Quando, il 30 novembre del 1954, si uccide precipitando dal secondo piano dell’Hotel Eden di via Veneto, ad accorrere è tutta la Roma che conta, e non solo quella.
Arrivano Gianni Agnelli ed Alberto Moravia, Curzio Malaparte ed Edda Ciano, Dado Ruspoli e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La vita di Raimondo Lanza, figlio illegittimo dell’unico erede della casata Trabia Branciforte, finisce nel modo in cui era andata avanti negli ultimi vent’anni: sotto il flash dei fotografi e sulle prime pagine dei settimanali patinati.
Raimondo Lanza di Trabia nasce la notte del 9 settembre del 1915. Ha il sangue blu, ma è figlio di uno scandalo. I suoi genitori non sono sposati: il padre è Giuseppe Lanza Branciforte di Scordia, l’ultimo rampollo di una delle famiglie più blasonate d'Europa; la madre è Madda Papadopoli Aldobrandini, una nobildonna veneziana che ha già una figlia, nata da un altro legame.
Per la sua legittimazione, non basterà nemmeno l’amicizia della famiglia con il principe Umberto: bisognerà aspettare diversi anni prima che una legge ad personam sani la sua situazione e quella del celebre conte Volpi.
Dopo la morte del padre Giuseppe, stroncato da una febbre tifoide, Raimondo si trasferisce dai nonni, al Palazzo Butera di Palermo.
Lì trova una vera e propria corte: camerieri in livrea, cuochi, bibliotecari, cocchieri e stiratrici vigilano sul palazzo seicentesco, dove i Branciforte hanno ospitato alcuni tra i più importanti regnanti europei.
Sono gli anni della Belle époque palermitana: il centro storico custodisce le nuove costruzioni liberty che cingono il Teatro Massimo e quello del Politeama.
Ma a Raimondo, ancora giovanissimo, capita un episodio che lo impressiona. La sua splendida bicicletta Bianchi, lasciata incustodita, gli viene rubata.
Si rivolge ai carabinieri, ma senza alcun esito. Quando rientra al Palazzo, incontra lo stalliere dei Trabia e gli racconta del furto. Il palafreniere, stimato tra l'altro per la destrezza nell'uso di una particolare lama, il cosiddetto «liccasapuni», lo tranquillizza. La mattina dopo, di fronte al Palazzo, ecco la bicicletta, con un biglietto anonimo: «Il picciotto ha sgarrato e chiede perdono».
Ma i Trabia sono anche proprietari di uno splendido castello, che si trova a venti chilometri dal capoluogo siciliano, e di una delle più antiche tonnare siciliane. Per Raimondo quella della pesca del tonno è un’autentica passione e sin da giovane vi si dedica con determinazione ed intraprendenza.
Capita così che non ancora diciottenne si tuffi dalla propria barca ed accoltelli a morte un pescecane, ricavandone dalle fauci un portacenere.
Il principe ama molto viaggiare: si sposta tra Roma, Madrid e Londra, è conosciuto ed apprezzato dai gerarchi del regime, specie da quelli sensibili alla noblesse ed ai suoi riti.
È tra questi Galeazzo Ciano, di cui gode la protezione, e la moglie Edda, che proprio a Prestigiacomo confessa: «Non un vero flirt ma qualche carezza, qualche bacio per riderci sopra ci fu, sì». Il 1936 è l’inizio della guerra civile spagnola: Raimondo parte come volontario e l’anno successivo partecipa alla battaglia di Guadalajara.
Col consenso di Galeazzo, decide di infiltrarsi nel battaglione dei «leoni rossi» guidati dal generale Moscardo per ricevere notizie su alcuni trafugamenti di opere d’arte. Tornato in Italia, all’Excelsior di Roma incontra Susanna Agnelli. La nipote del fondatore della Fiat ne resta subito folgorata: «Quando entrava in una stanza era come un fulmine.
Tutti smettevano di parlare o di fare quello che stavano facendo: gridava, rideva, baciava tutti, scherzava. Divorava il cibo come una macchina per tritare i rifiuti, beveva come un giardino assetato in un deserto, suonava il pianoforte, telefonava e mi teneva la mano, tutto contemporaneamente».
Nel giugno del 1940 i due si fidanzano, ma la storia dura poco. Nel ’43 Raimondo riprende le attività di controspionaggio, anche se questa volta in favore dei partigiani.
I suoi amici sono Gianni Agnelli, Ranieri di Monaco, Aristotele Onassis, Soraya e lo scià Reza Pahlavi, Vittorio Emanuele Orlando, Galeazzo Ciano, Errol Flynn, Robert Capa, Porfirio Rubirosa, Baby Pignatari, Alì Khan, Renato Guttuso, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, i fratelli Piccolo di Calanovella, Luchino Visconti, Curzio Malaparte e, ovviamente, tutta la noblesse sicula.
Le sue fidanzate ufficiali Susanna Agnelli, Sofia Ricciardi e Vivi Gioi. Le sue probabili amanti le divine Joan Crawford, Olivia de Havilland, Rita Hayworth, Edda Ciano Mussolini e un' infinità di femmes più o meno fatali del jet set internazionale, fino alle nozze con l' attrice Olga Villi.
I suoi «palcoscenici» New York, Londra, Parigi, Roma, Palermo, Cortina d' Ampezzo, Capri, le Eolie e il mare tutto. Raimondo Lanza di Trabia è stato un personaggio davvero unico; nonostante le cupe ombre che hanno offuscato le sue luci, resta uno dei pochi siciliani d' esportazione. (segue dalla prima di cronaca) Il principe dell' eccesso, dalla sua unicità genera, come una matrioska cloni di se stesso a getto continuo.
Uno diverso dall' altro, a volte antitetici tra loro: il Raimondo scavezzacollo, il Raimondo delle beffe irresistibili, il Raimondo delle profonde malinconie.
E ancora: il playboy, la spia fascista, il mediatore con i partigiani, l' informatore degli americani, lo sportivo, il corridore automobilistico, il mecenate, il cacciatore, l' imprenditore, il sognatore, l' incosciente che gioca a rialzo con le emozioni sfidando la morte a ogni svoltata d' angolo.
Uno e centomila - altro che nessuno - personalità che cozzano dentro la sua testa fino a determinare quel corto circuito che il 30 novembre del 1954 lo spinge a gettarsi dalla finestra dell' albergo Eden di via Ludovisi a Roma.
Di personaggi così magneticamente fascinosi la Sicilia ne genera uno o due al massimo ogni secolo. Nel 1700 il conte di Cagliostro, libertino e amorale, a cavallo tra 1800 e '900 Ignazio Florio e nel secolo scorso questo rampollo di uno dei casati più blasonati della Sicilia, che del Florio è anche nipote.
«A rendere attraente la Sicilia - scrive Matteo Collura - hanno contribuito più i suoi estrosi e a volte stravaganti principi e baroni, che non le ricorrenti e costose campagne pubblicitarie promosse a scopo turistico».
E il principe di Trabia è sicuramente in prima fila in questo drappello di siciliani di cui all' estero si favoleggia. Raimondo - come accade a Woody Allen ne "La rosa purpurea del Cairo - sembra uscito fuori dal film "Il capitan Blood" di Michael Curtiz per tracimare la sua voglia picaresca di vivere nella contemporaneità. E proprio il protagonista del film l'attore Errol Flynn diventa il suo amico e alter ego.
Ne imita perfino la fisionomia con i baffetti e i capelli all' indietro impomatati con la brillantina.
La coppia in perfetta simbiosi trasferisce nei locali di Los Angeles e nelle spiagge siciliane la fame assatanata di avventura che l' accende. Flynn viene diverse volte in Sicilia, ospitato nella principesca dimora di Trabia, come del resto Onassis (quest' ultimo resta stupito nell' ammirare un portacenere ricavato da un osso di pescespada ucciso con il pugnale da Raimondo quando era poco più di un ragazzo).
L' arrivo dei vip scuote il torpore del blasonato tran tran. Baroni e marchesine vengono trascinate in un turbillon di feste, mangiate e bevute. Pasta con i broccoli e champagne, altro che il Billionaire ricettacolo di parvenue. Sono rimaste nella memoria di chi c' era le furiose cavalcate nel Canale con lo yacht e poi il ping pong di approdo, sempre in compagnia di Flynn, tra Vulcano e Stromboli per seminare zizzania nelle troupes nemiche che in contemporanea nelle Eolie girano due film che delle isole citate prendono il titolo.
I registi Roberto Rossellini e William Dieterle prima ci cascano e poi capiscono di essere al centro dell' ennesimo scherzo del principe di Trabia e delle beffe. Raimondo (come quel Flynn del resto, che Marlene Dietrich definisce «Angelo di Satana»), non recita la parte ma è davvero capitano dell' avventura. Fino alle estreme conseguenze.
Come quando dopo un ennesimo tiro mancino è costretto a battersi a duello. L' episodio merita uno zoom. Lanza stanco di fare il presidente del Palermo - a proposito è stato lui a inventare il calciomercato all' hotel Gallia di Milano, dove riceve allenatori e dirigenti immerso in una vasca da bagna satura di sali e profumi - decide di passare la mano e per impedire l' accesso nel Consiglio di amministrazione del barone Salvatore Alù lo fanno allontanare dicendogli che il figlio ha avuto un grave incidente.
L' uomo scappa via, a casa vede il figlio in perfetta salute e torna stracolmo di bile nella sede del Palermo. Furioso lancia il suo guanto di sfida.
Fissata la data Raimondo fa un corso intensivo di spada sul terrazzo del suo castello con il campione olimpionico Emilio Salafia; non si faceva mancare proprio niente.
Direttore del duello è il cavaliere Nino Buttafuoco, che avrebbe poi fatto parlare di sé nella vicenda della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro. La sfida, che finisce in modo incruento per il tempestivo intervento di un prelato, ha vasta eco. Perfino Walter Molino la immortala in una delle sue celebri copertine de "La Domenica del Corriere".
Raimondo nato per stupire è una forza della natura che travolge ciò che incontra. Eccessivo in tutto, sembra un apostolo tardivo dello sturm und drang, romanticismo estremo.
Il lato tragico e quello comico del destino umano in lui trovano una simbiosi perfetta.
La vita comincia presto a fargli pagare carissimo tutto, fin dalla nascita, quando figlio illegittimo di Giuseppe Lanza non riesce a ottenere il cognome paterno nonostante le pressioni su Mussolini e la sodale nomenclatura del regime.
Poi la morte prematura del padre e di due zii. Il riconoscimento tardivo di un altro zio e infine lo svezzamento nella Palermo ancora felicissima della nonna Giulia Florio, sorella di Ignazio, e del nonno Pietro, nobiluomo di corte.
Dopo l' esuberante giovinezza - sgusciante con coraggio incosciente tra i tonni nella camera della morte della tonnara di famiglia a Trabia o beffarda nei confronti di amici e parenti vittime di beffe a raffica - gli anni bui della guerra di Spagna in cui combatte con le falangi franchiste e i rapporti ambigui con i nazisti tedeschi.
Pagine amare che testimoniano il primato dell' avventura su ogni altro valore etico e morale.
Grazie ai suoi contatti riesce però a salvare la vita allo zio Vincenzo Florio arrestato dalle SS a Roma. Poi, la svolta come è capitato a tanti italiani folgorati sulla via di Washington, così ce lo ritroviamo informatore degli americani e mediatore in una consegna di armi dai fascisti ai partigiani. Ricordiamo che è proprio il fratello maggiore Galvano - lui, Raimondo e Gianni Agnelli venivano definiti i tre moschettieri del jet set - a fare da interprete con gli americani nell' armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre.
Memorabili i suoi scherzi. Come quando dodicenne con le ali da angelo esce da un immenso uovo di pasqua Dagnino e fa ridere a crepapelle la nonna Giulia. Si dice che sia stata l' unica volta che abbiano visto la nobildonna ridere in pubblico.
O come quando fa travestire al suo amico Gaetano Pottino di Capuano i panni di Guglielmo II, disegnandogli anche i caratteristi baffetti dell' imperatore per fare una sorpresa alla bisnonna Sofia che vanta spesso e volentieri questa amicizia.
La donna semicieca abbocca e gli amichetti di Raimondo assistono alla surreale scena dello storico incontro. L' imbroglio viene scoperto quando l' anziana donna vuole a tutti i costi ricambiare la visita andando a trovare l'imperatore che crede sullo nello yacht ancorato al porto.
Per il giovane scavezzacollo sono dolori. Una vita accelerata che finisce tragicamente quando il principe, da tempo vittima di furiose crisi di nervi, dopo una visita neurologia a Roma, prende consapevolezza che la via come la intende lui gli è sfuggita di mano.
Già da tempo soffre terribilmente e solo davanti alla moglie - dalla quale vive lontano proprio per nasconderle la sua condizione - riesce a controllare i suoi nervi.
Quel tragico giorno a Roma (che una chiromante ha previsto, insieme anche alla prematura drammatica fine dell' amico Stefano La Motta) muore l' uomo ma sopravvive il mito.
E come per tutti i miti la fantasia si impasta con la realtà. Così si alimenta la leggenda del giocatore Selmonsson, detto "raggio di luna", lasciato in eredità alla moglie Olga Villi e alle due figlie, Venturella e Raimonda, vicenda a cui avrebbero attinto Garinei e Giovannini per la loro commedia "Raggio di luna"; la favola che Domenico Modugno si sia ispirato al principe per scrivere la sua canzone più bella "L' uomo in frac".