Con questo primo articolo di una mia più vasta ricerca sulla
sartoria siciliana, mi prefiggo di analizzarne assieme a voi, Illustrissimo
Gran Maestro ed inestimabili Cavalieri, la storia, le caratteristiche e
l’evoluzione della sartoria siciliana. Un elemento che giudico cardine nello
sviluppo ed evoluzione della stessa, è quello della “contaminazione”. Da questo
voglio far partire la mia indagine, facendo un rapido excursus storico sulla
prima contaminazione, che a mio avviso, scosse l’identità della sartoria
siciliana dal profondo. Mi riferisco alla presenza inglese in Sicilia che influenzò
non poco l’Isola. Non soltanto dal punto
di vista politico, ma anche sul fronte socioculturale, degli usi e dei costumi.
Tale presenza si registra fin dal XIII sec., ma sarà nel
periodo cosiddetto del “decennio inglese” (1806-1815) che questa inizia a farci
massiccia e particolarmente influente. Nell’inverno del 1806, con la protezione
della Royal Navy, Ferdinando IV di Borbone fu costretto a rifugiarsi nella
capitale dell’Isola, in quanto i francesi occuparono i suoi domini peninsulari
e Napoleone ne affidò il comando prima al fratello Giuseppe, poi, dal 1808 al
cognato Murat. La presenza inglese in Sicilia aveva una ragione
strategico-militare: evitare che quest’ultima fosse conquistata dai francesi.
Per frenare la loro influenza nel mediterraneo, l’impero britannico inviò, nel
giro di 10 anni, circa 20000 uomini della British Army e della Royal navy che
si stabilirono nelle varie fortezze siciliane, principalmente a Messina. Oltre
ad una ragione strategico-militare, si univa una non meno importante ragione economico-commerciale.
In quanto, Napoleone, nel novembre 1806, decretò il blocco continentale ed
espulse tutti i commercianti inglesi da quasi tutti i porti europei occupati
dai francesi. Così, Malta e Sicilia, si trovarono ad essere le uniche risorse
per il mondo commerciale e mercantile britannico. Fino al 1806 sull’ Isola erano presenti pochi
mercanti, nel periodo del “decennio inglese”, si stabilirono più di 60
mercanti. Così ripartiti: 40 a Messina, 10 a Palermo e la restante parte
nell’area vinicola di Marsala e Mazara. Durante il decennio, data la cospicua
presenza degli inglesi ed il loro frequentare le corti, l’aristocrazia e la borghesia
siciliana diedero vita ad una serie di fenomeni di contaminazione di tipo
culturale. Oltre alle merci inglesi, iniziavano a diffondersi anche i loro
costumi e le loro abitudini di vita. Assieme alla voglia ed al fermento di
rinnovamento e modernità, per quanto riguarda le nuove idee politiche ed
economiche liberali e le nuove tecniche agricole ed industriali, si plasmava un
mondo anglo-siciliano. Di lì a poco anche gli usi ed i costumi inglesi si
insinuarono nella tradizionale società siciliana. Nei palazzi dei mercanti
inglesi, si accoglievano gli ospiti tra giuochi di carte, biliardo, letteratura
e sontuose feste da ballo. Nelle due maggiori città siciliane quali Messina e
Palermo iniziarono a nascere numerosi circoli, coffe-house, alberghi e luoghi
di ritrovo di chiara ispirazione britannica. Tra i più famosi vi erano il Cafè
Trafalgar, la Crocodile Tavern and Coffee House, la Garrison Coffe house e il
London Hotel a Messina; l’Hotel de Londres, il Page’s Hotel, Il Crown and
Anchor Hotel, che fu poi ribattezzato in Prince of Wales and Great Britain
Hotel, a Palermo.
La presenza inglese continua a protrarsi, seppur diminuita,
fino ai primi decenni del secolo scorso con visite d’eccezione. Nel 1907,
Edoardo VII e la moglie Alessandra giungono a Palermo, dove furono accolti dai
Florio. Andarono a fare visita ai propri connazionali da Giuseppe Whitetaker, a
villa Malfitano. Nel 1925 arrivano a Palermo re Giorgio V e la regina Maria
d’Inghilterra, sempre a villa Malfitano. Tra gli usi e i costumi recepiti, non
mancò quello dell’abbigliamento. Dal decennio inglese in poi, l’eleganza dell’Isola
iniziò a parlare inequivocabilmente l’inglese. L’aristocrazia e l’alta
borghesia siciliana tra 800 e 900 si serviva presso le più note botteghe di
Saville Row, i cui sarti venivano inviati in Sicilia per prendere ordinativi ed
eseguire le prove. Non fu un caso che Giuseppe La Parola (1852-1916), mandò i
figli Giuseppe e Giovanni, a fare l’apprendistato nella City. Giuseppe (1889-1951)
lavorò presso Henry Poole a Londra e nella filiale di Parigi. Giovanni, più
giovane, si formò presso Sovel & Mason.
Questo preambolo è necessario per poter comprendere la
vocazione britannica che talvolta si può trovare nelle giacche e nei pantaloni
siciliani. Non fu l’unica contaminazione, ma per il momento mi preme
approfondire quest’ultima. È importante sottolineare che la contaminazione,
nella sartoria siciliana, non è da confondersi con il plagio. Bensì è un
processo che si conclude con la sintesi delle diverse lavorazioni apprese dai
vari lavoranti che venivano mandati in diverse sartorie famose di tutta Italia
e non solo. Il risultato di tale processo era ed è uno stile unico e nuovo.
Su questo filone
inglese, collocherei le giacche in foto della sartoria dei fratelli Davì di
Palermo. Entrambi figli d’arte, il maggiore dei due, andò a lavorare per
qualche anno a Londra, proprio nella Row. Grazie a questa sua esperienza, ha
avuto occasione di frequentare e vedere le lavorazioni dei sarti albionici. Pertanto,
nella mia ricerca, lo colloco come successore dei fratelli La Parola. Le
reminiscenze della sartoria La Parola e dello stile inglese, si riscontrano
nelle due giacche del maestro. Una delle cose che più mi ha impressionato, è la
morbidezza della lavorazione ed anche in questo, si pone in linea di continuità
con Giovanni La Parola che soleva affermare: «La giacca deve essere come
una piuma».
La morbidezza è veramente estrema, ciò può essere accentuato
anche dalla scelta di tessuti estremamente leggeri che a Palermo rimangono la
scelta principe. Le giacche, sia sul manichino e sia indossate, non sono mai
piatte, anzi si presentano tridimensionali come una scultura. Per quanto
riguarda la giacca di flanella, i baveri a lancia sono ampi e d’impatto e
rollano in maniera accentuata. Ciò contribuisce a dare un senso di profondità
alla giacca. Le rifiniture, le tasche ed il taschino sono minuziosi in entrambe
le giacche.
Le spalle sono concave e leggere e sembrano assecondare la
linea naturale delle stesse. I quarti squadrati delle due giacche, non fanno
che accentuare le reminiscenze con la sartoria londinese. In ultimo, ma non
meno importanti, sono le proporzioni generali delle giacche che appaiono perfettamente
in armonia. Per il resto, lascio a voi la parola.
Cavallerescamente,
Ottavio Trigona


