L'estate del 1968: BB e Gigi Rizzi

Varie

Giampaolo Marseglia

da Napoli, domenica 7 giugno 2020 alle ore 17:43:15

La vicenda, nelle sue grandi linee, è più che nota: nell’estate del 1968 la mitica Brigitte Bardot ha un’intensa relazione con un giovane italiano sconosciuto ai più: Gigi Rizzi, nato nel 1944 a Piacenza.

In rete sono reperibili varie ricostruzioni giornalistiche della vicenda, ma nessuna ha la forza evocativa e la potenza descrittiva del seguente brano, non a caso opera di un vero scrittore: Giuseppe Genna, intellettuale poliedrico e profondo conoscitore delle vicende italiane recenti (note e meno note).

A seguire inserisco un ricordo del nostro mitico connazionale a firma di un Giampiero Mughini commosso e partecipe. Poi una testimonianza di uno dei coprotagonisti di quella stagione irripetibile. Infine una lettera scritta dallo stesso Gigi Rizzi alla Bardot anni dopo la loro epocale liaison ed un breve estratto dalla sua autobiografia.




"Les italiens: i giovani tigre avevano inventato uno stile, una metafisica. Una generazione diversa da quella capitanata da Porfirio Rubirosa, che si scontrava senza subire l’inferiority complex dell’italiano medio di fronte alla calca europea. Belli, sfrontati, bronzei, dinamici: infernali. La seduzione di un sillogismo fisico.

Misero fuori gioco Gunther Sachs e le sue trovate da buffone: l’ex marito di Brigitte Bardot, playboy e miliardario, scendeva da un elicottero di sua proprietà vestito da Dracula. Di lì a poco, la tragedia: les Italiens avrebbero detronizzato l’imperatore nudo, con crudele e lucida determinazione. Il sangue nuovo scorre aureo nelle vene. La nuova Gerico era Babilonia. Babilonia era Saint Tropez.

Gunther Sachs spadroneggiava: un tavolo perennemente riservato al Byblos, un tuffo orizzontale e che durava tutta la notte nel più fiorente mercato di carne umana del pianeta, come lo definiva Robert, il proprietario del Pirata. A Saint Tropez si consumavano in ogni possibile varianza tutti i rituali della corruzione e del vizio, i partouzes più ingegnosi, le mode più folli e sfrenate.

Lo charme è una vocazione, la griffe divina che ti fa incedere a piedi nudi sulla sabbia umida la notte, lasciando orme dorate, nella salsedine tenuta a bada dal brillio dell’avorio scoccato con un rapido sorriso. Al New Esquinade, una boîte affittata genialmente da Beppe Piroddi, nacque il mito Gigi Rizzi, si impose lo standard di eccellenza italiano. Exit Gunther, enter Rizzi. La germinazione tropeziana: un uomo che fa sventolare il tricolore alla Mandrague, il punto più alto e inarrivabile, quello su cui erano concentrati gli sguardi bramosi del mondo intero: la villa di Brigitte Bardot.

C’era poco da fare: Françoise d’Orleac era sbarcata dallo yacht del rampollo Reanult, Pascal Petit ciacolava luminosa con Annette Stroiberg, Alain Delon e la Demongeot (Demon-geot) facevano struscio fino alla Caves du Roi – ma nulla poteva eguagliare l’immensità del passo di Brigitte quando scendeva all’Epy Plage dei fratelli de Barges.

BB era Elena che aveva conquistato la sua Troia. Miami invidiava la plage azzurra, la Sodoma mediterranea, la città di Dio in Terra. Saint Tropez staccava tutto e tutti dal luogo naturale: non si camminava a terra, si incedeva in cielo, lasciando dietro di sé scie luminose e scambiando quattro chiacchiere con esseri numinosi ma sessuati, archetipi fatti di carne e oro, mai consumati dalla lascivia che li lambiva come un balsamo naturale. Il vizio cuoce, ma non quella carne.

Quella non era carne: era una sostanza adamantina, incorporea, inscalfibile. I fratelli de Barges, miliardari arroganti, privi del tocco mercuriale che distingue l’animale dall’essere semidivino, erano assediati all’Epy Plage, la spiaggia privata e inarrivabile. C’era gente che tentava a suon di milioni di strappare un invito. Philippe Junot era ospite fisso dei due fratelli debosciati e viziosi. Alix Chevasseaux, pure. L’odio li alimentava: l’odio nutrito con l’esporsi all’irradiazione ultravioletta che promanava da les Italiens.

Era "Gigi l’amoroso", come cantava Dalida, con i suoi moschettieri: Franco Rapetti detto "il Principe", Rodolfo Parisi "il Tenebroso", Beppe Piroddi che aveva praticato il ratto definitivo: si era preso Odile Rodin, la vedova di Porfirio Rubirosa, il Rizzi antelitteram: un passaggio di consegne che allibiva, la relazione amorosa intrecciata come una mossa di geopolitica scaltra e ultimativa.
Erano velenosi, inconfondibili, trascinanti. Les Italiens. Ad ampi passi sull’Esplanade avanzavano statuari, per l’ubriacatura delle folle che si aprivano in due ali, li applaudivano in un’ebetudine frizzante e contagiosa. I cinturoni di pelle dalla grande fibbia, le catene a maglia larga che scintillavano sulla pelle ambrata, i ciondoli e gli anelli appesi alle catene a ricordo di speciali conquiste dai nomi altisonanti, i capelli lunghi, le camicie bianchissime aperte rigorosamente sul petto, le basette, l’immancabile golfino in cachemire. Gigi Rizzi aveva lanciato la moda della bandana a fascia.

Il 23 giugno 1968 il mondo sospese il suo corso. Scena: il Café des arts, sera inoltrata. Le stazioni nei locali di élite le avevano imposte les Italiens. Se vai a mezzanotte all’Esquinade è un errore mortale. Se vai alle due al Papagayo è un altro errore mortale. A mezzanotte o all’una, all’Esquinade non trovi nessuno, alle due al Papagayo è l’assedio di milioni di persone venute a toccare il lembo del mantello. E’ necessario smarcarsi. Sempre. Ovunque.

Dinamica, network, rete, passaparola. Il Café des arts era il luogo perfetto per la cena di compleanno di Gigi Rizzi. Era povero in canna, non aveva il cambio di calzini, li rovesciava per indossarli due giorni di fila. Arrivava alla periferia di Saint Tropez in Fulvia, non in Ferrari. E mise ai suoi piedi il mondo intero, ai suoi piedi rivestiti con calzini usati.

Quella sera improvvisamente apparve l’Avvocato. Un lupo, non un agnello: giovane, rampante, stratosfericamente ricco, un puttaniere che aveva già dato prova di sé e costretto gli altri a dargli prova di sé. Jeans, blazer, camicia bianca aperta sul petto, era arrivato a Saint Tropez con la flotta, prontamente ribattezzata da les Italiens l’Invincible Armada: il GA30, il GA50, velocissimo, e l’Agnetta, un due alberi in legno che era entrato in porto a vele spiegate, una manovra spericolata e precisissima, una precisione inarrivabile.

Molti avevano tentato di imitare quell’approdo fantastico e mozzafiato, tutti erano andati a sfracellarsi sulla banchina. La manovra viziosa si addice agli dèi, soltanto gli dèi possono praticare il vizio senza esserne intaccati. L’Avvocato fece il suo ingresso nel locale accompagnato da Dino Fabbri, Renzino Avanzo, Paolo Vassallo. Fu subito invitato al tavolo delle meraviglie.

Gigi Rizzi veniva festeggiato con dissipazione di materie alcoliche e proteiche. Jacqueline de Ribes, seminuda, si strusciava un cosciotto di agnello sulla pelle stralucida. Marina Cicogna cinguettava alticcia. Florinda Bolkan consumava i suoi albori. Gigi usciva da una storia con Nathalie Delon, conosciuta a Cervinia cinque anni prima: lo aveva baciato nelle cucine del Gallia, quando ancora si chiamava Nathalie Bathélemy. Era partita per Avoriaz, col figlio Tony, prima dell’ultimo addio a Rizzi.

Quella sera Gigi tentava di dimenticarla. Si faceva coccolare da Elsa Martinelli, ignorando le occhiate in tralice dell’uomo di lei, Willy Rizzo, il fotografo che aveva conquistato la Francia con scatti di geniale intuizione napoletana. Quando l’acme era stato toccato e l’insinuante malinconia della fine iniziava a serpeggiare negli animi (la fine mai! Via dalla fine…), Gigi Rizzi diede la sterzata decisiva: tutti al Papagayo!

Il Papagayo di Frangines, il club des allongés, senza sedie, materassini di gomma sistemati a semicerchio, l’imitazione riuscita del banchetto pagano. L’Avvocato era sfinito. Le risate scoccavano da una parte all’altra del locale. Gli sguardi erano acuminati e lucidi come frecce letali, dirette al cuore e ai genitali. C’era odore di sesso.

Frangines voleva bene a les Italiens. Forniva loro prodotti d’annata. Soddisfaceva gusti complessi, palati abituati alla manna. Frangines era l’amfitrione che cercavano. Il locale era buio. A un tratto si illuminò. Si vide accendersi un arto indistinto, tanta era la luce che ne irradiava. Pelle bianca, seta umana. Lo sciabordio di voci tacque.

Era Brigitte Bardot.
Capirono subito tutti di trovarsi sulla faglia della Storia.
Gigi Rizzi accennò a un boogie. Brigitte alzò le braccia, scosse il bacino, compì l’enorme promessa. Un accenno, nulla più. Il mondo era mutato irreversibilmente.

Il mondo cambiava. La rivoluzione divorava il corso del pianeta. Le sigizie ideologiche non influivano sull’orbita quanto la mutazione dell’asse di rotazione, che Gigi e Brigitte stavano sensibilmente spostando. La marea assetata di borghesia disselciava Parigi. Scontri cupi, pietons noir, soltanto il maggio precedente avevano dato origine a sogni imbruniti. Il crepuscolo del mondo.

Idioti. Avrebbe vinto l’altro Sessantotto, quello di Gigi Rizzi e Brigitte Bardot. Misuriamo a oggi le conquiste, le sagome aeree e luminose che affollano le menti imbiancate degli utenti occidentali. Sono i figli legittimi di quel rapporto più che sessuale, salso e immaginifico, con cui Rizzi si apprestava a cavalcare il mondo.

Sotto i fari che irradiavano occhi di bue accecanti, al Papagayo si consumò un rito che surclassava la tragedia classica. Era l’ipostasi del sesso e del consumo, la merce seduttiva prendeva coscienza di sé, le cose iniziarono ad animarsi, la materia inerte si fece elettrica e creativa.

"Se ti piace lo sci d’acqua, domattina vieni a fare colazione alla Mandrague. La baia è splendida, ideale per planare" disse Brigitte.
"Ci sarò" si limitò a rispondere Gigi.

Era il crollo dell’America. Frank Sinatra espropriato da se stesso, la sua voce irradiata sul pianeta veniva fatta a brandelli in Europa. Il futuro era del Vecchio Mondo, che procedeva a velocità suicida verso lo schianto finale. Assaporavamo tutti il gusto stanco e mieloso di una fine eternamente postposta. L’America l’abbiamo inventata noi, due volte.

Fu tutto calcolato. Fu tutto spontaneo, immediato. La compagnia di Gigi Rizzi abbandonò il Papagayo per ritagliarsi la calma che precede il combattimento. Il rito di iniziazione veniva preparato al Gorille: solleticato da Babette, la cameriera, Gigi Rizzi si preparava all’evento.

Dormì due ore di sonno artificiale. Alle undici del mattino era alla Mandrague. Aveva portato a Brigitte un vassoio di croissant.
"Cosa vuoi per colazione?"
"Due rosé" rispose Gigi. Fu servito. Uscirono in mare aperto.
L’attesa consumava i loro corpi investiti da spruzzi di salsedine. Il motoscafo assordava. Gli sguardi brillavano. Sulla battigia della Mandrague, fu Brigitte a carezzargli il polpaccio.

Il pomeriggio, i quotidiani francesi uscirono in edizione straordinaria, per cantare l’epica dell’Era del Gossip: il nuovo amore di BB, il playboy che capitanava les Italiens.

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INVIO

Giampaolo Marseglia

Un giorno di fine giugno del 1968, a notte inoltrata, Brigitte Bardot entrò in una discoteca di Saint-Tropez e siccome di uomini belli e svettanti se ne intendeva molto, come avrebbe potuto non notare quel marmoreo italiano ventiquattrenne da cui la giovinezza e la vitalità maschile eruttavano come da un vulcano?

Gigi Rizzi il suo nome, la danza a piedi nudi e il gioco delle carte le sue risorse migliori, le bellissime donne da avvolgere e spupazzare la sua meta e il suo lavoro 24 ore su 24.

Fosse stato per lei e per il tipino femminilmente vorace che era, Brigitte gli avrebbe messo le mani addosso all'istante. Si limitò a fargli arrivare in mano un bigliettino in cui lo invitava a fare sci d'acqua, all'indomani mattina, innanzi alla sua villa celeberrima.

In un suo libro in cui si vanta, e non gli si può dar torto, di essere stato attore protagonista di un “altro Sessantotto” che non quello degli studenti che rumoreggiavano contro il capitalismo, Rizzi racconta che quella notte non andò a dormire. E con tutto questo alla mattina dopo sciò benissimo e tutto il resto che immaginate.

Esattamente una domenica di fine giugno, alla sera tarda del 23 giugno, ed esattamente in una villa dalle parti di Saint-Tropez, il cuore di Rizzi si è arrestato per sempre. Lui che aveva vissuto a gran velocità, è morto velocemente.

Tre mesi - Aveva 69 anni ed era tornato a vivere in Liguria dopo avere girato mezzo mondo. Se ne va con lui un pezzo del sogno che è stato di tutti, quel tempo in cui era sembrato non ci fosse un limite allo strapotere della bellezza di uomini e donne che incastravano le loro notti e le loro danze.

Brigitte se l'era tenuto in casa e lo aveva apprezzato per la durata di tre mesi. Dopo di che gli fece trovare la valigia fuori dalla porta.

Lei era una creatura di cui il poeta e autore di teatro Roberto Lerici scrisse che mangiava quando aveva fame e beveva quando aveva sete. Tre mesi furono sufficienti per esaurire il suo appetto di un «italien» seppure talmente bello.

Pochi mesi prima le erano bastate poche settimane per consumare il suo appetito di un uomo all'opposto di Rizzi, di un poeta e cantautore ebreo di cui avresti detto a prima vista che era bruttarello e invece era un mostro di fascino, il francese Serge Gainsbourg.

Da Gainsbourg a Rizzi, da un polo all'altro dell'universo maschile, Brigitte gustava, consumava, gettava via.

A Saint-Tropez - Figlio di un imprenditore ligure, il Rizzi del giugno 1968 non aveva esattamente un'arte e una parte che non fosse quella di dedicarsi anima e corpo alle rappresentanti eccelse dell'universo femminile.

L'ho detto che il suo era un lavoro 24 ore su 24, giorno e notte, e ci voleva anche un po' di «roba» per tenere quel ritmo e quelle prestazioni. Straripante di simpatia e di una comunicativa maschile persino sfacciata da quanto puntava diretto al cuore delle belle, il suo era un professionismo accurato quanto alla conquista delle girls, alla perizia nella scelta dello champagne e dei vini i più acconci alla situazione, ai segreti del tavolo da gioco.

A Saint-Tropez lui e un gruppo di playboy italiani che le foto del tempo ci tramandano addobbati con quella loro divisa da battaglia, la camicia ben sbottonata a mostrare orgogliosi il pendolo che sbatte sul torso, avevano un loro tavolo perennemente riservato nel locale più famoso della cittadina francese, il Byblos.

Rizzi, Beppe Piroddi (più tardi marito di Corinne Cléry, morto qualche anno fa), lo statuario Franco Rapetti, Gianfranco Piacentini. (Quanto al tavolo da gioco mi ha raccontato che una notte vinse 100mila dollari a Ted Kennedy, il quale non glieli pagò mai).

«Les italiens», come venivano chiamati, avevano la nomea di inarrivabili quanto a conquiste femminili. Se incontravano una ragazza subito le offrivano di che vestirsi da capo a piedi, ciò che le «material girls» non disdegnano affatto.

A detta di Elsa Martinelli, che di Rizzi è stata molto amica, i playboy francesi non arrivavano alle caviglie degli «italiens» in fatto di eleganza e generosità. Figli anche loro dei Sessanta, s'erano dati come idolo né Mao né Herbert Marcuse e bensì il leggendario playboy sudamericano Porfirio Rubirosa.

I valori fondamentali del gruppo erano riassunti in una specie di scala Mercalli che faceva riferimento alle potenzialità e all'entità dell'organo maschile. «Animella, basanotto, mezzalama, duro da militare, duro da culo, duro da ergastolano, duro da dio». Loro tutti naturalmente pensavano di averlo duro da dio.

Terre e bestiame - Più tardi il vento in poppa di cui avevano goduto questi «altri» Sessantottini scemò di intensità. Piroddi e Rizzi avevano inaugurato a Roma nel 1969 un locale atto alle celebrità e ai loro spassi notturni, quel Number One che stava alle spalle di via Veneto. Nei cui bagni trovarono, nel 1972, un bel po' di droga tanto che lo chiusero.

Nei secondi anni Settanta Rizzi se ne andò in Argentina a occuparsi di terre e bestiame, e finché non è tornato in Italia alcuni anni fa. L'ho avuto di fronte in parecchi set televisivi. Per ragioni di invidia maschile avrei dovuto odiarlo da schiattarne, e invece era molto simpatico. Dello spaccamontagne dei Sessanta era rimasto poco. Al contrario, lo trovavo un po' timido quando gli indirizzavo una battuta.

Giampiero Mughini, giugno 2013.









da Napoli, domenica 7 giugno 2020 alle ore 17:57:42
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INVIO

Giampaolo Marseglia

Danilo Endrici veste di tutto punto. È ancora à la page, mocassini senza calze, foulard che esce appena dal taschino. Il “bel Danilo” sorride: «Sì, è vero, ho vissuto due vite. Ma che anni formidabili». Gli anni di Saint Tropez, lui, con Gigi Rizzi e les Italiens alla conquista delle notti.





Danilo Endrici a vent’anni lascia la sua San Michele, per andare nel mondo, verso orizzonti infiniti. Perché allora sentiva che il mondo era suo.«Avevo un po’ di soldi ereditati: li usai accuratamente per vivere alla grande». Vita dissipata? «Macché, una grande vita. E poi guardi che tutto quello che ho vissuto è ritornato in rapporti, relazioni, facilità di mettere a frutto idee e imprese, con alleanze internazionali». E subito il trentino Endrici incontra Gigi Rizzi. «Ah, Gigi Rizzi! Mi è morto praticamente tra le braccia due anni fa. Ero al suo solito banchetto e all’improvviso ci chiamano urlando che Gigi era caduto, invece era sulle scale ormai senza respiro, strozzato da un boccone di carne... Povero Gigi. Era il più simpatico del gruppo. Era il più charmant. E guardi che è stata Brigitte Bardot a corteggiarlo, non lui. Quasi nessuno lo sa o lo dice. Ricordo bene quei giorni. Le serate al Papagayo. Sì, sono stati pochi giorni: un’estate. Ma che estate. E Brigitte che donna. Intelligente, di grande simpatia: sulla bellezza inutile che mi soffermi. E poi BB aveva un vantaggio: aveva delle amiche bellissime, erano tutte tropeziennes, stavano nella sua villa a prendere il sole e noi ci piazzammo lì. Io mi fidanzai subito con una delle più belle, che poi, molto dopo, si sposò con Mario Adorf, di cui sono tuttora un grande amico. He he (ridacchia Endrici) quando Brigitte ha messo le scarpe di Gigi fuori dalla porta è perché non voleva più tutto quel clan...»


















Danilo Endrici ora è general manager di ScreenLine, una società che ha sede a Besenello e che è leader in Italia per la produzione di sistemi di videoproiezione. Che salto, Endrici, da Saint Tropez a Besenello! «Certo. Ma un salto lungo una vita». Una vita velocissima... «Veloce come veloce fu la popolarità di quel ’68. Il flirt di Rizzi con la Bardot, il clan di amici italiani che aveva conquistato la Costa Azzurra: quell’attimo ci diede una fama pazzesca, era facile fare nuovi incontri». E facilissimo far volare i soldi... «Guardi ho speso moltissimo: quante relazioni ho avuto, alcune fatue certo, ma non si può mai dire, quando meno te lo aspetti c’è chi ti chiama di nuovo, amici nell’ambiente dello sport o dell’industria. Tanti amici».










Amici-amici? «E quanti! Marta Marzotto (povera Marta) è stata una grande amica: sa quanta gente ho conosciuto grazie a lei? E poi Giacomo Agostini, il campione, ci sentiamo ancora oggi». Endrici è un fiume in piena, il fiume del jet set degli anni Sessanta-Settanta, la videoproiezione gigante di un film dell’epoca d’oro. E lui era lì. Ed era un playboy protagonista. «Guardi, fino a qualche anno fa non amavo parlare di queste cose. Ora forse ho superato certi freni inibitori...» sorride, ovvio. Ma la vita non erano solo notti e incontri. Con i primi soldi che aveva Endrici aprì la prima discoteca in Sardegna, a Porto Rotondo. «Era il ’68-69, fui il primo. Più che una discoteca era un club di amici, c’era Ira von Fürstenberg, c’era il conte Nicolò Donà della Rosa, l’inventore di Porto Rotondo, che allora era una cosa esclusivissima. Poi aprii a Cortina. Lì veniva spesso Peter Sellers, che mito! Peter fu un mio grande amico. Ecco, lui e Alberto Sordi sono gli unici due che ho conosciuto che erano identici a come li vedevi al cinema: facevano morir dal ridere sempre».














E il Trentino? Addio San Michele? Si era dimenticato del Trentino? «Beh, scusi, giravo ovunque: la città più provinciale era Milano. Lei mi capisce». Quindi niente niente. «No, tornavo spesso per mia mamma. E per le mie sorelle. Una ha anche lavorato qualche anno per me in un locale».





E il clan resisteva? «Eravamo amici veramente. Facevamo festa sempre». Vi sentivate anche un po’ immortali, no? «Sì, un po’ sì».




Era così bello che al domani non si pensava. Si pensava, al massimo, al giorno dopo.



Anche sedurre ormai era facile, no? «Non so dirle. Cioè, sì, per noi era facile». La chiamavano “il bel Danilo”, vero? «Sì. A Saint Tropez avevamo come punto di riferimento la casa di Elsa Martinelli. E lì c’era un giro che non finiva più. Cenammo con Jane Fonda, con Romy Schneider...» Il non plus ultra. E quante storie per Endrici! «Sì: Marilù Tolo, Barbara Bouchet, e anche una bella storia con Nadia Cassini». Nadia Cassini? «Sì, lo so, allora era il top: pensi che mi chiamò schiumando invidia anche Franco Califano. Ah, che mito povero Franco, che vita ha fatto!». Vite spericolate? «No. Vite spensierate». E qualcosa che andò storto? Mai? «Certo! Eccome. La prossima volta le racconto di quella sera che incontrai Raquel Welch ma ero “intrappolato”... Che serataccia...». Insomma, seratacce “relative”. «Ah ah ah» ride Danilo. Tutto intanto sembra ruotare attorno a voi, les Italiens. E invece...













«Già. Franco Rapetti lo chiamavano “capriccio per signora”: era il più bello di tutti noi. Ma aveva la debolezza del gioco. Giocava su qualsiasi cosa. Giocava, giocava, accidenti. Poi a New York il coroner archiviò quella sua morte come un incidente, ma io resto convinto che ci fu qualcuno che lo fece volare dal settantesimo piano». Anni di morti misteriose e tragedie. «Nello stesso periodo morì anche Rodolfo Parisi. Io e lui eravamo legatissimi. Morì a 36 anni, colpito alla testa dal deflettore dello specchietto dell’autobus mentre scendeva dal marciapiede a Londra...»








E così cambia tutto. «Sì. Io portai avanti per anni anche il locale a Monaco di Baviera. Imparai a organizzare tante cose. Poi, però, nel 1978 chiusi». E la vita si trasforma. «Cambia perché non poteva più esserci quella vita, perché tutto era cambiato. Io però ho costruito una seconda vita sulle basi di quegli anni. Sono entrato nel mondo dei video tramite un amico di Monaco. Nel 1979 inizia la prima avventura nel settore, con un inventore di Miami. Alcuni anni dopo l’ho mollato: non mi fidavo più. Dopo la caduta del muro di Berlino, invece, mi chiamano tantissimi amici tedeschi: c’era da ricostruire la Germania Est e io avevo rapporti con tutto il mondo... Anche quello fu un bel periodo. E infine ho incontrato Bruno Gomarasca, che ha fondato ScreenLine e che mi ha chiesto di stargli al fianco, proprio per le mie relazioni. Curo il commercio estero. E ora siamo una potenza».












Endrici è stato anche sposato. «Uh! Sì, ma solo per un paio di weekend. Erano i primi anni Sessanta». Ma l’amore, quello vero, profondo, unico, diverso? «A una donna, Ursula, sono stato legato molto, ma in un’altra età. Avevo già superato i cinquanta. Siamo stati insieme 8 anni, ma ci siamo lasciati perché non era nella mia natura accasarmi». Ricorda Tamara Baroni? Lei è citato nel suo libro “Tamara la parmigiana” dove dice: “Soffiai il bellissimo Danilo Endrici a Daniela Bertazzoni, padrona del Grand Hotel de Milan”. «Ah ah ah. Tamara: ora la ricordo, sì, bellissima!». D’accordo, tutto è come un foulard per il bel Danilo. Non sente, ora, che i settanta li ha passati già da un po’, il bisogno di una compagna? «No! La mia compagna è la musica jazz. Senza jazz io non mi alzo, non vado a dormire, non salgo in macchina». Per Endrici la vita è come il jazz. Come diceva Gershwin: “È meglio quando s’improvvisa”.

da Napoli, domenica 7 giugno 2020 alle ore 18:10:15

Giampaolo Marseglia



La lettera di Gigi Rizzi per i 70 anni della Bardot




Cara Brigitte,


ti scrivo da un altro mondo, da un’altra vita, da un’altra città. Cerco un fiore per quegli occhi che una volta facevano frrrr e oggi si commuovono per le foche e le balene. Mi volto indietro e rivedo Saint-Tropez, la bolgia infernale dell’«Esquinade», le interminabili notti tra l’«Escale» e il «Papagayo», e una sera in cui c’eri tu ad applaudire les italiens. Auguri. Conosco il tuo indirizzo per esserci passato in un tempo remoto, quando la gioia di vivere era sulla faccia di ragazzi e ragazze e tutti avevamo un sogno.








Era il ’68, e io me lo giocavo a piedi nudi ballando sui tavoli per piacere, per conquistare, immaginando che non sarebbe mai arrivato domani. Avevo 24 anni, in terra di Francia mi sentivo un moschettiere: bevevo micidiali «cointreau» con Johnny Holliday e giocavo a calciobalilla con Gilbert Becaud nei pomeriggi di place Delice, poi rapivo qualche amica sulla spiaggia di Pampelonne e aspettavo il tramonto come un bambino.







Ero fidanzato con la notte quando ci siamo conosciuti. Sembravi un marziano, un extraterrestre di stratosferica bellezza. Ma non eri quel personaggio dispotico descritto dai giornali. Eri fragile, malinconica, intelligente, sensibile, gelosa dell’intimità: diventavi furibonda se qualcuno la violava. Come i fotografi, che usavano il flash come un bazooka. Ci sono miti costruiti sul cartone: niente balle, tu eri vera. Per questo piacevi tanto. Chi ti era vicino si sentiva l’uomo più importante del mondo. Avresti voluto respirare anche la sua aria.








Sento ancora oggi la deriva di quell’estate insieme, e ogni tanto mi chiedo che cosa sarei senza quel bombardamento mediatico che trentasei anni fa mi portò, con la tua foto, sulla copertina di Newsweek. Forse sarei rimasto un signor nessuno e avrei avuto meno foto sui giornali, ma la mia vita sarebbe stata la stessa, come il capitale affettivo che sento intorno a me. La famiglia, i figli, gli amici sono la conquista più importante. Anch’io voglio bene agli animali e apprezzo le tue battaglie ecologiste. Ma non ho mai condiviso quel che pensavi allora: gli animali non tradiscono, gli uomini sì. Io, nonostante tutto, credo negli esseri umani. Mi piace la scelta che hai fatto di contraddire i luoghi comuni. E’ una prova di coraggio, non bisogna nascondersi al tempo.










Tieni duro, Brigitte, ma cerca di non vedere solo nemici intorno a te. Se tornerai nell’altro mondo, quello in cui io vivo innamorato e felice, troverai ancora un amico. A bientôt.












da Napoli, domenica 7 giugno 2020 alle ore 18:26:17

Giampaolo Marseglia

Noi, i ragazzi italiani di Saint-Tropez, per piacere, per conquistare, dovevamo lottare contro gli straricchi. Io non avevo la Ferrari o la Rolls Royce e nemmeno lo yacht da trenta metri; me la giocavo tutta con la mia faccia e quella era la sfida più eccitante. Gunther Sachs, ex marito di Brigitte, playboy e miliardario, scendeva dal suo elicottero vestito da Dracula, lanciava tonnellate di rose rosse, entrava nel porto con il suo Aquarama sparando candelotti fumogeni. Io ballavo il flamenco sul tavolo prendendo a calci i bicchieri. Piedi nudi, jeans, capelli al vento e via. Vaffanculo.








Quella del ’68 era la mia quarta estate in questa Babilonia popolata da miliardari, avventurieri, prostitute, drogati e pervertiti, il più fiorente mercato di carne umana che si conosca, diceva Robert, il proprietario del Pirata. A Saint-Tropez si consumavano tutti i rituali della corruzione e del vizio, le mode più sfrenate, i partouzes più ingegnosi. E noi, les italiens, eravamo un’istituzione, con il nostro tavolo sempre riservato al Byblos, contesi e desiderati al Papagayo, sempre attesi all’Esquinade all’alba, ultima tappa di un tour infernale al quale erano ammessi soltanto i campioni.








Arrivavamo noi, alzavamo un dito, si aprivano le acque del Mar Rosso e morivano d’invidia i cacciatori di donne più agguerriti, perché noi avevamo il diavolo in corpo e portavamo sempre il profumo dell’avventura. Non ho mai capito se fosse lo charme o la mia sfrontata esuberanza a rendere tutto facile e possibile in quel mondo surreale cercato con forza anni prima, dopo i racconti degli amici genovesi. C’ero piovuto ventenne per scoprire la differenza tra le donne italiane e quelle francesi, per dimenticare Gigliola Cinquetti che cantava Non ho l’età e dragare in quelle spiagge che avevano nomi esotici come Tahiti, Morea, Pampelonne. Come in un incantesimo mi era sembrato di vivere in un paradiso.










Con le donne non ci sono alternative, o sei re o sei straccione: lì improvvisamente ero stato messo su un trono da decine di ragazzine disinibite e da signore trasgressive. Una stagione, poi un’altra, il fascino di una conquista che inebria e diventa una sbornia difficile da smaltire, ti fa sentire grande, potente. A Saint-Tropez il tempo sembrava fermarsi in quelle notti interminabili e la musica ti entrava nella pelle come il sole e l’acqua del mare. No, non si poteva paragonare a Portofino, che pure era stata la mia prima riserva di caccia, a Capri o a Forte dei Marmi, località battute dai tombeurs romani e milanesi.









Saint-Tropez era unica, straordinaria, perché aveva proclamato la religione del corpo e perché c’era lei, Brigitte Bardot, simbolo del desiderio, della trasgressione, una presenza che si percepiva, si respirava, impregnava l’aria. Bella, divina, imprendibile fino a quel giorno di giugno, quando si presentò al Papagayo. Giorno speciale, clima di trionfo, tutti intorno a noi: si brindava alla nuova stagione del New Esquinade, una boîte che avevamo affittato per due mesi con l’amico Beppe Piroddi, statrega di un’operazione che conciliava il divertimento con gli affari. Con lui a Milano avevo aperto il Number One, e nella pausa estiva ci era sembrata geniale l’idea di gestire l’Esquinade, punto d’arrivo obbligato delle notti tropeziane. Era una cantina, un buco maledetto con un caldo bestiale, denso di fumo e sudore, il massimo dalle cinque alle otto di mattina per farsi un whisky e incontrare qualcuno. C’è un anno magico nella vita di ognuno, e quello deve essere stato il mio, perché di colpo si materializzavano i sogni della mia adolescenza. Era tutto facile, possibile per “Gigi l’amoroso” come cantava Dalida. Mi sentivo un D’Artagnan, vincente e imbattibile.















Gigoleggiavo tra indistinguibili Nadine, Claudine, Françoise, Monique, Babette, ogni sera un’avventura, un incontro. Eravamo velenosi, inconfondibili, con i nostri cinturoni di pelle dalla grande fibbia, le catene a maglia larga appese al collo con infilati i ciondoli e gli anelli regalo di amanti speciali, i capelli lunghi, il pullover di cachemire appiccicato alla pelle, i basettoni fin sotto l’orecchio. Allora mi fasciavo la fronte con un foulard perché mi piaceva la parte del pirata, ed era quella la mia divisa, con i jeans e una maglietta. Io, con Franco Rapetti detto “il principe”, Rodolfo Parisi, ricchissimo tenebroso, e Beppe che aveva appena intrecciato una love story con la vedova di Porfirio Rubirosa, Odile Rodin. I quattro moschettieri, scriveranno i giornali, i padroni delle notti di Saint-Tropez.














da Napoli, domenica 7 giugno 2020 alle ore 18:32:04