BEATON: SPLENDIDA ILLUSIONE di Antonio Monda Detestava i Windsor mentre apprezzava Audrey Hepburn e la Garbo con cui ebbe una delle poche relazioni etero della sua vita. Pochi mesi prima di essere colpito da un ictusche ne ridusse drasticamente l’attività motoria, Cecil Beaton si recò ad un ballo offerto da Marie Melene Rotschild il cui tema era "il mondo di Proust". Nonostante avesse ormai quasi settanta anni, ed avesse partecipato ai più esclusivi eventi mondani del pianeta, Beaton continuava divertirsi enormemente all’idea di vivere da protagonista il mondo che aveva contribuito a rendere mitico, e scelse di impersonare Nadar, per sottolineare di non sentirsi affatto inferiore ad un artista leggendario, e mettere alla prova la cultura dei ricchi e famosi di cui amava circondarsi. Durante tutto lo svolgimento del ballo, nel quale fece sfoggio di confidenza assoluta con i potenti di mezzo mondo, Beaton si divertì a carpire l’attimo di spaesamento che rifulgeva sul viso degli ospiti quando rivelava quale fosse il suo travestimento, per poi spiegare a Grace di Monaco, la duchessa di Windsor ed Elizabeth Taylor la grandezza dell’unico imprescindibile inimitabile Nadar. Come sempre, quella notte riuscì a rubare la scena a tutti, e andò via dal castello con l’aria di chi fosse sul punto di andare ad una festa ancora più esclusiva, nella quale non c’era bisogno di spiegare chi fosse Nadar, e alla quale aveva fatto il sacrificio di rinunciare per salutare qualche vecchio amico. Prima di addormentarsi, Beaton annotò l’accaduto sul proprio diario, e in margine al racconto della festa appuntò una frase che aveva già scritto quasi quaranta anni prima: "sono riuscito a fare della mia vita una finzione divertente". Le memorie di quella notte cristallizzata in un tempo mai esistito, e di tante altre serate segnate dallo sfarzo e lo snobismo, sono diventate l’oggetto del più divertente diario pubblicato da molti anni a questa parte, uscito in America in occasione del centesimo anniversario della nascita di Beaton (1904-1980) con il titolo The unexpurgated Beatone. The Cecil Beaton diaries as he wrote them (Knopf, pagg. 508 $35). I lunghissimi testi, raccolti in versione integrale grazie al lavoro certosino di Hugo Vickers, raccontano gli incontri, gli scontri, gli amori, le rivalità infinite e I momenti di ricerca artistica di un uomo che seppe celebrare il fascino della vacuità e riuscì nello stesso tempo a condannarne l’inevitabile fallacia. Che immortalò degli ideali di bellezza eterna in fotografie e costumi raffinatissimi, ma che intuì in ogni momento della propria esistenza di vivere all’interno di una splendida illusione, che nella migliore delle ipotesi riusciva ad abbellire con il suo grande talento poliedrico. I diari, la cui parte inedita risale agli ultimi dieci anni di vita, consegnano il ritratto di un uomo che sente il peso inesorabile degli anni, e vive con graduale disincanto la lunga serie di successi che per tutta la giovantù volle identificare con la felicità. Agli occhi di Beaton la vecchiaia rappresenta la più grave ed assurda di tutte le malattie, e la scoperta di un tumore alla prostata che annullò ogni attività sessuale appare come un’ulteriore bestemmia, che ne prostra definitivamente la psiche e ne umilia la straordinaria ironia. Ma il finale malinconico non è altro che il contraltare di una esistenza scintillante, in cui Beaton riuscì a mettere in pratica il programma che impose sin da giovane a se stesso e a tutta la sua arte: "cerca di osare, essere differente e, soprattutto, di non essere mai pratico. Lotta contro ciò che è ordinario. Le routine avranno anche i loro fini, ma sono anche le nemiche assolute della grande arte". La ricerca del sublime, che sperimentò dopo esperienze eclettiche (fu fotografo di guerra di valore, e si cimentò anche nella fotografia sportiva) portò in realtà Beaton a scontrarsi con personaggi e situazioni assolutamente fuori dall’ordinario, ma quello che colpisce maggiormente in questi diari, al di là del gusto per la battuta velenosa, e la civetteria di evidenziare una conoscenza esclusiva di un mondo in cui non era certo nato (la sua umilissima famiglia era composta da maniscalchi e commercianti in legname), è la reazione amara, e spesso violenta, di fronte ai limiti e alle debolezze che caratterizzavano inevitabilmente protagonisti e situazioni che era il primo a voler mitizzare. Quando divenne fotografo ufficiale della corona d’Inghilterra, Beaton entrò in intimità sia con la regina Elisabetta che con la regina madre, e perfino nei loro confronti non lesinò critiche che riguardavano la carenza di buon gusto dei Windsor e la perplessità riguardo all’avvenenza della principessa Anna. Ma i racconti di Buckingham Palace, che sconfinano nel pettegolezzo d’autore, sono tra gli aspetti più caduchi del diario di un uomo che aveva troppa considerazione si sé per essere semplicemente un artista di corte. Prima di diventare uno dei fotografi più imitati e seducenti del secolo, un costumista che riuscì ad imporre la propria immagine ai registi (vincendo anche due oscar per Gigi e My Fai Lady), Beaton costruì il proprio personaggio cercando il dialogo e la provocazione con artisti che aveva l’ambizione di migliorare insieme a se stesso. I diari ci raccontano che detestava Katherine Hepburn (assomiglia ad uno "stivale rinsecchito"), la quale aveva interpretato una versione della vita di Coco Chanel di cui Beaton aveva curato le scene, trasformando ai suoi occhi lo spettacolo da una "millefoglie a un budino". Amava invece Audrey Hepburn, che ritrasse in quella che forse è la sua foto più celebre, e per cui disegnò i costumi di Eliza Doolittle, la fioraia analfabeta che conquista l’alta società. Fu tra le prime persone che Beaton ringraziò quando la regina gli attribuì il titolo di Sir, dopo averne celebrato pubblicamente l’opera infaticabile per rendere il mondo un luogo più bello e armonioso. Di Greta Garbo, di cui fu fotografo e poi amante in una delle poche relazioni eterosessuali della sua vita, Beaton scrive che era "mezzo ragazzo e mezzo donna". Da quanto racconta al crepuscolo della propria esistenza il rapporto fu segnato da un trasporto autentico, e perfino da una buona dose di sentimentalismo: "(Ballammo tutta la notte If I loved you che divenne da quel momento la nostra canzone"). Frequentò ed immortalò nelle sue immagini elegantissime Marlon Brando e Marilyn Montroe, Albert Finney e Barbara Streisand, ed anche con loro mantenne fede al suo personaggio di esteta raffinato e vagamente annoiato, facendo notare che le frequentazioni a cui teneva particolarmente erano soprattutto quelle di artisti, intellettuali e politici quali Pablo Ricasso, Jean Cocteau e Winston Churchill. Alcuni passaggi dei diari colpiscono per la veemenza di giudizi sprezzanti (Leonard Bernstein è definito il "disgustoso e repellente", Peggy Guggenheim "orribile e sciatta e Virginia Wolf "un suino"), ma nella gran parte dei casi obbediscono ad una delusione rispetto ad un’aspettativa di tipo estetico o artistico. Beaton non poteva accettare il fatto che Dorothy Parker in privato non fosse "mai divertente", e ai suoi occhi di arbiter elegantiarum sembrava assolutamente intollerabile che il mondo intero seguisse sui rotocalchi le vicende sentimentali di due persone "volgari" come Elizabeth Taylor e Richard Burton. Specie negli ultimi anni, era diventato consapevole dell’impossibilità di vivere all’interno di un mondo armonico e perfetto, e cercò di conciliare la propria ricerca estetica con teorie che aveva promulgato in gioventù ("un artista è interessante quando ha una personalità forte a sufficienza per essere scandaloso, ma riesce nello stesso tempo ad essere accettato dagli elementi più conservatori della società"), rivisitando criticamente anche il proprio lavoro. Quando assistette alla riedizione di una Turandot passata alla storia per le sue scenografie, scrisse con delusione: "Ricasso e Derain sono eterni. Noi che lavoriamo in questo medium evanescente non siamo in grado di produrre qualcosa che non sia valido soltanto per il momento". Fu amico, rivale e quindi acerrimo nemico di Truman Capote, con cui condivise il rapporto con David Hockey, e si piccò di essere l’unico a conoscere i segreti di personalità diverse come Rudolph Nureyev, Marlene Dietrich e Rose Kennedy, che tuttavia rifiutava di rivelare nei diari. Frequentò anche Gertrude Stein, a cui dedicò un ritratto di folgorante semplicità (alle spalle della scrittrice si intravede Alice Toklas, leggermente sfocata), e Francis Bacon, che immortalò schiacciato sui propri quadri. Divenne il pupillo di artisti ed intellettuali per la capacità di sintetizzare un intero mondo in un gesto o in una singola immagine, ma in loro compagnia si divertì a spiazzare ogni aspettativa celebrando la vauità di una esistenza basata sull’apparenza: alla festa con il tema "il mondo di Proust" raccontò che la sua personale madeleine era una ballerina bellissima che aveva visto danzare sui tavoli di "Maxim’s" quando aveva cinque anni. Gli ospiti mascherati del castello dei Rotschild lo ascoltarono estasiati mentre ne celebrava le forme seducenti ed il talento innato da danzatrice, e a nessuno venne in mente di verificare come fosse possibile che il figlio di un povero maniscalco inglese si trovasse a quell’età nel più esclusivo ristorante di Parigi.