Documenti

TRATTO DA "CONTROCORRENTE" (1884)
di Joris-Karl Huysmans (1848-1907)

Ormai aspirava semplicemente a crearsi - pel proprio piacere, non più per sbalordire altrui - un interno provvisto d'ogni comodità, eppure messo in modo non comune; a formarsi un nido singolare e tranquillo, adatto ai bisogni della futura solitudine.
Quando l'architetto cui l'aveva affidata, gli consegnò la casa allestita di tutto punto in conformità dei suoi piani e desideri; quando non restò più che fissarne l'arredamento e la decorazione, daccapo egli riprese a suo agio in esame tutti i possibili colori e le loro gradazioni.
Voleva dei colori che si affermassero alla luce fittizia delle lampade; poco gli importava che a quella del giorno risultassero sfacciati o scialbi.
Quasi solo di notte viveva, stimando che di notte in nessun luogo si stava bene come in casa, in nessun luogo era più solo e che l'anima non spiccava il volo e non fiammeggiava che nell'immediata vicinanza dell'ombra. Trovava pure un particolare godimento a restare in una camera bene illuminata, desta e all'erta essa sola, tra tante case piene di buio e di sonno; godimento in cui entrava forse una punta di vanità; compiacimento affatto egoistico, che conosce chi lavora sin tardi, quando, alzando le tendine della finestra, constata che tutto intorno a lui è spento, tutto è muto, tutto è morto.
A suo agio, scelse a una a una le tinte.
L'azzurro, alla luce delle candele, dà in un verde posticcio; se è carico, come l'indaco e il cobalto, diventa nero; se è chiaro, volge al grigio; se è limpido e tenero come la turchese, s'offusca e si ghiaccia. A meno dunque di associarlo come complementare ad un altro colore, non c'era da pensare di farne la nota dominante d'un ambiente.
D'altra parte, i grigi ferro, alla luce artificiale, s'imbronciano di più e s'appesantiscono; i grigi perla perdono l'azzurro e si mutano in bianco sporco; i bruni, s'addormentano e si raffreddano; quanto ai verdi carichi, come sarebbe il verde-imperatore ed il verde-mirto, si comportano nello stesso modo dei verdi densi e si fondono coi neri.
Restavano dunque i verdi più chiari, come il verde-pavone, i cinabri e le lacche; ma allora la luce artificiale esilia il loro azzurro, per non serbare che il giallo, il quale non conserva a sua volta che un tono falso, un sapore equivoco.
Neanche c'era da pensare ai colori salmone, granoturco; né ai rosa: l'effeminatezza di queste tinte contraria i propositi d'isolamento. Non c'era infine da prendere in considerazione i violetti, i quali si spogliano: solo il rosso che contengono viene a galla la sera; e che rosso! un rosso vischioso, la feccia d'un vino ignobile. Giudicava d'altronde affatto inutile ricorrere a questo colore quando, ingerendo una certa dose di santonina, si vede violetto: ciò che rende agevole mutare, lasciandole al loro posto, la tinta delle tappezzerie.
Scartati questi colori, non ne rimanevano che tre: il rosso, l'arancione, il giallo.
A tutti preferiva l'arancione. Trovava così in se stesso conferma ad una teoria ch'egli dichiarava pressoché matematicamente esatta: che una armonia, una rispondenza esiste tra la natura sensuale d'un vero artista ed il colore che i suoi occhi apprezzano meglio e cui sono più sensibili.
Trascurando infatti la grande maggioranza degli uomini che han la retina così grossolana da non apprezzare né la cadenza propria a ogni colore né l'arcano fascino delle gradazioni e delle sfumature; trascurando del pari l'occhio del borghese, insensibile alla pompa e al vittorioso squillo dei toni alti e vibranti; non prendendo in considerazione che gli individui dalla pupilla squisita, educata dalla letteratura e dall'arte, gli pareva fuori dubbio che l'occhio di quello fra di essi che sogna l'ideale, che reclama delle illusioni, che implora dei veli nei tramonti, è di solito accarezzato dall'azzurro e dai colori che ne derivano, quale il malva, il lilla, il grigio perla: purché tuttavia essi restino tenui e non varchino il limite oltre il quale divengon altri, si trasformano in violetti puri, in meri grigi.
Quelli invece che procedono a passo di carica, i pletorici, i bei sanguigni, i solidi maschi che disdegnano i preludi e gli intermezzi e s'avventano perdendo subito la testa, per la maggior parte costoro applaudono ai luccichii sfacciati dei gialli e dei rossi, ai colpi di tamburo dei cinabri e dei cromi che li accecano e li sborniano.
Insomma, l'occhio delle persone deboli e nervose che han bisogno, per risvegliare l'appetito, di cibi affumicati o piccanti; l'occhio di chi è sovreccitato ed estenuato predilige, quasi sempre, l'arancione: questo colore dagli splendori fittizi, dalle febbri acide.
La scelta di Des Esseintes non lasciava dunque adito a dubbi; ma innegabili difficoltà si presentavano ancora. Se il rosso e il giallo s'esaltano alla luce, lo stesso non sempre si può dire del loro composto, l'arancione: che si tramuta ben spesso in rosso-nasturzio, in rosso-fuoco.
Alla luce delle candele studiò tutte le sue gradazioni e ne scoperse una che gli parve non dovesse subire squilibri ed eludere la sua attesa.
Ottenuto questo primo risultato, si propose di scartare, per quanto possibile - nell'addobbo almeno dello studio - stoffe e tappeti orientali, diventati, oggidì che i mercanti arricchiti se li procurano con poca spesa negli empori di novità, così stucchevoli e così ordinari. Tutto considerato, decise di far fasciare le pareti come si rilegano i libri: di marocchino a grana grossa schiacciata, con pelle del Capo resa lustra da robuste lastre di acciaio sotto un torchio pesante.
Quando le pareti furono addobbate, fece dipingere i tondini e la cimasa in indaco carico, in un indaco laccato simile a quello che si adopera per i pannelli delle carrozze; e la volta, un po' arrotondata, rivestita del pari di marocchino, schiuse, come un'immensa finestra tonda incastonata nella sua buccia d'arancio, un cerchio di cielo in seta azzurro-del-re, nel quale si libravano ad ali spiegate serafini d'argento, recentemente ricamati dalla Confraternita dei Tessitori di Colonia per un antico piviale.
La sera, quando ogni cosa fu a posto, tutto si conciliò, s'affatò, prese unità. Lo zoccolo immobilizzò il suo azzurro, sostenuto per così dire, riscaldato dagli arancioni: che, a loro volta, si mantennero schietti, appoggiati e in certo modo attizzati che furono dall'incalzare dei blu.