Francesco "Pupetto" Caravita di Sirignano

Varie

Giampaolo Marseglia

da Napoli, domenica 2 agosto 2020 alle ore 19:55:15

Francesco Caravita principe di Sirignano internazionalmente conosciuto come Pupetto, è stato senza dubbio uno dei personaggi più in vista nella Napoli del 900.

Pupetto oltre ad essere stato uno degli ultimi nobili napoletani autentici in circolazione, ha rappresentato l’interprete più vero, più trasparente, più genuino di un certo modo di essere meridionale in generale e napoletano in particolare. E come in tutte le sue manifestazioni, ogni suo pensiero e modo di fare, era portato all’eccesso.

Egli rifiutava razionalmente la sistematicità e l’impegno del lavoro, ma possedeva a dismisura tutte quelle qualità che hanno fatto grandi nei secoli i napoletani: la bontà, la fantasia, l’intelligenza, l’arguzia, l’amore per le cose belle, la genuina solidarietà verso il prossimo, la negazione della ripetitività, la ricerca del nuovo e dello sconosciuto.

Una vita appassionante, vissuta con trasporto verso tutte le cose belle e fuori di ogni dubbio senza i rimpianti che spesso accompagnano tutti coloro che si danno precise regole di comportamento e di azione.

La famiglia di Pupetto, di antica origine spagnola, presenta nella corona della casata non una spada bensì una testa di elefante, rappresenta cioè una nobiltà di toga e non di armi.

Ricchissimo, proprietario di vaste tenute in provincia di Avellino, il principe di Sirignano, nato a Napoli nel 1908, trascorse un’adolescenza e una giovinezza brillantissime, sempre in giro per il mondo, ospite di famiglie patrizie e di club elitari.

Pupetto cresce da bambino pestifero, poi ragazzo terribile, adolescente scapestrato e giovane spericolato, sempre attorniato da un pollaio di donne: madre, nonna, cinque zie paterne, due zie materne, tre sorelle, rinforzate da un esercito di governanti, cameriere e guardarobiere.

La prima esperienza sessuale Pupetto l’aveva fatta in «casa»: era stata Adelaide una cameriera della famiglia Sirignano di oltre quarant’anni a svezzare il dodicenne principino, che svelò il suo vizio così precoce tra la meraviglia della mamma, l’orgoglio dello zio paterno e l’accondiscendenza del confessore.

Nel 1929 detenne il primato mondiale per il numero delle corse automobilistiche da lui vinte.

Nel 1933, però, l’aristocrazia napoletana individuò in lui il detentore di un altro tipo di primato: quello relativo al più veloce matrimonio e al più rapido divorzio.

Infatti, trovandosi a bordo di un transatlantico diretto in America, conobbe una diciottenne miliardaria che si innamorò di lui. Allo sbarco a New York, il principe di Sirignano riuscì, nel giro di ventiquattr’ore, ad ottenere la cittadinanza americana e a sposare la ragazza.

Ma quattro giorni dopo entrambi gli sposi chiedevano, a un tribunale della stessa New York, il divorzio per incompatibilità di carattere. Sposati per scherzo, non fu uno scherzo cercare di divorziare o annullare il matrimonio.

Consultati gli avvocati si decise di giocare la carta dell’impotenza dello sposo; per cui mentre la sposina si rese irreperibile per qualche settimana, il povero Pupetto dovette subire lo sdegno di tutti gli Italiani d’America, che si sentivano offesi nella loro virilità, sapendo che un loro connazionale, per giunta principe, aveva fallito la prima notte di nozze.

È stato un protagonista del jet set internazionale nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, in un momento in cui la spensieratezza era un obbligo per la gioventù dorata europea e nord-americana.

Il principe ha trascorso tutta la giovinezza tra viaggi, avventure ai limiti dell’eroismo, infiniti amori più o meno sconvolgenti, favolosi corteggiamenti e singolari incontri con le maggiori personalità del suo tempo da Caruso a Churchill, da Mussolini a Puccini, da Marconi a Croce, dal duca di Windsor a Spadaro, da Chevalier a Margaret e potremmo continuare quasi all’infinito con un elenco interminabile di nomi prestigiosi.

È stato musicista, cavallerizzo e cavaliere, pilota e ufficiale di guerra, viaggiatore instancabile, amante e soprattutto amato. Ha fatto con trasporto ed «impegno» mille cose piacevoli dal fare l’amore a pescare, cavalcare, guidare un’auto da corsa, comporre canzoni, stare con gli amici, viaggiare, giocare a carte, a golf, a tennis.

Conosceva ogni giorno persone di spicco nel loro campo che impegnavano tutte le loro energie chi a far politica, chi a fare la guerra, chi a creare opere d’arte, chi a pensare di dover salvare l’umanità e nel frattempo Pupetto si interessava soltanto a divertirsi e ad avere come unico obiettivo quello di disimpegnarsi dalle noie grandi e piccole dell’esistenza.

Il suo desiderio più grande è stato che, sulla sua tomba, si sia potuta porre una lapide con il seguente epitaffio: “Non fece mai niente di importante nella vita, ma si divertì”.

Dopo oltre mille avventure, Pupetto decise che tutte le sue estati saranno trascorse a Capri, l’isola di sogno, di cui diventò, per molti anni, il presidente della locale azienda di turismo, l’ambasciatore e l’anfitrione. E fu proprio Capri ad incoronarlo imperatore.

Sul finire degli anni Cinquanta, il suo tavolino nella piazza di Capri, sua patria estiva, era una calamita per ragazze e ragazzine, signore e signorine: “Ciao Pupetto, che fai stasera?”. E lui, per dare a intendere che già aveva un impegno con un’altra donna: “Eh, purtroppo stasera mi tocca rimanere al Castello”. Si, denominava “il Castello” la splendida villa che possedeva sull’isola.

Fu soprattutto l’anfitrione dell’isola azzurra e il protagonista indiscusso e amato delle notti capresi, tanto da diventare l’ispirazione vivente, nel 1950, del famoso film di Totò “L’Imperatore di Capri “, per la regia di Luigi Comencini,

Nella pellicola, per buona parte girata sulla spiaggia di Marina Piccola, vengono irriverentemente motteggiati alcuni di quei personaggi stravaganti, emuli del dandysmo aristocratico-letterario, che elessero l’isola di Capri – per il suo essere recondita e “sconsacrata”- quale tempio dell’eccentrico e dell’eccessivo.

Così che da un Pupetto Turacciolo e da un Dado della Baggina (Galeazzo Benti) è facile risalire agli originali Principi Pupetto di Sirignano e Dado Ruspoli, entrambi animatori della dolce vita caprese di quegli stessi anni; la marchesa Casati Stampa di Soncino (amica di D’Annunzio), diviene allora, la baronessa von Krapfen (Marisa Merlini), che, non molto distante dal personaggio della realtà, vive all’ombra del culto della morte, circondata da bare, teschi ed altre funeree fattezze, che Totò non esita a salutare con un “sentite condoglianze!”.

Ma Pupetto non smetteva mai di sbalordire. Il principe di Sirignano non perdeva occasione per rivendicare la sua presunta discendenza da San Gennaro.

Sosteneva, peraltro, di possedere sul suo corpo le prove di quella parentela: una macchia rossa, lunga quattro o cinque centimetri e alta un centimetro, che compariva sulla sua nuca il 19 settembre di ogni anno, nel momento stesso in cui, nella Cattedrale di Napoli, si ripeteva il miracolo della liquefazione del sangue attribuito al santo patrono. Quella macchia rossa, a detta di Pupetto, indicava il posto preciso della nuca ove, nel 305 dopo Cristo, si abbatté la spada del legionario romano che decapitò San Gennaro.

Secondo quanto Pupetto asseriva, tre secoli fa un suo avo e precisamente quel Tommaso Caravita, vissuto tra il 1670 e il 1744 che fu prima giudice della Vicaria e poi illustre autore di testi giuridici, sposò una certa signorina De Gennaro, napoletana benestante, che era considerata, da tutti, l’ultima discendente della “gens Juanuaria”.

“Che io sappia” – raccontò il principe– “da allora, da quando cioè i Caravita di Sirignano si imparentarono con i De Gennaro, iniziò a verificarsi un evento prodigioso. Sulla nuca dei maschi della nostra casata, nel giorno del miracolo di settembre compare una macchia rossa la quale, evidentemente, vuol rievocare la decapitazione del santo patrono di Napoli”.

Ritiratosi negli ultimi anni a vita privata Pupetto rimase un personaggio carismatico e l’ultimo simbolo di una Capri spensierata e folle, gaia e gaudente, peccaminosa e trasgressiva, che non esiste più se non nei ricordi e nei racconti di chi l’ha vissuta.



Palazzo Caravita di Sirignano, Napoli.


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Giampaolo Marseglia

FRANCESCO CARAVITA: UNA VITA IN VACANZA.


Una vita di belle donne e vacanze, jet set e ricchezza. Questo è il racconto del vissuto di Francesco Caravita, principe di Sirignano, conosciuto con il soprannome di “Pupetto”, un napoletano che ha definito la sua vita “Una vita inutile”.

Suo padre il principe Giuseppe Caravita, uomo dalle molteplici e fortunate attività imprenditoriali, aveva ottenuto numerosi incarichi pubblici, culminati nel 1913 con la nomina a senatore del regno. Era stato anche il primo presidente della Banca d’America e d’Italia, che ha la sua sede a Napoli, diretta emanazione della Bank of America dell’italo-americano Giannini.

Nel 1860 Giuseppe Caravita aveva acquistato dal barone Luigi Compagna il palazzo sito alla Riviera di Chiaia, accanto a Villa Pignatelli. Lasciati i panni da imprenditore si dedicò alla costruzione del Rione Sirignano sui terreni adiacenti al palazzo. Il rione è composto da otto edifici di grandi dimensioni adibiti ad abitazioni signorili.

Rimasto vedovo e senza prole, decise di risposarsi alla ragguardevole età di 59 anni. In seguito al matrimonio con Maria Silvia Piria, giovane e bellissima, il principe Giuseppe ebbe quattro figli: il primogenito Francesco, Laura, Anna e Fernanda.


INFANZIA E GIOVENTÙ

Francesco frequenta il liceo Umberto I con scarsi risultati. Dopo la licenza liceale la famiglia spera per il proprio rampollo una sistemazione nell’ambito nella carriera diplomatica. Dopotutto Fran­­cesco, che tutti chiamano Pupetto, conosce varie lingue straniere, apprese dalle varie governanti tedesche e inglesi.

Il rampollo di casa, al contrario, non ha alcuna intenzione di intraprendere una professione, qualunque essa sia. La sua bella vita ne soffrirebbe. Dovrebbe abbandonare le sue varie fidanzate, le serate gaudenti con gli amici, i viaggi per assecondare improbabili amori con attrici e ballerine.

Gli viene prospettato anche una carriera in ambito musicale. Francesco ama la musica e suona il pianoforte con una certa perizia. A tal proposito la mamma, avvalendosi delle sue numerose amicizie internazionali, gli combina un’audizione nientemeno che con Siegfried Wagner, figlio del famoso Richard. Il maestro Wagner lo licenzia con un giudizio tranchant. Meglio che il giovanotto si dedichi ad altra professione.

A 18 anni Francesco si innamora della ballerina Christiane Guy, dotata di una bellezza calda e avvolgente. Segue Christiane nelle sue tournée in tutta Europa. A Copenhagen resta completamente al verde. Non trova di meglio che improvvisarsi ballerino professionista, avendo come maestra di ballo la sua fidanzata. Viene ingaggiato dal proprietario dell’Apollo Teater dove, con immensa faccia tosta, si esibisce ballando e cantando, avendo anche un discreto successo.


LE CORSE AUTOMOBILISTICHE

C’è una professione, se così può essere considerata, che piace e attrae Francesco. È quella di pilota di auto da corsa. 

Nel 1930 partecipa con un’Alfa 1750, al Circuito del Sud, una corsa automobilistica a tappe. Al “Gran Premio di Tripoli” guida una Maserati 1500. Ha un grave incidente. Si ferisce a un occhio e riporta una grossa bruciatura a una gamba. Qualche giorno dopo è di nuovo in pista. Con 185 chilometri orari di media conquista il record mondiale di velocità sui dieci chilometri.

Partecipa anche alla Targa Florio, una gara su suolo siciliano organizzata da Vincenzo e Ignazio Florio, con un’auto prodotta in società da lui e dal meccanico Guglielmo Esposito. Pupetto Caravita è costretto al ritiro a metà gara a causa di un guasto. È l’ultima corsa a cui partecipa.


L’INCONTRO CON D’ANNUNZIO

La madre ansiosa di sistemarlo professionalmente non trova di meglio che organizzare un incontro a Gardone Riviera con Gabriele D’Annunzio, grande amico del padre, sperando che il Vate possa indirizzarlo per il meglio. L’incontro va benissimo dal punto di vista di Francesco. D’Annunzio è molto cordiale. Capisce, con il suo proverbiale acume, che il giovanotto non è fatto per il lavoro.

L’incontro termina in modo amabile. Il poeta gli dona una medaglia ricordo. Sulla medaglia è inciso il motto dei MAS, “Memento Audere Semper”. D’Annunzio fa immediatamente incidere una G sulla medaglia davanti ad “Audere”. Il motto viene così trasformato in “Memento Gaudere Semper”: un vero programma di vita per Pupetto Caravita.


PARENTE DI SAN GENNARO

Francesco vanta una diretta parentela con San Gennaro, il patrono di Napoli. Un suo avo aveva sposato una De Gennaro, appartenente all’antica famiglia del santo. Per questo motivo racconta di un segno sul collo nel punto dove la mannaia aveva decapitato San Gennaro. Il segno rosso si evidenzia in occasione del miracolo dello scioglimento del sangue che avviene a settembre di ogni anno.


IL MATRIMONIO AMERICANO

Durante un viaggio in nave tra l’Europa e gli Stati Uniti Francesco incontra una bella americana, di cui si innamora subitaneamente. Appena sbarcato si recano dal giudice di pace e si sposano. L’unione dura solo ventiquattr’ore. Per divorziare è costretto a dichiarare falsamente in tribunale, con grande suo scorno, di essere impotente.


IL MATRIMONIO ITALIANO

Finalmente incontra a Roma l’amore vero, la duchessa Anna Grazioli, di antica nobiltà papalina. Si sposano trascorrendo la loro vita coniugale tra l’appartamento di Roma a Palazzo Grazioli e la villa caprese di proprietà del principe.

La vita sull’isola azzurra di Pupetto Caravita è fatta di incontri con il jet set internazionale, serate nei night club e frequentazione del Circolo del Tennis di via Camerelle dove incontra la sua amica Edda Ciano.

Il principe è un habitué dei bar della piazzetta dove, seduto al suo tavolino preferito, incontra amici e conoscenti. Il suo primo lavoro vero lo ottiene con la nomina a presidente del­l’Azien­da di Cura, Soggiorno e Turismo di Capri. Un incarico che sembra fatto a pennello per Francesco Caravita, il quale conosce tutto il jet set internazionale. È il solo in grado di trattare a tu per tu con le maggiori personalità mondiali: industriali, artisti, attori, politici, membri di case reali.

Negli ultimi anni lascia la moglie Anna Grazioli per unirsi con l’ennesima americana, Diana Schyler. Si spegne a Roma il 15 giugno 1998, alla rispettabile età di novant’anni. Sulla sua tomba fa incidere il motto perfetto di un uomo inutile: “Non fece mai niente d’importante, ma non fece mai male a nessuno. Si divertì.”.

Silvano Napolitano.






da Napoli, domenica 2 agosto 2020 alle ore 20:04:18
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Giampaolo Marseglia

PUPETTO DI SIRIGNANO

Le regole di un latin lover


In un mondo senza regole, tornano utili e attuali anche questi comandamenti dell'amore, lasciati dal principe dei latin lover Pupetto di Sirignano, uno degli ultimi e autentici dandies made in Naples, e da me raccolti. Furono argomento di una conversazione tenuta a Capri, agli inizi dell'agosto del 1995, su un cortese invito del Principe.


Tra le donne scegli preferibilmente la prossima.

Non ho mai dato un giudizio sulla donna, perché non mi ha mai dato il tempo per pensarlo.

lo non ho ricevuto alcuna educazione sessuale, sono stato un orecchiante. Essendo però molto sensibile alla musica, mi è andata sempre bene. Comunque i risultati più esaltanti li ho ottenuti quando ho improvvisato.

Il corteggiamento è un'arte, non sprecatela per fretta. Gli animali, che non sono intelligenti come l'uomo, lo hanno capito e impiegano mesi a farlo nel modo migliore.

Non credete alle leggende sulla frigidità delle americane, che sarebbero poco inclini all'eros. io vi assicuro: sono quanto di meglio possa augurarsi di incontrare un uomo. Fresche, profumatissime e «dollarosissime».

Qualche occhiata non basta a conquistare una fanciulla. Ci sono ragazze che guardano dentro: spiando il vostro portafoglio quando pagate un rinfrescante Pernod.

UN CONSIGLIO AI GIOVANI SPOSI - Me lo diede Filomena, una nostra fantesca ottantenne. Portatevi nella camera da letto una coppia di conigli, sono uno stimolo alla prolificità. lo l'ho portata e ne ho visto subito i benefici.

Manifestate il vostro amore con i fiori. Ho inviato tante begonie da ripopolare l'Amazzonia. Non fate però passare troppo tempo tra l'omaggio floreale e il primo bacio. Spesso un flirt, se non è ben alimentato, dura poche ore.

Ascoltate amorevolmente le donne che si presentano, dicendo: «La mia storia è troppo lunga per raccontartela». Non vi faranno perdere tempo: sono già pronte a iniziarne un'altra con te.

Non vi intestardite con le cene a lume di candela, basta il chiarore della luna ad accendere un amore. Con tutto il rispetto per Shubert e Mendelssohn, nelle messe nuziali farei cantare «Luna Caprese».

Aldo De Francesco.





"Memorie di un uomo inutile"

del principe Francesco Caravita di Sirignano


"Eleganza d'un tempo"

Gli elegantoni dei miei tempi vestivano secondo la moda di Londra; nessun uomo chic avrebbe osato trasgredirne i precetti. Era piuttosto costoso essere «à la page». I grandi raffinati, ad esempio, mandavano le camicie del frac in Germania per farle inamidare dalle famose stiratrici berlinesi. E a quel tempo inviare un pacco a Berlino non era poca cosa. A parte il costo, che certo non preoccupava chi aveva di queste idee, il viaggio fra andata e ritorno richiedeva mesi.

Fra gli italiani eleganti della generazione precedente la mia, spiccava Giovanni Serra, principe di Gerace. Jean Gerace era un uomo che rendeva elegante qualunque cosa indossasse. Aveva un cameriere molto devoto, Pasquale, che lo trattava con rispettosa familiarità. Guardandosi allo specchio Jean un giorno chiese: «Son giovane, son bello, son ricco, son principe, Pasqua' che mi manca?» «A capa, eccellenza» l'informò il compito cameriere.

Un'altra volta Gerace, che era sceso al Savoy Hotel di Londra col fido ancello, gli disse: «Pasqua', va' a vedere come sono vestiti gli inglesi a quest'ora del giorno». «Subito eccellenza». Pasquale scese in strada e tornò veloce annunciando: «Qui, come gli inglesi, siamo vestiti solo voi e io».

Ogni città italiana aveva i suoi «arbiter elegantiarum»: Milano aveva Marchino Greppi e Giuseppe Visconti, padre di Luchino, Firenze i fratelli Spalletti, gli uomini meglio «incamiciati» d'Italia, Genova Giorgio Ottone, Napoli Marcello Orilia e Oreste Ricciardi, Palermo Giuseppe Lanza di Trabia; ma su tutti emergeva Orazio Cappelli, fiorentino-napoletano, grande musicista, l'unico che si permetteva di suonare Wagner al piano e osava farlo anche in presenza dello scorbutico figlio del genio, Siegfried.

Cappelli viveva fra Parigi e Montecarlo e dettava legge d'eleganza come un dittatore. Piccolo, rotondetto, non aveva nessuno «phisique du rôle» ma aveva un tale chic innato che sarti, calzolai e camiciai del tempo facevano a gara per fornirgli i loro articoli gratis.

Un giorno, a Montecarlo, conobbe Douglas Fairbanks sr., l'unico attore di Hollywood che per le sue acrobazie rifiutava le controfigure. Al momento della presentazione Cappelli squadrò il divo e gli disse con scarsa cortesia: «Fairbanks, io so che lei è un uomo delizioso e un grande attore, ma l'abito che indossa è un sacco ed è un vero peccato che un uomo col suo fisico sia vestito in modo così indecoroso».

Fairbanks, conoscendo lo stravagante personaggio di nome e di fama, non si scompose e domandò affabilmente: «E qual è il suo consiglio, marchese, per ovviare a questo increscioso inconveniente?» «Andare a Roma e ordinarsi da Caraceni un intero guardaroba, se gli altri suoi vestiti sono dello stesso taglio di questo».

«In effetti» rispose Douglas «vado a Roma fra due settimane, ma non potrò trattenermi più di tre giorni; come si fa?» «Non si preoccupi, mi dia un suo abito e io su quello le farò trovare i vestiti pronti per la prova». Così fu fatto e Fairbanks, entusiasta dei suoi nuovi abiti, non osò mai più ordinare un capo senza la supervisione di Orazio.

Dopo di lui anche il figlio, Douglas jr., che abitava in Inghilterra, divenne cliente del grande sarto. Domenico Caraceni era così noto nel mondo per la sua abilità che perfino il principe di Galles gli ordinò un frac. La cosa si riseppe e un deputato laburista presentò, sdegnato, un'interrogazione alla Camera dei Comuni. Gli artigiani italiani del tempo avevano raggiunto, se non superato, abilità dei loro colleghi d oltralpe. Abruzzesi i sarti, siciliani i calzolai, fiorentini o genovesi i grandi camiciai.

Il conte Francesco Matarazzo, fondatore della celebre dinastia industriale del Brasile, un giorno si lasciò convincere dai figli a recarsi dal più grande sarto napoletano dell'epoca: De Nicola, uscito dalla famosa scuola di Savile Row. Dopo le misure e la scelta delle stoffe, De Nicola mormorò rispettoso: «Mi permetto osservare, signor conte, che Ella ordina solo due vestiti, mentre tutti i suoi figli ne ordinano a dozzine!».

«Mio caro De Nicola, i miei figli hanno un padre ricco e io no» rispose Francesco Matarazzo.

In compenso, i prodotti così dispendiosi di questi artigiani duravano tantissimo. Il gioielliere di Capri, Chanteclair, andò da Gatto, il calzolaio-mago, per ritirare sei paia di scarpe. Nel salutarlo l'abbracciò e disse: «E ora arrivederci all'altro mondo». «Perché all'altro mondo?». «Eh, le vostre scarpe sono eterne, e noi con l'età che abbiamo...».



 

  

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