Truman Capote, lo scrittore del

Varie

Giampaolo Marseglia

da Napoli, lunedì 27 luglio 2020 alle ore 00:41:48

Truman Streckfus Persons nasce a New Orleans nel 1924. I genitori divorziano quando lui ha quattro anni: la madre, molto bella e molto giovane, vince un concorso di bellezza, abbandona la famiglia e si trasferisce a New York. Il piccolo Truman cresce tra l’Alabama, la Louisiana e il Mississippi.

A sei anni va a vivere a Monroville da alcuni parenti e stringe un legame importante con sua cugina Sook: è più grande di lui, ma è rimasta un po’ bambina a causa di una febbre tifoide che le ha procurato un certo ritardo mentale. Sook prepara a Truman delle focacce che insaporisce in segreto con un goccio di whisky, lo aiuta a ritagliare carta colorata per costruire gli aquiloni e lo veste da donna come se fosse la sua bambola.

Quando non è con Sook, Truman passa il tempo in compagnia della sua vicina: Nelle Harper Lee. A proposito: si dice che Truman abbia contribuito in modo sostanziale alla stesura del romanzo Il buio oltre la siepe. Del tipo che l’ha scritto lui. Capote non ha mai confermato, ma non ha neanche smentito.

E adesso fate uno sforzo d’immaginazione: pensate cosa volesse dire vivere nel Sud degli Stati uniti negli anni Trenta. Pensate, ora, cosa volesse dire, per un bambino come Truman, vivere nel Sud degli Stati Uniti negli anni Trenta. La sua infanzia non è felice: l’abbandono della madre lo ha segnato parecchio, così come la lontananza del padre che è rimasto a vivere a New Orleans. La condizione d’isolamento è aggravata dal fatto che i suoi atteggiamenti sono enfatizzati dalla voce stridula e dalle linee minute e aggraziate.

Perciò, un po’ per diletto e un po’ per istinto di sopravvivenza, trova il modo di piacere ai suoi coetanei: comincia a raccontare storie. Scrivere diventa un’ossessione, «semplicemente una cosa che dovevo fare e non capisco neanche io esattamente perché doveva essere così». Ma scrivere non lo rende troppo diverso da ciò che è quindi Truman inizia a inventare piccole bugie. Gli piace che gli altri pensino a lui come a un bambino prodigio; per aumentare la portata del suo talento, dice di essere molto più piccolo della sua età e di non aver mai studiato seriamente.

Giura di aver cominciato a scrivere a otto anni e di aver imparato senza l’aiuto di nessuno. Parecchi anni dopo, durante una lunga intervista condotta da Lawrence Grobel, nella raccolta Colazione da Truman, il nostro genio dirà che a sedici anni era già uno scrittore molto competente: «Tecnicamente, scrivevo bene quanto adesso. Tecnicamente. Avevo capito tutto il meccanismo». Modestia a parte.

Nel 1932, Truman raggiunge sua madre a New York. Lillie Mae ha cambiato nome – ora si fa chiamare Nina – e ha sposato José García Capote, un contabile cubano. Truman Streckfus Persons ora Capote scrive e lavora per il New Yorker come fattorino.

Tra il ’35 e il ’43 invia un pugno di racconti a diverse riviste, ma non ottiene grandi riscontri. I racconti giovanili di Truman Capote sono brani che rivelano diverse ingenuità eppure già si percepisce la ricorrenza di alcuni temi e, soprattutto, la cura del linguaggio: mi riferisco all’affannosa ricerca dei termini più appropriati, non necessariamente nobili, ma capaci di trasmettere immagini e sensazioni nel modo più preciso possibile.

Nel giugno del 1945, la rivista Mademoiselle pubblica Miriam. È la storia di una vedova di sessant’anni, Mrs. H. T. Miller, e di una bambina enigmatica che, per l’anziana donna, diventa una presenza inquietante. Il racconto assume le tinte grottesche tipiche della southern literature a cui lo scrittore fa riferimento, il gotico americano di William Faulkner e Flannery O’Connor, ma con uno slancio in più: Miriam suggerisce al lettore l’ipotesi alternativa del disturbo della personalità della signora Miller, sulla falsariga di Giro di vite di Henry James.

Grazie a Miriam, Capote vince il premio nella categoria miglior primo racconto pubblicato. Le cose vanno così: la sorella di Carson McCullers, Marguarita (Rita) Smith, è l’editor di narrativa della rivista e l’assistente di David. Truman è molto amico delle sorelle McCullers. Colto il potenziale della scrittura di Truman, Rita intercede per lui con il suo capo. Poi gli procura un agente, Marion Ives, e infine scrive una lettera di raccomandazioni che spedisce a Robert Linscott, senior editor della Random House. Linscott legge Miriam e ne rimane folgorato. Approfittando del colpo di fulmine, Capote si lascia sfuggire la trama del libro a cui sta lavorando. L’accordo è concluso: Linscott offre a Truman un anticipo di 1.500 dollari per Altre voci, altre stanze, il romanzo d’esordio pubblicato nel 1948.

È impossibile non riconoscere Truman in Joel Harrison Knox, il protagonista di Altre voci, altre stanze. Eppure l’autore dirà che ci vollero parecchi anni prima che si rendesse conto di aver scritto di sé stesso, del senso d’isolamento che provava e della mancanza di un rapporto con suo padre.

Meno evidente, ma ancora più saldo, è il filo che lega Truman Capote a Holly Golightly, la ragazza con le perle di Colazione da Tiffany, il romanzo del 1958. Holly è l’alter ego di Truman: vive in un appartamento nell’Upper East Side con un gatto, è una creatura frivola e mondana, il suo posto del mondo è una gioielleria. Ogni tanto soffre di una serie di momenti di sconforto che chiama “paturnie”, ma non si sofferma più di tanto.

È il periodo in cui Truman inizia a frequentare la café society di New York, affiancandosi a personaggi come Jackie Kennedy, Humphrey Bogart, Andy Warhol e il collega Tennessee Williams. Truman, il bambino che avrebbe voluto vivere nella Francia del Settecento ed essere molto, molto ricco, è una celebrità.

Due anni dopo la pubblicazione, Colazione da Tiffany diventa un film con Audrey Hepburn e George Peppard. Truman avrebbe preferito Marilyn Monroe nel ruolo della protagonista, ma aveva ceduto i diritti alla Paramount e non aveva voce in capitolo. La verità è che Truman avrebbe scelto la Monroe rispetto a chiunque altro: Marilyn era la sua preferita, il cigno più bello del suo reame (Truman usa il termine swans per descrivere la sua compagnia di amiche). A lei dedica A Beautiful Child, uno dei pezzi più belli scritti durante la sua carriera, almeno così la pensava lui. Il testo è compreso nella raccolta Musica per camaleonti, una combinazione di fiction e non fiction, pubblicata per la prima volta nel 1980.

A proposito di non fiction. Truman Capote ha 35 anni quando, sul New York Times, legge un articolo che riporta un omicidio avvenuto a Holcomb: un’intera famiglia è stata sterminata da due rapinatori. Nella sua mente scatta qualcosa: sente di dover raccontare quella storia. L’idea è di attenersi ai fatti, usando però uno stile di scrittura mai applicato alla cronaca. Il romanzo segue il pensiero che Truman ha sempre avuto: non è importante il materiale trattato dall’artista quanto il modo in cui lo usa. È questo «a fare la differenza tra un talento fuori dal comune e chi ha semplicemente del talento.»

Così parte per il Kansas insieme all’inseparabile Harper Lee e, quando sei settimane dopo i due colpevoli – Perry Smith e Richard Hitchcock – vengono arrestati, Truman li raggiunge nel penitenziario del paese.

Il titolo suggerisce che gli assassini hanno agito in cold blood, senza emozioni. Per contro, la stesura del romanzo si rivela una prova inaspettatamente impegnativa. Qualcuno dice che tra Perry e Truman nasce una relazione sentimentale, ma lo scrittore smentisce. Sente di essere vicino a Perry a un livello più tragico di una semplice infatuazione: i due hanno vissuto un’infanzia molto simile 3, solo che lui – lui, Truman – ha avuto un’opportunità di riscatto, una via d’uscita, che a Perry non è stata concessa. 

Truman impiega sei anni per concludere il romanzo: frequenta Perry e Richard per cinque anni, li segue nel braccio della morte, si fa carico di tutte lo loro pene e i loro timori, e li assiste fino all’esecuzione della condanna, che avviene il 14 aprile del 1965. A sangue freddo, il romanzo-verità pubblicato a puntate sul New Yorker nel 1966, è la prima, vera prova di giornalismo narrativo. Più tardi, Truman dirà che quel libro gli è costato parecchio. In un certo senso l’ha cambiato, scarnificato «fino al midollo delle ossa». Ne è valsa la pena: A sangue freddo è un capolavoro autentico, una commistione eccezionale tra realtà e finzione.

Dopo il successo internazionale di A sangue freddo, Truman Capote è colpito da quella che gli addetti ai lavori definiscono come “la maledizione del secondo libro” o terzo, per i più fortunati (la stessa che ha travolto Richard Yates, per intenderci). Da qualche tempo lavora a un nuovo romanzo: insegue la scia del giornalismo narrativo, ma abbandona la cronaca nera. La sua nuova ispirazione è il jet set di Manhattan.

«Tutta la letteratura è pettegolezzo» dichiara in un’intervista rilasciata a Playboy in occasione dell’uscita del racconto La côte basque, titolo che prende il nome dal ristorante di Henri Soulé nella East 55th dove si riuniscono i maggior esponenti dell’alta società. Per La côte basque, Esquire offre 16.000 dollari. Quel racconto è il primo capitolo di un progetto più ambizioso, un romanzo in otto parti che avrebbe dovuto intitolarsi Answered Prayers. A Dark Comedy About the Very Rich. Ma Capote non riesce a portarlo a termine: Preghiere esaudite, infatti, viene pubblicato postumo nel 1986 e contiene solo tre racconti.

Per farla breve: Truman decide di rivelare i segreti dei suoi amici, ovvero di quelle persone che ha faticosamente conquistato, nonostante le sue origini. È convinto che non subirà alcun tipo di ripercussione («Nahh, sono troppo stupidi. Non si riconosceranno») e questa ingenuità gli è fatale; nonostante l’uso di pseudonimi, i riferimenti a fatti e persone sono così precisi che non lasciano dubbi: Lady Coolbirth è Slim Keith, Ann Hopkins è Ann Woodward e Sidney Dillon è William Paley.

Liz Smith, allora giornalista freelance, ebbe l’occasione di portare alla pubblica attenzione ciò che succedeva. La Smith scrisse un pezzo sulla reazione della società alla pubblicazione di La côte basque: Truman Capote in acque agitate; il cui sottotitolo è «I mostri sacri dell’alta società sono in stato di shock. Mai si è tanto sentito gridare al tradimento, mai tante urla di lesa maestà…!». L’articolo è accompagnato da una caricatura di Edward Sorel nella quale c’è Truman raffigurato come un barboncino che addenta la mano di una signora (Capote morde le mani che l’hanno nutrito è la didascalia).

Il racconto è affidato a un’eccentrica voce narrante: lo scrittore P. B. Jones che, per arrotondare, si ricicla come escort d’alta classe. Capote racconta tutto, persino l’episodio di Ann Woodward, che spara al marito scambiandolo per un ladro d’appartamento. La Woodward si tolse la vita pochi giorni prima che Esquire uscisse in edicola; si sparse la voce che si fosse gettata dalla finestra perché ne aveva visto in anticipo una copia.

Qualcuno disse che non si assisteva a uno scandalo di tale portata «dai tempi in cui Marcel Proust aprì le porte dei salotti del Faubourg Saint-Germain a suon di adulazioni». Truman Capote non era mai stato gentile, neanche con i suoi colleghi (Saul Bellow era “una nullità”, Pynchon era “orrendo”, Kerouac era un “buffone”, Malamud era “illegibile”. Di Hemingway diceva che era un omosessuale latente. Joyce Carol Oates? Testualmente: «Uno scherzo della natura che dovrebbe essere decapitato in un auditorium o in uno stadio o in un campo con centinaia di migliaia di spettatori.»), però non era mai andato sul personale. O almeno, non in modo gratuito. O, almeno, non in un libro.

La fama di Truman Capote sbiadisce: l’idea che tutti hanno di lui è di uno che è stato un grande scrittore, uno scrittore che ha scritto un bestseller da cui è stato tratto un film, che poi si è venduto per soldi e celebrità, al prezzo della sua salute e del suo stesso talento.

Negli ultimi anni della sua vita instaura una serie di relazioni fallimentari, con uomini che sfruttano quel che rimane del suo patrimonio, e comincia a collezionare una serie di aneddoti imbarazzanti. Come quella volta che fu chiamato dall’Università del Maryland per una lezione di scrittura: Truman è sul palco, tra il rettore e vari esponenti scolastici. È ubriaco, come spesso accade. A un certo punto si alza, inveisce contro gli studenti e cade giù dal palco. Il giorno dopo, il Washington Post pubblica un articolo in prima pagina su un certo scrittore che viene trascinato fuori all’aula di un’università.

Truman Capote muore per una cirrosi epatica il 25 agosto 1984, mentre si trova a Bel Air, ospite della fedele amica Joanne Carson, poco più di un mese prima del suo sessantesimo compleanno. Come disse il poeta James Dickey, incaricato di dare l’estremo saluto allo scrittore: «Truman, come Proust, aveva descritto e assistito e partecipato in prima persona alla decadenza. Se c’è magia nella vita americana, la si può trovare dove grandi somme di denaro vengono spese in ambienti lussuosi e raffinati che esistono per sfoggio o per piacere: una magia corrotta e sfibrante, eppure l’unica in cui la nostra cultura creda veramente».

Maria Di Biase, gennaio 2020.



















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Giampaolo Marseglia

Quella sera, al ballo in maschera organizzato da Truman Capote, c’erano tutti i suoi “Cigni” in bella mostra. Le chiamava così,Truman, i miei cigni. Erano le donne più importanti del mondo, le socialites, mogli (più ex mogli,in effetti) figlie o sorelle degli uomini più ricchi e potenti del mondo.

I suoi cigni preferiti erano Barbara Babe Paley, Gloria Vanderbilt, C. Z. Guest, Gloria Guinness, Slim Keith, Lee Radziwill e sua sorella Jacqueline Bouvier in Kennedy-Onassis, la principessa Marella Caracciolo in Agnelli (Gianni), “il miglior cigno europeo”. Creature ben piumate, eleganti, che adoravano la compagnia di quell’uomo instabile e dalla voce squillante al quale confidavano ogni segreto, ogni pettegolezzo.

Non era una festa qualunque, certo, era il Black and White Ball. 28 novembre 1966, Plaza Hotel, il party del secolo ancor prima delle dieci di sera, ora fissata d’inizio.

Per Truman organizzarla rappresentava sia la fine di un incubo, sia l’emblema del suo trionfo. In cold blood, il suo ultimo, incredibile libro-verità sull’omicidio efferato di un’intera famiglia avvenuto nel fertile e sperduto Kansas, era un trionfo: milioni di copie vendute, l’invenzione di un genere letterario. True fiction, Creative non-fiction, New journalism, il nome poco importa: Truman era stato comunque il primo.

Non che Truman non fosse già la più grande star letteraria del suo tempo, ma con A sangue freddo aveva trovato una formula unica, a metà strada tra giornalismo e narrativa, che lo aveva completamente assorbito e, alla fine, prosciugato. Insieme all’amica d’infanzia Harper Lee, se ne era andato in quello sperduto paese, aveva conosciuto ogni persona coinvolta, ogni agente federale al seguito, ogni minuzia di quel fatto di sangue. Il tutto prese poi una piega inaspettata con l’arresto casuale dei due balordi che, per una rapina misera ed inutile, avevano fatto una strage.

Truman era riuscito a creare un rapporto speciale con il capo delle indagini e sua moglie, Jack e Marie Dewey. Passava intere serate a casa dei Dewey, deliziandoli con i suoi racconti sui “rich and famous”. Questo gli permise libero accesso alla prigione dove i due, reo confessi e condannati, aspettavano l’esecuzione della pena capitale. A lui dissero delle loro sfortunate vite, come fosse il prete confessore.

A libro ormai terminato, la casa editrice Random House si rese conto di non poterlo pubblicare fino ad esecuzione avvenuta. Ci vollero altri cinque anni.

Lo stress dovuto all’attesa aveva snervato Capote che, con quella festa, voleva in realtà celebrare la sua liberazione. Per non sembrare troppo cinico, fece credere che il tutto fosse dedicato al suo primo editor, l’amica Katherine Graham. L’aggiunta della “scusa Graham” fu fatta a penna sui biglietti d’invito già stampati.

In quella festa, in quello sfolgorio di bellezza e denaro, Truman non riuscì ad intravedere la sua fine. Non scrisse più nulla di buono per anni, divenne un alcolizzato/drogato/depresso e, soprattutto, perse le sue amiche, i suoi amati Cigni. Per farlo gli bastò trasformarle in protagoniste di un suo romanzo semi-autobiografico e mai finito, il perfido Preghiere esaudite.

In un capitolo che venne anticipato dalla rivista Esquire nel 1975, raccontò i loro segreti, la loro perfidia di ricche viziate, la loro voracità sessuale, il calcolo dietro i loro matrimoni, la loro profonda e ostentata ignoranza. Niente più candore nel loro piumaggio, solo tanta sporcizia. Quel solo capitolo provocò almeno tre suicidi. Non glielo perdoneranno mai, soprattutto la Pailey che prima di allora usava chiamarlo “il mio fratellino”.

A chi gli chiese perché mai avesse fatto tale scelta, Truman rispose: “che cosa si aspettavano, sono uno scrittore e uso ogni cosa. Questa gente pensava che fossi lì solo per intrattenerli?”.

Andrea Silvestri, gennaio 2015.


























da Napoli, lunedì 27 luglio 2020 alle ore 01:04:32
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Giampaolo Marseglia

La stanza di Truman è la n. 3 ed è posta al secondo piano della pensione Di Lustro nel centro storico di Forio d’Ischia. Questa piccola pensione, di sole 10 stanze, fu aperta nel 1931 da Gaetano Di Lustro (1909-1982) in un palazzo del XVII secolo di proprietà da sempre della famiglia Di Lustro.

Truman Capote (1924-1984), uno dei più grandi scrittori americani del XX secolo ed inventore del “romanzo-verità”, aveva appena 25 anni nel 1949. Era già uno scrittore famoso, “enfant prodige” della letteratura americana, con il successo del suo primo libro “Altre voci, altre stanze” dove comincia a raccontare la sua vita nel personaggio di Joel che fa diversi tentativi per diventare un ragazzo normale come sua madre e tutti gli altri volevano che fosse e che invece accetta il suo destino che è quello di essere un omosessuale, di sentire sempre altre voci e di vivere sempre in altre stanze.

Nella grande stanza n. 3 della Pensione Di Lustro con la bella vista sulla Marina Truman ha vissuto per novantasette giorni – dal 23 marzo al 13 giugno 1949 - e la signora Giuseppina ci mostra il vecchio registro con l’annotazione dell’arrivo e della partenza. Capote è al numero 591 del registro mentre al numero 590 c’è il nome di Jack Dunphy che fu compagno di Capote per trentotto anni e che occupava la stanza n.2 a fianco a quella di Truman. 

La signora Gioconda aveva 19 anni nel 1949 ed era la cameriera del piccolo albergo – uno dei 4 di Forio, tutte piccole strutture (gli altri erano la Villa Carolina, il Nettuno ed il Tirrenia) – e ricorda ancora quel “giovane biondo, bassino, dalla voce stridula, che con l’amico teneva le feste sul terrazzo”. Capote l’ha immortalata nel suo reportage “Ischia” contenuto nel suo libro “Colore Locale” apparso in Italia nel 1954 edito da Garzanti mentre il reportage uscì su “L’Europeo”.

Il soggiorno di Truman Capote a Forio con Jack Dunphy è contenuto nella minuziosa biografia di Gerald  Clarke del 1988 (Capote: a Biography) per la cui stesura Clarke, giornalista di “Time” e amico di Truman, impiegò “quattordici anni e centinaia di ore d’intervista per comporre questa biografia sincera e quindi scandalosa di uno scrittore sregolato e geniale in tutti i sensi, ambizioso e palesemente omosessuale, naufragato nell’alcol, nelle droghe e nei farmaci il 24 agosto 1984”. Non aveva ancora 60 anni.

Truman e Jack volevano andare in Sicilia ma optarono per una gita ad Ischia “nel minuscolo paese di Forio”, come scrive Clarke, e dimenticarono la Sicilia”.

“Che posto strano e stranamente incantato è questo”, scrisse Truman a Bob Linscottt, è un’isola al largo della costa di Napoli, molto primitiva, abitata per la maggior parte da viticultori e da pastori di capre, da W.H. Auden e dalla famiglia Mussolini”.

A Cecil Beaton scrisse: “E’ davvero molto bella e strana, occupiamo quasi un intero piano proprio sul lungomare, il sole è duro come il diamante e c’è dappertutto il piacevole odore meridionale del glicine e delle foglie di limone”. Racconta Clarke che “la pensione non aveva acqua corrente, forniva loro, per soli duecento dollari al mese, due camere piacevoli, la colazione e due pasti di cinque portate al giorno, innaffiati dal buon vino di Ischia”. Truman lavorava al suo secondo romanzo “Summer Crossing” che fu pubblicato postumo nel 2005.

“Ischia restò per lui un luogo di felicità. Il suo incanto principale non erano né il sole né il mare, né Auden né la famiglia Mussolini, era Jack” scrive Clarke nella biografia. Forse. Ma Truman descrive il suo incontro con Ischia nel suo reportage in modo impareggiabile:

“Le isole sono come navi sempre all’ancora. Mettere piede su un’isola è come salire su una passerella d’imbarco: si è presi dallo stesso senso di magica sospensione, sembra che nulla di brutto o di volgare possa accadervi; e mentre il “Principessa” rallentava nella minuscola insenatura di Porto d’Ischia, la vista dei colori pallidi, da gelato, che si sfaldavano sulle case del porto, parve familiare e benefica come il battito del proprio cuore. Nella confusione dello sbarco, lasciai cadere e ruppi l’orologio – un pizzico di simbolismo eccessivo, troppo evidente: si capiva alla prima occhiata che Ischia non era posto per un rincorrersi affannoso di ore, le isole non lo sono mai…”

Truman Capote restò a Forio nell’isola d’Ischia un’intera primavera e non ritornò mai più. La sua stanza al secondo piano è stata occupata da centinaia di altri ospiti della pensione Di Lustro “poiché tutti chiedono la stanza di Capote” ci dice la signora Giuseppina.

Alla fine del 1949 Capote consegnò al suo editore americano tutti gli articoli di viaggio, nove in totale, affinchè fossero raccolti in un libro che intitolò “Local Color” (Colore Locale). L’articolo del suo soggiorno nell’isola d’Ischia appare nelle pagine che vanno dalla ottantesima alla novantacinquesima.

Scrive concludendo Capote: “Abbiamo seguito la primavera. In quattro mesi, da quando siamo arrivati, le notti si sono fatte calde, il mare è diventato più calmo, l’acqua verde, ancora invernale di marzo, si è mutata in quella azzurra di giugno, e le viti, allora grigie e nude sui loro pali contorti, si coprono dei primi grappoli verdi. Vi sono sciami di farfalle appena nate e sulla montagna molte dolcissime cose per le api; in giardino, dopo un acquazzone, si può udire, sì, appena percettibile, lo schiudersi delle nuove gemme.

E ci svegliamo più presto, un segno dell’estate, e la sera indugiamo fino a tarda ora e questo è un altro segno. E’ difficile tapparsi in casa con notti simili: la luna scende più vicina e ammicca sull’acqua con uno splendore stupefacente; e lungo il parapetto della chiesa dei pescatori, che si protende sul mare come la prua di una nave, i giovani passeggiano avanti ed indietro, bisbigliando, poi attraversano la piazza, si rifugiano in qualche oscuro angolo appartato. Gioconda, la cameriera, dice che è stata la più lunga primavera che lei ricordi: la più lunga e la più bella”.

Lo fu anche per Truman.


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