del XIX secolo. Il retro del pantalone poteva essere simile a questo, sebbene nella maggior parte dei casi l'apertura posteriore fosse già stata eliminata in favore di una linea simile a quella attuale, senza tasche (a causa delle code delle giacche, che mettevano in mostra il derriére dei galantuomini per la prima volta dal Rinascimento). Quelle che vediamo sono culotte di fine Settecento, in velluto di seta marrone. Figurino degli anni '20 del XIX secolo. Rimarchevole il complesso incrocio di tagli sulla schiena: le spalle dei quarti laterali scendono, in effetti, sino alle scapole per poi congiungersi coi quarti anteriori (cosa che evita la cucitura sulla spalla naturale, giudicata brutta), una complessità di tecnica che dava vita ad una giacca perfettamente aderente al corpo e, allo stesso tempo, comoda. I pantaloni erano spesso fatti di un pezzo soltanto per gamba, con cucitura all'interno (per le stesse ragioni della spalla: una cucitura era giudicata brutta a vedersi). Oppure, come in questo caso, di ben quattro pezzi per gamba, cosa che permette al pantalone di seguire perfettamente la linea naturale di cosce, ginocchi e polpacci... e non solo. Le signorine di buona famiglia dovevano arrossire parecchio al passaggio di uno di questi giovanotti. Un patron da capospalla del 1820 circa. Vittoria Debuzzaccarini, nel suo libro "La giacca da uomo" (Zanfi editore) fa notare che le sagome di quest'epoca denunciano un certo squilibrio tra le diverse componenti dell'abito. Io non ne sono convinto. Lo stesso gioco intricato dei quarti posteriori lo notiamo in questa giacca d'epoca 1830-1835 circa. Siamo già alla fine del nostro percorso, e questa giacca dimostra come le linee della siluette maschile si siano rifinite e "ripulite" rispetto al gusto "stropicciato" d'inizio secolo. La sciancratura alla vita è evidentissima, i volumi son solidi e lisci, scarse o assenti i plissè alle maniche e alle falde. La manica, che qui vediamo meglio rispetto a dei semplici disegni, è tagliata curva, per dar modo al gomito di piegarsi senza spiegazzare la manica stessa. Artificio già in uso fin dal 1670, che perdurerà sino alla fine del XIX secolo. Non ci si fidi del color verde chiaro: i colori scuri dei tessuti d'epoca tendono a schiarirsi moltissimo col tempo (e con la luce lunare, a quanto pare), fino a far tramutare gli originali neri e blu in fascinosi verdi brillanti. Qui sotto, dei figurini di moda degli anni 1830-1835. Il gusto è cambiato, sia in fatto di donne, che di mobilio, che di abbigliamento. L'uomo degli anni '30 preferisce il colore, sulle cravatte e sui panciotti. Non lesina i quadri scozzesi sui pantaloni, molto meno attillati, e soprattutto preferisce la cravatta nera! Brummell fu costretto ad usarla quando, rifugiato in Francia e povero in canna, non poteva permettersi la lavanderia. Il Conte Alfred d'Orsay, storico "nemico" del Beau, elegantone e dandy della Londra post-brummelliana, inalberò la cravatta di satin nero come suo marchio di riconoscimento, e da qui la sua fortuna futura. Non posso evitare un'ultimo appunto, di carattere lezioso, da com'è evidente nell'ultima immagine qua sotto. Chi tra i lettori fosse interessato alle mille e più maniere di annodare la cravatta 1800-1830 consulti questo manuale originale (in inglese), e buona fortuna coi tentativi!