Sartoria siciliana: Palermo parte I

Sartoria - Artigiani italiani e stranieri - Giacche - Teoria e Storia dell'Abbigliamento classico

Ottavio Maria Trigona

da Piazza Armerina, sabato 17 aprile 2021 alle ore 22:59:11

Con questo primo articolo di una mia più vasta ricerca sulla sartoria siciliana, mi prefiggo di analizzarne assieme a voi, Illustrissimo Gran Maestro ed inestimabili Cavalieri, la storia, le caratteristiche e l’evoluzione della sartoria siciliana. Un elemento che giudico cardine nello sviluppo ed evoluzione della stessa, è quello della “contaminazione”. Da questo voglio far partire la mia indagine, facendo un rapido excursus storico sulla prima contaminazione, che a mio avviso, scosse l’identità della sartoria siciliana dal profondo. Mi riferisco alla presenza inglese in Sicilia che influenzò non poco l’Isola.  Non soltanto dal punto di vista politico, ma anche sul fronte socioculturale, degli usi e dei costumi.

 

Tale presenza si registra fin dal XIII sec., ma sarà nel periodo cosiddetto del “decennio inglese” (1806-1815) che questa inizia a farci massiccia e particolarmente influente. Nell’inverno del 1806, con la protezione della Royal Navy, Ferdinando IV di Borbone fu costretto a rifugiarsi nella capitale dell’Isola, in quanto i francesi occuparono i suoi domini peninsulari e Napoleone ne affidò il comando prima al fratello Giuseppe, poi, dal 1808 al cognato Murat. La presenza inglese in Sicilia aveva una ragione strategico-militare: evitare che quest’ultima fosse conquistata dai francesi. Per frenare la loro influenza nel mediterraneo, l’impero britannico inviò, nel giro di 10 anni, circa 20000 uomini della British Army e della Royal navy che si stabilirono nelle varie fortezze siciliane, principalmente a Messina. Oltre ad una ragione strategico-militare, si univa una non meno importante ragione economico-commerciale. In quanto, Napoleone, nel novembre 1806, decretò il blocco continentale ed espulse tutti i commercianti inglesi da quasi tutti i porti europei occupati dai francesi. Così, Malta e Sicilia, si trovarono ad essere le uniche risorse per il mondo commerciale e mercantile britannico.  Fino al 1806 sull’ Isola erano presenti pochi mercanti, nel periodo del “decennio inglese”, si stabilirono più di 60 mercanti. Così ripartiti: 40 a Messina, 10 a Palermo e la restante parte nell’area vinicola di Marsala e Mazara. Durante il decennio, data la cospicua presenza degli inglesi ed il loro frequentare le corti, l’aristocrazia e la borghesia siciliana diedero vita ad una serie di fenomeni di contaminazione di tipo culturale. Oltre alle merci inglesi, iniziavano a diffondersi anche i loro costumi e le loro abitudini di vita. Assieme alla voglia ed al fermento di rinnovamento e modernità, per quanto riguarda le nuove idee politiche ed economiche liberali e le nuove tecniche agricole ed industriali, si plasmava un mondo anglo-siciliano. Di lì a poco anche gli usi ed i costumi inglesi si insinuarono nella tradizionale società siciliana. Nei palazzi dei mercanti inglesi, si accoglievano gli ospiti tra giuochi di carte, biliardo, letteratura e sontuose feste da ballo. Nelle due maggiori città siciliane quali Messina e Palermo iniziarono a nascere numerosi circoli, coffe-house, alberghi e luoghi di ritrovo di chiara ispirazione britannica. Tra i più famosi vi erano il Cafè Trafalgar, la Crocodile Tavern and Coffee House, la Garrison Coffe house e il London Hotel a Messina; l’Hotel de Londres, il Page’s Hotel, Il Crown and Anchor Hotel, che fu poi ribattezzato in Prince of Wales and Great Britain Hotel, a Palermo.

 

La presenza inglese continua a protrarsi, seppur diminuita, fino ai primi decenni del secolo scorso con visite d’eccezione. Nel 1907, Edoardo VII e la moglie Alessandra giungono a Palermo, dove furono accolti dai Florio. Andarono a fare visita ai propri connazionali da Giuseppe Whitetaker, a villa Malfitano. Nel 1925 arrivano a Palermo re Giorgio V e la regina Maria d’Inghilterra, sempre a villa Malfitano. Tra gli usi e i costumi recepiti, non mancò quello dell’abbigliamento. Dal decennio inglese in poi, l’eleganza dell’Isola iniziò a parlare inequivocabilmente l’inglese. L’aristocrazia e l’alta borghesia siciliana tra 800 e 900 si serviva presso le più note botteghe di Saville Row, i cui sarti venivano inviati in Sicilia per prendere ordinativi ed eseguire le prove. Non fu un caso che Giuseppe La Parola (1852-1916), mandò i figli Giuseppe e Giovanni, a fare l’apprendistato nella City. Giuseppe (1889-1951) lavorò presso Henry Poole a Londra e nella filiale di Parigi. Giovanni, più giovane, si formò presso Sovel & Mason.

 

Questo preambolo è necessario per poter comprendere la vocazione britannica che talvolta si può trovare nelle giacche e nei pantaloni siciliani. Non fu l’unica contaminazione, ma per il momento mi preme approfondire quest’ultima. È importante sottolineare che la contaminazione, nella sartoria siciliana, non è da confondersi con il plagio. Bensì è un processo che si conclude con la sintesi delle diverse lavorazioni apprese dai vari lavoranti che venivano mandati in diverse sartorie famose di tutta Italia e non solo. Il risultato di tale processo era ed è uno stile unico e nuovo.

 

 Su questo filone inglese, collocherei le giacche in foto della sartoria dei fratelli Davì di Palermo. Entrambi figli d’arte, il maggiore dei due, andò a lavorare per qualche anno a Londra, proprio nella Row. Grazie a questa sua esperienza, ha avuto occasione di frequentare e vedere le lavorazioni dei sarti albionici. Pertanto, nella mia ricerca, lo colloco come successore dei fratelli La Parola. Le reminiscenze della sartoria La Parola e dello stile inglese, si riscontrano nelle due giacche del maestro. Una delle cose che più mi ha impressionato, è la morbidezza della lavorazione ed anche in questo, si pone in linea di continuità con Giovanni La Parola che soleva affermare: «La giacca deve essere come una piuma».

 

La morbidezza è veramente estrema, ciò può essere accentuato anche dalla scelta di tessuti estremamente leggeri che a Palermo rimangono la scelta principe. Le giacche, sia sul manichino e sia indossate, non sono mai piatte, anzi si presentano tridimensionali come una scultura. Per quanto riguarda la giacca di flanella, i baveri a lancia sono ampi e d’impatto e rollano in maniera accentuata. Ciò contribuisce a dare un senso di profondità alla giacca. Le rifiniture, le tasche ed il taschino sono minuziosi in entrambe le giacche.

Le spalle sono concave e leggere e sembrano assecondare la linea naturale delle stesse. I quarti squadrati delle due giacche, non fanno che accentuare le reminiscenze con la sartoria londinese. In ultimo, ma non meno importanti, sono le proporzioni generali delle giacche che appaiono perfettamente in armonia. Per il resto, lascio a voi la parola.

 

Cavallerescamente,

Ottavio Trigona







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