Truman Streckfus Persons nasce a New Orleans nel 1924. I genitori divorziano quando lui ha quattro anni: la madre, molto bella e molto giovane, vince un concorso di bellezza, abbandona la famiglia e si trasferisce a New York. Il piccolo Truman cresce tra l’Alabama, la Louisiana e il Mississippi.
A sei anni va a vivere a Monroville da alcuni parenti e stringe un legame importante con sua cugina Sook: è più grande di lui, ma è rimasta un po’ bambina a causa di una febbre tifoide che le ha procurato un certo ritardo mentale. Sook prepara a Truman delle focacce che insaporisce in segreto con un goccio di whisky, lo aiuta a ritagliare carta colorata per costruire gli aquiloni e lo veste da donna come se fosse la sua bambola.
Quando non è con Sook, Truman passa il tempo in compagnia della sua vicina: Nelle Harper Lee. A proposito: si dice che Truman abbia contribuito in modo sostanziale alla stesura del romanzo Il buio oltre la siepe. Del tipo che l’ha scritto lui. Capote non ha mai confermato, ma non ha neanche smentito.
E adesso fate uno sforzo d’immaginazione: pensate cosa volesse dire vivere nel Sud degli Stati uniti negli anni Trenta. Pensate, ora, cosa volesse dire, per un bambino come Truman, vivere nel Sud degli Stati Uniti negli anni Trenta. La sua infanzia non è felice: l’abbandono della madre lo ha segnato parecchio, così come la lontananza del padre che è rimasto a vivere a New Orleans. La condizione d’isolamento è aggravata dal fatto che i suoi atteggiamenti sono enfatizzati dalla voce stridula e dalle linee minute e aggraziate.
Perciò, un po’ per diletto e un po’ per istinto di sopravvivenza, trova il modo di piacere ai suoi coetanei: comincia a raccontare storie. Scrivere diventa un’ossessione, «semplicemente una cosa che dovevo fare e non capisco neanche io esattamente perché doveva essere così». Ma scrivere non lo rende troppo diverso da ciò che è quindi Truman inizia a inventare piccole bugie. Gli piace che gli altri pensino a lui come a un bambino prodigio; per aumentare la portata del suo talento, dice di essere molto più piccolo della sua età e di non aver mai studiato seriamente.
Giura di aver cominciato a scrivere a otto anni e di aver imparato senza l’aiuto di nessuno. Parecchi anni dopo, durante una lunga intervista condotta da Lawrence Grobel, nella raccolta Colazione da Truman, il nostro genio dirà che a sedici anni era già uno scrittore molto competente: «Tecnicamente, scrivevo bene quanto adesso. Tecnicamente. Avevo capito tutto il meccanismo». Modestia a parte.
Nel 1932, Truman raggiunge sua madre a New York. Lillie Mae ha cambiato nome – ora si fa chiamare Nina – e ha sposato José García Capote, un contabile cubano. Truman Streckfus Persons ora Capote scrive e lavora per il New Yorker come fattorino.
Tra il ’35 e il ’43 invia un pugno di racconti a diverse riviste, ma non ottiene grandi riscontri. I racconti giovanili di Truman Capote sono brani che rivelano diverse ingenuità eppure già si percepisce la ricorrenza di alcuni temi e, soprattutto, la cura del linguaggio: mi riferisco all’affannosa ricerca dei termini più appropriati, non necessariamente nobili, ma capaci di trasmettere immagini e sensazioni nel modo più preciso possibile.
Nel giugno del 1945, la rivista Mademoiselle pubblica Miriam. È la storia di una vedova di sessant’anni, Mrs. H. T. Miller, e di una bambina enigmatica che, per l’anziana donna, diventa una presenza inquietante. Il racconto assume le tinte grottesche tipiche della southern literature a cui lo scrittore fa riferimento, il gotico americano di William Faulkner e Flannery O’Connor, ma con uno slancio in più: Miriam suggerisce al lettore l’ipotesi alternativa del disturbo della personalità della signora Miller, sulla falsariga di Giro di vite di Henry James.
Grazie a Miriam, Capote vince il premio nella categoria miglior primo racconto pubblicato. Le cose vanno così: la sorella di Carson McCullers, Marguarita (Rita) Smith, è l’editor di narrativa della rivista e l’assistente di David. Truman è molto amico delle sorelle McCullers. Colto il potenziale della scrittura di Truman, Rita intercede per lui con il suo capo. Poi gli procura un agente, Marion Ives, e infine scrive una lettera di raccomandazioni che spedisce a Robert Linscott, senior editor della Random House. Linscott legge Miriam e ne rimane folgorato. Approfittando del colpo di fulmine, Capote si lascia sfuggire la trama del libro a cui sta lavorando. L’accordo è concluso: Linscott offre a Truman un anticipo di 1.500 dollari per Altre voci, altre stanze, il romanzo d’esordio pubblicato nel 1948.
È impossibile non riconoscere Truman in Joel Harrison Knox, il protagonista di Altre voci, altre stanze. Eppure l’autore dirà che ci vollero parecchi anni prima che si rendesse conto di aver scritto di sé stesso, del senso d’isolamento che provava e della mancanza di un rapporto con suo padre.
Meno evidente, ma ancora più saldo, è il filo che lega Truman Capote a Holly Golightly, la ragazza con le perle di Colazione da Tiffany, il romanzo del 1958. Holly è l’alter ego di Truman: vive in un appartamento nell’Upper East Side con un gatto, è una creatura frivola e mondana, il suo posto del mondo è una gioielleria. Ogni tanto soffre di una serie di momenti di sconforto che chiama “paturnie”, ma non si sofferma più di tanto.
È il periodo in cui Truman inizia a frequentare la café society di New York, affiancandosi a personaggi come Jackie Kennedy, Humphrey Bogart, Andy Warhol e il collega Tennessee Williams. Truman, il bambino che avrebbe voluto vivere nella Francia del Settecento ed essere molto, molto ricco, è una celebrità.
Due anni dopo la pubblicazione, Colazione da Tiffany diventa un film con Audrey Hepburn e George Peppard. Truman avrebbe preferito Marilyn Monroe nel ruolo della protagonista, ma aveva ceduto i diritti alla Paramount e non aveva voce in capitolo. La verità è che Truman avrebbe scelto la Monroe rispetto a chiunque altro: Marilyn era la sua preferita, il cigno più bello del suo reame (Truman usa il termine swans per descrivere la sua compagnia di amiche). A lei dedica A Beautiful Child, uno dei pezzi più belli scritti durante la sua carriera, almeno così la pensava lui. Il testo è compreso nella raccolta Musica per camaleonti, una combinazione di fiction e non fiction, pubblicata per la prima volta nel 1980.
A proposito di non fiction. Truman Capote ha 35 anni quando, sul New York Times, legge un articolo che riporta un omicidio avvenuto a Holcomb: un’intera famiglia è stata sterminata da due rapinatori. Nella sua mente scatta qualcosa: sente di dover raccontare quella storia. L’idea è di attenersi ai fatti, usando però uno stile di scrittura mai applicato alla cronaca. Il romanzo segue il pensiero che Truman ha sempre avuto: non è importante il materiale trattato dall’artista quanto il modo in cui lo usa. È questo «a fare la differenza tra un talento fuori dal comune e chi ha semplicemente del talento.»
Così parte per il Kansas insieme all’inseparabile Harper Lee e, quando sei settimane dopo i due colpevoli – Perry Smith e Richard Hitchcock – vengono arrestati, Truman li raggiunge nel penitenziario del paese.
Il titolo suggerisce che gli assassini hanno agito in cold blood, senza emozioni. Per contro, la stesura del romanzo si rivela una prova inaspettatamente impegnativa. Qualcuno dice che tra Perry e Truman nasce una relazione sentimentale, ma lo scrittore smentisce. Sente di essere vicino a Perry a un livello più tragico di una semplice infatuazione: i due hanno vissuto un’infanzia molto simile 3, solo che lui – lui, Truman – ha avuto un’opportunità di riscatto, una via d’uscita, che a Perry non è stata concessa.
Truman impiega sei anni per concludere il romanzo: frequenta Perry e Richard per cinque anni, li segue nel braccio della morte, si fa carico di tutte lo loro pene e i loro timori, e li assiste fino all’esecuzione della condanna, che avviene il 14 aprile del 1965. A sangue freddo, il romanzo-verità pubblicato a puntate sul New Yorker nel 1966, è la prima, vera prova di giornalismo narrativo. Più tardi, Truman dirà che quel libro gli è costato parecchio. In un certo senso l’ha cambiato, scarnificato «fino al midollo delle ossa». Ne è valsa la pena: A sangue freddo è un capolavoro autentico, una commistione eccezionale tra realtà e finzione.
Dopo il successo internazionale di A sangue freddo, Truman Capote è colpito da quella che gli addetti ai lavori definiscono come “la maledizione del secondo libro” o terzo, per i più fortunati (la stessa che ha travolto Richard Yates, per intenderci). Da qualche tempo lavora a un nuovo romanzo: insegue la scia del giornalismo narrativo, ma abbandona la cronaca nera. La sua nuova ispirazione è il jet set di Manhattan.
«Tutta la letteratura è pettegolezzo» dichiara in un’intervista rilasciata a Playboy in occasione dell’uscita del racconto La côte basque, titolo che prende il nome dal ristorante di Henri Soulé nella East 55th dove si riuniscono i maggior esponenti dell’alta società. Per La côte basque, Esquire offre 16.000 dollari. Quel racconto è il primo capitolo di un progetto più ambizioso, un romanzo in otto parti che avrebbe dovuto intitolarsi Answered Prayers. A Dark Comedy About the Very Rich. Ma Capote non riesce a portarlo a termine: Preghiere esaudite, infatti, viene pubblicato postumo nel 1986 e contiene solo tre racconti.
Per farla breve: Truman decide di rivelare i segreti dei suoi amici, ovvero di quelle persone che ha faticosamente conquistato, nonostante le sue origini. È convinto che non subirà alcun tipo di ripercussione («Nahh, sono troppo stupidi. Non si riconosceranno») e questa ingenuità gli è fatale; nonostante l’uso di pseudonimi, i riferimenti a fatti e persone sono così precisi che non lasciano dubbi: Lady Coolbirth è Slim Keith, Ann Hopkins è Ann Woodward e Sidney Dillon è William Paley.
Liz Smith, allora giornalista freelance, ebbe l’occasione di portare alla pubblica attenzione ciò che succedeva. La Smith scrisse un pezzo sulla reazione della società alla pubblicazione di La côte basque: Truman Capote in acque agitate; il cui sottotitolo è «I mostri sacri dell’alta società sono in stato di shock. Mai si è tanto sentito gridare al tradimento, mai tante urla di lesa maestà…!». L’articolo è accompagnato da una caricatura di Edward Sorel nella quale c’è Truman raffigurato come un barboncino che addenta la mano di una signora (Capote morde le mani che l’hanno nutrito è la didascalia).
Il racconto è affidato a un’eccentrica voce narrante: lo scrittore P. B. Jones che, per arrotondare, si ricicla come escort d’alta classe. Capote racconta tutto, persino l’episodio di Ann Woodward, che spara al marito scambiandolo per un ladro d’appartamento. La Woodward si tolse la vita pochi giorni prima che Esquire uscisse in edicola; si sparse la voce che si fosse gettata dalla finestra perché ne aveva visto in anticipo una copia.
Qualcuno disse che non si assisteva a uno scandalo di tale portata «dai tempi in cui Marcel Proust aprì le porte dei salotti del Faubourg Saint-Germain a suon di adulazioni». Truman Capote non era mai stato gentile, neanche con i suoi colleghi (Saul Bellow era “una nullità”, Pynchon era “orrendo”, Kerouac era un “buffone”, Malamud era “illegibile”. Di Hemingway diceva che era un omosessuale latente. Joyce Carol Oates? Testualmente: «Uno scherzo della natura che dovrebbe essere decapitato in un auditorium o in uno stadio o in un campo con centinaia di migliaia di spettatori.»), però non era mai andato sul personale. O almeno, non in modo gratuito. O, almeno, non in un libro.
La fama di Truman Capote sbiadisce: l’idea che tutti hanno di lui è di uno che è stato un grande scrittore, uno scrittore che ha scritto un bestseller da cui è stato tratto un film, che poi si è venduto per soldi e celebrità, al prezzo della sua salute e del suo stesso talento.
Negli ultimi anni della sua vita instaura una serie di relazioni fallimentari, con uomini che sfruttano quel che rimane del suo patrimonio, e comincia a collezionare una serie di aneddoti imbarazzanti. Come quella volta che fu chiamato dall’Università del Maryland per una lezione di scrittura: Truman è sul palco, tra il rettore e vari esponenti scolastici. È ubriaco, come spesso accade. A un certo punto si alza, inveisce contro gli studenti e cade giù dal palco. Il giorno dopo, il Washington Post pubblica un articolo in prima pagina su un certo scrittore che viene trascinato fuori all’aula di un’università.
Truman Capote muore per una cirrosi epatica il 25 agosto 1984, mentre si trova a Bel Air, ospite della fedele amica Joanne Carson, poco più di un mese prima del suo sessantesimo compleanno. Come disse il poeta James Dickey, incaricato di dare l’estremo saluto allo scrittore: «Truman, come Proust, aveva descritto e assistito e partecipato in prima persona alla decadenza. Se c’è magia nella vita americana, la si può trovare dove grandi somme di denaro vengono spese in ambienti lussuosi e raffinati che esistono per sfoggio o per piacere: una magia corrotta e sfibrante, eppure l’unica in cui la nostra cultura creda veramente».
Maria Di Biase, gennaio 2020.