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GNOSEOLOGIA DEL DANDY
di Manuel Meneghel

Recenti, tragici ed ineleganti fatti mi hanno spinto a proporre alla Vostra attenzione alcune considerazioni su ciò che un dandy è o dovrebbe essere, nella speranza di trovare tra queste antiche vetrate chi mi possa correggere (se mai sarà possibile), o condividere questo pensiero.
Troppo spesso si tende ad identificare il dandismo con l’eleganza, troppo spesso si riduce il dandismo a pura eleganza in tutti i campi che coinvolge; ammettendo anche che l’unica impressione che si possa avere di un dandy sia quella di un uomo elegante (sarebbe alquanto sciocco dire "molto elegante", poiché l’eleganza o è totale o non esiste), e non dubito che sia corretta o la più sensata, tuttavia a questa eleganza il dandy non potrà mai arrivare attraverso il rifiuto di ciò che eleganza non è. Il punto della questione sta nel come si intende il dandismo. Tendenzialmente sbagliata è la strada che lo inquadra come estrema raffinatezza. Seguendo questo percorso si arriverebbe alla raffinatezza attraverso il rifiuto di ciò che raffinatezza non è, il dandy quindi si troverebbe a sentirsi infinito mentre in realtà egli si è negato una moltitudine di sensazioni che egli riteneva a se estranee perché non raffinate. Quello di credere che il dandy sia in realtà solo un uomo elegante che ha rinunciato alla volgarità del mondo è un profondo errore dovuto a superficiali riflessioni: cosa allora farebbe del dandy una creatura superiore? Egli non avrebbe fatto nulla di più di chi rinuncia alla raffinatezza per concedersi solo alla volgarità. Ma poiché il dandy dev’essere superiore ad ogni altro uomo, allora questa strada è per tutti palese essere contraddittoria e sbagliata. Il dandy, se è tale non sente nulla a se estraneo, ma sente se stesso superiore a tutto.
Egli deve provare ogni singola sensazione, nulla deve eliminare di ciò che esiste al mondo. Egli non deve limitarsi ad una sola strada (quella dell’eleganza), ma deve attraversarle tutte. Il dandy è un eroe romantico, che non esclude nulla dalla propria vita, che apre i propri sensi sino a percepire ogni singolo sentore, è questo il senso dell’edonismo estetico. Il dandismo è un procedere verso l’assoluto, verso la libertà da ogni vincolo: morale, sessuale, persino estetico. Il dandy riderà davanti agli snob o ai raffinati che rifiutano tutto ciò che non è eleganza, si farà beffe di loro perché lui è superiore anche alla bellezza e all’eleganza. È un eroe Hegeliano prima ancora che decadente, rappresenta la storia e l’assoluto( egli cioè ha fuso in se tutto il genere umano) nulla lo può scandalizzare, è egli stesso uno scandalo. Mentre ogni uomo sceglie una sola strada, il dandy vuole sceglierle tutte e conoscerle tutte, è molto lontano dal vero l’esteta Kierkegaardiano, il dandy non scappa dal proprio passato anzi, il suo compito è quello di ridurlo in se. Il dandy è un dio proprio perché ha annullato tutto ciò che è umano, sarà un mostro e un angelo, (come l’Innominato farà il bene e il male a suo piacimento), l’uomo non può comprenderlo, né il dandy vive per essere compreso dagli uomini, vive per se stesso.
E l’eleganza? Nel dandy occupa lo stesso spazio che in lui occupa l’ineleganza. Il dandy non sarà né elegante, né raffinato, né volgare né sciatto, sono queste caratteristiche troppo finite e non possono spiegare un universo infinito quale è quello del dandy. Il dandy è intonato. È nel posto giusto nel momento giusto con l’abito giusto. Nessun luogo gli è precluso, nessun tipo ti uomo gli è antitetico. Egli si troverà a suo agio nel migliore ristorante di Londra come nella peggiore taverna di Bombay, tra i più eleganti uomini di cultura o tra le bestemmie di marinai ubriachi di cattivo liquore. Il dandy non può conoscere limiti, nella sua intonazione egli racchiude tutte le eleganze e tutte le ineleganze e le combinerà sino a fare della sua vita un’opera d’arte. È necessario, il dandismo è un monismo e quindi deve raccogliere anche le contraddizioni. Da Ovidio e Petronio Arbitro (i due maggiori dandies dell’antichità) a oggi, il registro stilistico delle grandi opere d’arte è sempre vario. Così anche nella vita del dandy ciascun limite viene fuggito. Per esempio, la raffinatezza del dandy non sta nel fuggire le espressioni del sermo vulgaris, ma nel saperle inserire a regola d’arte nelle sue creazioni. Allora si capirà perché l’Ars Amandi e il Satyricon comprendono così tante locuzioni oscene, e, se estrapolate dal testo, sicuramente volgari, ma poiché funzionali, eleganti. Idem per le opere più immorali eppure belle.
Tutto è dandistico se inserito in un contesto dandistico da un dandy.
Il dandy è colui che si è liberato da tutto, anche da stesso, perché ha compreso tutto più se stesso.
Quando gli esteti come Wilde dicono che la filosofia deve essere fuggita, parlano in realtà di loro. Nessuna filosofia può essere abbracciata dal dandy, perché, per quanto estesa, rappresenta comunque una limitazione. Il dandy detesta le limitazioni. L’unica filosofia del dandy è il dandismo.
Non posso tuttavia fare a meno di notare che spesso incontriamo i dandies nelle società più sottoposte a ferree leggi (si pensi solo al Principato Augusteo o alla Londra Vittoriana ), poiché non si può negare la storia, non credo che il loro compito fosse quello di assicurarle, semmai quello di sconvolgere. I ferrei princìpi di due grandi imperi (quello Romano e quello Britannico, interessate il fatto che tali leggi venivano considerate eleganti!) hanno spedito Ovidio in esilio per il suo erotismo in arte, Oscar Wilde in galera per la sua omosessualità in vita. Ecco che allora forse si comprenderà quanto al dandy qualsiasi legge stia stretta almeno quanto l’eleganza.
Ciò è importante per vedere come agisce il dandy sulla storia: il dandy non alza mai la voce contro i limiti delle società, tuttavia, nel suo tacito accettare le leggi finisce per cambiarle.