Raimondo Lanza di Trabia, un principe avventuroso.

Varie

Giampaolo Marseglia

da Napoli, sabato 18 luglio 2020 alle ore 23:22:16

Quando, il 30 novembre del 1954, si uccide precipitando dal secondo piano dell’Hotel Eden di via Veneto, ad accorrere è tutta la Roma che conta, e non solo quella.

Arrivano Gianni Agnelli ed Alberto Moravia, Curzio Malaparte ed Edda Ciano, Dado Ruspoli e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La vita di Raimondo Lanza, figlio illegittimo dell’unico erede della casata Trabia Branciforte, finisce nel modo in cui era andata avanti negli ultimi vent’anni: sotto il flash dei fotografi e sulle prime pagine dei settimanali patinati.

Raimondo Lanza di Trabia nasce la notte del 9 settembre del 1915. Ha il sangue blu, ma è figlio di uno scandalo. I suoi genitori non sono sposati: il padre è Giuseppe Lanza Branciforte di Scordia, l’ultimo rampollo di una delle famiglie più blasonate d'Europa; la madre è Madda Papadopoli Aldobrandini, una nobildonna veneziana che ha già una figlia, nata da un altro legame.

Per la sua legittimazione, non basterà nemmeno l’amicizia della famiglia con il principe Umberto: bisognerà aspettare diversi anni prima che una legge ad personam sani la sua situazione e quella del celebre conte Volpi.

Dopo la morte del padre Giuseppe, stroncato da una febbre tifoide, Raimondo si trasferisce dai nonni, al Palazzo Butera di Palermo.

Lì trova una vera e propria corte: camerieri in livrea, cuochi, bibliotecari, cocchieri e stiratrici vigilano sul palazzo seicentesco, dove i Branciforte hanno ospitato alcuni tra i più importanti regnanti europei.

Sono gli anni della Belle époque palermitana: il centro storico custodisce le nuove costruzioni liberty che cingono il Teatro Massimo e quello del Politeama.

Ma a Raimondo, ancora giovanissimo, capita un episodio che lo impressiona. La sua splendida bicicletta Bianchi, lasciata incustodita, gli viene rubata.

Si rivolge ai carabinieri, ma senza alcun esito. Quando rientra al Palazzo, incontra lo stalliere dei Trabia e gli racconta del furto. Il palafreniere, stimato tra l'altro per la destrezza nell'uso di una particolare lama, il cosiddetto «liccasapuni», lo tranquillizza. La mattina dopo, di fronte al Palazzo, ecco la bicicletta, con un biglietto anonimo: «Il picciotto ha sgarrato e chiede perdono».

Ma i Trabia sono anche proprietari di uno splendido castello, che si trova a venti chilometri dal capoluogo siciliano, e di una delle più antiche tonnare siciliane. Per Raimondo quella della pesca del tonno è un’autentica passione e sin da giovane vi si dedica con determinazione ed intraprendenza.

Capita così che non ancora diciottenne si tuffi dalla propria barca ed accoltelli a morte un pescecane, ricavandone dalle fauci un portacenere.

Il principe ama molto viaggiare: si sposta tra Roma, Madrid e Londra, è conosciuto ed apprezzato dai gerarchi del regime, specie da quelli sensibili alla noblesse ed ai suoi riti.

È tra questi Galeazzo Ciano, di cui gode la protezione, e la moglie Edda, che proprio a Prestigiacomo confessa: «Non un vero flirt ma qualche carezza, qualche bacio per riderci sopra ci fu, sì». Il 1936 è l’inizio della guerra civile spagnola: Raimondo parte come volontario e l’anno successivo partecipa alla battaglia di Guadalajara.

Col consenso di Galeazzo, decide di infiltrarsi nel battaglione dei «leoni rossi» guidati dal generale Moscardo per ricevere notizie su alcuni trafugamenti di opere d’arte. Tornato in Italia, all’Excelsior di Roma incontra Susanna Agnelli. La nipote del fondatore della Fiat ne resta subito folgorata: «Quando entrava in una stanza era come un fulmine.

Tutti smettevano di parlare o di fare quello che stavano facendo: gridava, rideva, baciava tutti, scherzava. Divorava il cibo come una macchina per tritare i rifiuti, beveva come un giardino assetato in un deserto, suonava il pianoforte, telefonava e mi teneva la mano, tutto contemporaneamente».

Nel giugno del 1940 i due si fidanzano, ma la storia dura poco. Nel ’43 Raimondo riprende le attività di controspionaggio, anche se questa volta in favore dei partigiani.

I suoi amici sono Gianni Agnelli, Ranieri di Monaco, Aristotele Onassis, Soraya e lo scià Reza Pahlavi, Vittorio Emanuele Orlando, Galeazzo Ciano, Errol Flynn, Robert Capa, Porfirio Rubirosa, Baby Pignatari, Alì Khan, Renato Guttuso, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, i fratelli Piccolo di Calanovella, Luchino Visconti, Curzio Malaparte e, ovviamente, tutta la noblesse sicula.

Le sue fidanzate ufficiali Susanna Agnelli, Sofia Ricciardi e Vivi Gioi. Le sue probabili amanti le divine Joan Crawford, Olivia de Havilland, Rita Hayworth, Edda Ciano Mussolini e un' infinità di femmes più o meno fatali del jet set internazionale, fino alle nozze con l' attrice Olga Villi.

I suoi «palcoscenici» New York, Londra, Parigi, Roma, Palermo, Cortina d' Ampezzo, Capri, le Eolie e il mare tutto. Raimondo Lanza di Trabia è stato un personaggio davvero unico; nonostante le cupe ombre che hanno offuscato le sue luci, resta uno dei pochi siciliani d' esportazione. (segue dalla prima di cronaca) Il principe dell' eccesso, dalla sua unicità genera, come una matrioska cloni di se stesso a getto continuo.

Uno diverso dall' altro, a volte antitetici tra loro: il Raimondo scavezzacollo, il Raimondo delle beffe irresistibili, il Raimondo delle profonde malinconie.

E ancora: il playboy, la spia fascista, il mediatore con i partigiani, l' informatore degli americani, lo sportivo, il corridore automobilistico, il mecenate, il cacciatore, l' imprenditore, il sognatore, l' incosciente che gioca a rialzo con le emozioni sfidando la morte a ogni svoltata d' angolo.

Uno e centomila - altro che nessuno - personalità che cozzano dentro la sua testa fino a determinare quel corto circuito che il 30 novembre del 1954 lo spinge a gettarsi dalla finestra dell' albergo Eden di via Ludovisi a Roma.

Di personaggi così magneticamente fascinosi la Sicilia ne genera uno o due al massimo ogni secolo. Nel 1700 il conte di Cagliostro, libertino e amorale, a cavallo tra 1800 e '900 Ignazio Florio e nel secolo scorso questo rampollo di uno dei casati più blasonati della Sicilia, che del Florio è anche nipote.

«A rendere attraente la Sicilia - scrive Matteo Collura - hanno contribuito più i suoi estrosi e a volte stravaganti principi e baroni, che non le ricorrenti e costose campagne pubblicitarie promosse a scopo turistico».

E il principe di Trabia è sicuramente in prima fila in questo drappello di siciliani di cui all' estero si favoleggia. Raimondo - come accade a Woody Allen ne "La rosa purpurea del Cairo - sembra uscito fuori dal film "Il capitan Blood" di Michael Curtiz per tracimare la sua voglia picaresca di vivere nella contemporaneità. E proprio il protagonista del film l'attore Errol Flynn diventa il suo amico e alter ego.

Ne imita perfino la fisionomia con i baffetti e i capelli all' indietro impomatati con la brillantina.

La coppia in perfetta simbiosi trasferisce nei locali di Los Angeles e nelle spiagge siciliane la fame assatanata di avventura che l' accende. Flynn viene diverse volte in Sicilia, ospitato nella principesca dimora di Trabia, come del resto Onassis (quest' ultimo resta stupito nell' ammirare un portacenere ricavato da un osso di pescespada ucciso con il pugnale da Raimondo quando era poco più di un ragazzo).

L' arrivo dei vip scuote il torpore del blasonato tran tran. Baroni e marchesine vengono trascinate in un turbillon di feste, mangiate e bevute. Pasta con i broccoli e champagne, altro che il Billionaire ricettacolo di parvenue. Sono rimaste nella memoria di chi c' era le furiose cavalcate nel Canale con lo yacht e poi il ping pong di approdo, sempre in compagnia di Flynn, tra Vulcano e Stromboli per seminare zizzania nelle troupes nemiche che in contemporanea nelle Eolie girano due film che delle isole citate prendono il titolo.

I registi Roberto Rossellini e William Dieterle prima ci cascano e poi capiscono di essere al centro dell' ennesimo scherzo del principe di Trabia e delle beffe. Raimondo (come quel Flynn del resto, che Marlene Dietrich definisce «Angelo di Satana»), non recita la parte ma è davvero capitano dell' avventura. Fino alle estreme conseguenze.

Come quando dopo un ennesimo tiro mancino è costretto a battersi a duello. L' episodio merita uno zoom. Lanza stanco di fare il presidente del Palermo - a proposito è stato lui a inventare il calciomercato all' hotel Gallia di Milano, dove riceve allenatori e dirigenti immerso in una vasca da bagna satura di sali e profumi - decide di passare la mano e per impedire l' accesso nel Consiglio di amministrazione del barone Salvatore Alù lo fanno allontanare dicendogli che il figlio ha avuto un grave incidente.

L' uomo scappa via, a casa vede il figlio in perfetta salute e torna stracolmo di bile nella sede del Palermo. Furioso lancia il suo guanto di sfida.

Fissata la data Raimondo fa un corso intensivo di spada sul terrazzo del suo castello con il campione olimpionico Emilio Salafia; non si faceva mancare proprio niente.

Direttore del duello è il cavaliere Nino Buttafuoco, che avrebbe poi fatto parlare di sé nella vicenda della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro. La sfida, che finisce in modo incruento per il tempestivo intervento di un prelato, ha vasta eco. Perfino Walter Molino la immortala in una delle sue celebri copertine de "La Domenica del Corriere".

Raimondo nato per stupire è una forza della natura che travolge ciò che incontra. Eccessivo in tutto, sembra un apostolo tardivo dello sturm und drang, romanticismo estremo.

Il lato tragico e quello comico del destino umano in lui trovano una simbiosi perfetta.

La vita comincia presto a fargli pagare carissimo tutto, fin dalla nascita, quando figlio illegittimo di Giuseppe Lanza non riesce a ottenere il cognome paterno nonostante le pressioni su Mussolini e la sodale nomenclatura del regime.

Poi la morte prematura del padre e di due zii. Il riconoscimento tardivo di un altro zio e infine lo svezzamento nella Palermo ancora felicissima della nonna Giulia Florio, sorella di Ignazio, e del nonno Pietro, nobiluomo di corte.

Dopo l' esuberante giovinezza - sgusciante con coraggio incosciente tra i tonni nella camera della morte della tonnara di famiglia a Trabia o beffarda nei confronti di amici e parenti vittime di beffe a raffica - gli anni bui della guerra di Spagna in cui combatte con le falangi franchiste e i rapporti ambigui con i nazisti tedeschi.

Pagine amare che testimoniano il primato dell' avventura su ogni altro valore etico e morale.

Grazie ai suoi contatti riesce però a salvare la vita allo zio Vincenzo Florio arrestato dalle SS a Roma. Poi, la svolta come è capitato a tanti italiani folgorati sulla via di Washington, così ce lo ritroviamo informatore degli americani e mediatore in una consegna di armi dai fascisti ai partigiani. Ricordiamo che è proprio il fratello maggiore Galvano - lui, Raimondo e Gianni Agnelli venivano definiti i tre moschettieri del jet set - a fare da interprete con gli americani nell' armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre.

Memorabili i suoi scherzi. Come quando dodicenne con le ali da angelo esce da un immenso uovo di pasqua Dagnino e fa ridere a crepapelle la nonna Giulia. Si dice che sia stata l' unica volta che abbiano visto la nobildonna ridere in pubblico.

O come quando fa travestire al suo amico Gaetano Pottino di Capuano i panni di Guglielmo II, disegnandogli anche i caratteristi baffetti dell' imperatore per fare una sorpresa alla bisnonna Sofia che vanta spesso e volentieri questa amicizia.

La donna semicieca abbocca e gli amichetti di Raimondo assistono alla surreale scena dello storico incontro. L' imbroglio viene scoperto quando l' anziana donna vuole a tutti i costi ricambiare la visita andando a trovare l'imperatore che crede sullo nello yacht ancorato al porto.

Per il giovane scavezzacollo sono dolori. Una vita accelerata che finisce tragicamente quando il principe, da tempo vittima di furiose crisi di nervi, dopo una visita neurologia a Roma, prende consapevolezza che la via come la intende lui gli è sfuggita di mano.

Già da tempo soffre terribilmente e solo davanti alla moglie - dalla quale vive lontano proprio per nasconderle la sua condizione - riesce a controllare i suoi nervi.

Quel tragico giorno a Roma (che una chiromante ha previsto, insieme anche alla prematura drammatica fine dell' amico Stefano La Motta) muore l' uomo ma sopravvive il mito.

E come per tutti i miti la fantasia si impasta con la realtà. Così si alimenta la leggenda del giocatore Selmonsson, detto "raggio di luna", lasciato in eredità alla moglie Olga Villi e alle due figlie, Venturella e Raimonda, vicenda a cui avrebbero attinto Garinei e Giovannini per la loro commedia "Raggio di luna"; la favola che Domenico Modugno si sia ispirato al principe per scrivere la sua canzone più bella "L' uomo in frac".

Filippo Maria Battaglia









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Giampaolo Marseglia

Raimondo Lanza di Trabia nasce nel 1915, figlio illegittimo del principe Giuseppe Lanza Branciforte di Trabia e di Madda Papadopoli Aldobrandini, nobildonna veneta. Nel 1927, alla morte del principe, il giovane Raimondo si avvicina ai nonni paterni e va a vivere a Palermo. Qui, ascoltando i racconti dei nonni Pietro e Giulia di Trabia, incentrati su quella nobiltà ormai svanita con l’Unità d’Italia, Raimondo resta affascinato e comincia a costruire il suo mito.

È un ragazzo dinamico e passionale Raimondo, è consapevole delle sue origini nobili e non fa nulla per nasconderle, soprattutto dopo che, grazie a una legge speciale, riesce a ottenere il titolo nobiliare dei nonni. Agli studi il principe Raimondo Lanza di Trabia preferisce l’azione, le giornate trascorse in mare e buttarsi a capofitto in ogni genere di nuova avventura.

Quando diviene ventenne capisce che Palermo gli va stretta, e si trasferisce a Roma. Raimondo fa presto ad ambientarsi nel mondo che conta della capitale, e riesce a tessere una grande amicizia con Edda Mussolini e Galeazzo Ciano, la figlia e il genero del duce. È così che durante la guerra civile spagnola si trova in Spagna, nella battaglia di Guadalajara, in veste di agente segreto del regime.

Le amicizie altolocate di Raimondo Lanza di Trabia sono innumerevoli: durante uno dei suoi tanti viaggi in America conosce Erroll Flynn, futuro amico di sbronze, si concede varie vacanze a bordo degli yacht del miliardario greco Aristotele Onassis, riceve inviti dall’ultimo Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi e dalla seconda moglie Soraya, partecipa alle feste organizzate dal principe Ranieri III di Monaco, è amico del pilota Tazio Nuvolari, banchetta con Luchino Visconti e con il noto playboy Porfirio Rubirosa, ha una relazione con l’attrice e ballerina Rita Hayworth. È in contatto con gli scrittori Curzio Malaparte, Alberto Moravia e Giuseppe Tomasi di Lampedusa e si fidanza con Olga Villi, una delle donne più eleganti e desiderate di quegli anni. I due si sposeranno nel 1953 e dalla loro relazione nasceranno due figlie: Venturella e Raimonda, nata dopo la morte del padre.

Nel frattempo diviene direttore della storica Targa Florio, una delle più antiche corse automobilistiche al mondo, e presidente del Palermo Calcio. È lui a inventare all’Hotel Gallia di Milano il primo prototipo di calciomercato. Insomma il principe Raimondo conosce ed è amato da tutti i personaggi del mondo che conta ed è al centro di tutti i discorsi politici, sportivi e mondani del suo tempo.

Questa sua esplosività ci viene raccontata magnificamente da Susanna Agnelli nel libro Vestivamo alla marinara: “Quando entrava in una stanza era come un fulmine. Tutti smettevano di parlare o di fare quello che stavano facendo. Gridava, rideva, baciava tutti, scherzava. Divorava il cibo come una macchina per tritare rifiuti, beveva come un giardino assetato in un deserto, suonava il pianoforte, telefonava e mi teneva la mano, tutto contemporaneamente“.

E ancora: “Correva su per le scale e si fermava, in cima, ansimante; guidava la macchina come un pazzo; si sdraiava sul letto ai miei piedi e parlava senza interruzione, finché, d’improvviso, si alzava, mi baciava e scompariva“.

Pare che durante gli anni di presidenza del Palermo il barone Arcangelo Alù, interessato alla successione al comando della squadra siciliana, abbia sfidato il principe di Trabia a duello dopo uno scherzo che lo stesso gli avrebbe giocato. Il principe per tutta risposta accettò la sfida e si allenò con l’amico Emilio Salafia, schermidore palermitano e vincitore di due medaglie d’argento alle Olimpiadi. Dopo poche schermaglie il duello viene fermato, salvando probabilmente la vita al barone Alù. Sempre durante la presidenza del Palermo si dice che avesse comperato un calciatore tutto per sé da far palleggiare nel salotto di casa per allietare le serate con gli amici.

E ancora, durante la Seconda guerra mondiale quando Galeazzo Ciano, divenuto Ministro degli affari esteri, prossimo a partire in treno passa dal suo albergo e per burla lo invita all’incontro che dovrà tenere con il capo del governo ungherese. Ciano lo saluta dicendogli tra fragorose risate che però il treno parte tra un’oretta. Poco prima che il treno parta alla volta di Budapest il principe di Trabia arriva in stazione e, in pantofole e pigiama, salta in carrozza lasciando sbalordito il genero di Mussolini.

Sorge l’alba del 30 novembre 1954 quando Raimondo Lanza di Trabia, l’ultimo dandy, si affaccia dalla finestra della sua camera all’Hotel Eden di Roma, a due passi da via Veneto.

La notizia si diffonde subito e sul selciato fuori dall’hotel accorrono Gianni Agnelli, Curzio Malaparte, Edda Ciano e tanti altri curiosi. Sono tutti sorpresi di quel gesto, improvviso ed eclatante, in linea con la vita stessa del principe. Un suicidio senza un motivo ben preciso. Cosa può esserci all’origine di quel salto fatale?

Raimondo Lanza di Trabia, 39 anni al momento del suo suicidio, ha condotto una vita riflettendo quel mondo dorato che aveva conosciuto dai racconti ottocenteschi dei nonni. Ma nel suo animo vive una perpetua malinconia e matura una forte depressione, ben occultata all’esterno dalla vita piena di eccessi, pronta a esplodere.

La salute è minata da anni di eccessi con l’alcol, di sigarette e di droghe. In quegli ultimi anni, inoltre, il suo patrimonio ha subìto un radicale taglio a causa della crisi delle zolfare e della riforma agraria in Sicilia. Raimondo Lanza di Trabia è conscio che tutto il suo scintillante passato non avrebbe avuto repliche, non sarebbe più tornato. Decide così di andarsene, calare il sipario con un colpo di scena, un gesto spettacolare assolutamente fedele al personaggio che aveva costruito.

Un ultimo atto che resta senza una ragione certa, però; il principe non lascia alcun testamento, alcun estremo messaggio, e questa circostanza col tempo non fa che speculare su cosa sia realmente successo in quella suite dell’Hotel Eden, adiacente a quella del fratello Galvano.

“Addio al mondo, ai ricordi del passato, a un sogno mai sognato, a un attimo d’amore che mai più ritornerà” si conclude in questo modo "Vecchio frac", la dedica di Domenico Modugno al principe Raimondo Lanza di Trabia, il cui teatrale e misterioso suicidio ha messo la parola fine a un’epoca fatta di vecchi nobili, di dandy, di gattopardi.

Di ipotesi ne furono fatte tante, anche sul fatto che non si sia trattato di suicidio, di cui molte connesse alla mafia e alle miniere di zolfo. Una di queste ipotesi, che pone l’accento sulla strana inchiesta che (non) venne condotta, mostra le strane incongruenze della scelta dell’albergo Eden in luogo del Grand Hotel, abituale residenza romana del principe, della caduta dal quarto piano, anzi no: dal secondo (o forse dal primo) nudo e di testa, che fu un modo decisamente strano di andarsene per un dandy di quella portata.

Antonio Pagliuso










da Napoli, sabato 18 luglio 2020 alle ore 23:33:35
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Giampaolo Marseglia

Martedì 30 novembre 1954 il principe Raimondo Lanza di Trabia moriva schiantandosi, completamente nudo, sul selciato davanti all’Hotel Eden, a Roma. I giornali scrissero di un suicidio: Raimondo nell’ultimo periodo aveva dato segni di depressione e squilibrio.

Eppure, da grande amante del calcio, aveva appena acquistato decine di biglietti per la partita Italia-Argentina che si sarebbe tenuta il sabato successivo, il che – diciamo la verità –  è piuttosto insolito per un aspirante suicida. Se ne andava così uno degli esponenti più importanti dell’aristocrazia siciliana dell’epoca.

Qualche mese dopo Domenico Modugno, suo grande amico, avrebbe inciso in suo onore “Vecchio frac”. Il bastone di cristallo, la gardenia nell’occhiello, e il papillon che risalta sul candido gilet. Questa l’immagine che sarebbe rimasta immortale di Raimondo Lanza di Trabia.

Ma Raimondo Lanza non era stato solo ciò che oggi si definirebbe “un’icona glamour”. Infatti, egli era stato anche, in ordine sparso, pilota di corse automobilistiche, playboy, scialacquatore, spia dei servizi fascisti tra le Brigate Internazionali durante la Guerra di Spagna, agente del servizio militare agli ordini del generale Carboni durante l’occupazione nazista di Roma, presidente del Palermo Calcio, amico di Gianni Agnelli, amico di Reza Pahlavi, amante di Edda Ciano, proprietario di miniere di zolfo, morfinomane, nuotatore provetto, fidanzato di Susanna Agnelli e marito di Olga Villi.

Aldo Giannuli, aprile 2016.









Palazzo Butera, Palermo





















da Napoli, sabato 18 luglio 2020 alle ore 23:54:08
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