La giacca di ramié

Tessuti - Sartoria - Giacche

Lorenzo Villa

da Parma, venerdì 10 luglio 2020 alle ore 17:51:00

Gran Maestro irraggiungibile,

 

fin da quando lo introdusse in uno scambio epistolare privato tra Cavalieri, il ramié non smise di affascinarmi.




La ricerca di tessuti classici per giacca, adatti all’estate mediterranea, mi ha sempre impegnato e, non lo nego, intrigato. Da lì a poco l’unione delle due cose mi condusse, grazie al brillante e sempre pronto Cavalier Rizzoli, che per primo si mise sulle sue tracce, ad acquistarne un taglio.

Il tessuto ha quella naturale semplicità che è universalità ed un carattere rilassato che, tuttavia, non rinuncia ad una raffinatezza poetica e colta. Apprezzo questa sua evidente duplice natura, parimenti rustica e chic.

Con l'aiuto di un gin-tonic ieri sera meditavo sulla futura giacca ed i suoi dettagli.

Completamente sfoderata, ad eccezione delle maniche, tre tasche applicate, spalla camicia, bottoni in trocas (colore ?) ? Trasparenza da assecondare ?

 

Cavallerescamente

Lorenzo Villa 

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Giancarlo Maresca



Illustre Cavaliere Villa,
di origini orientali, il ramié o ramia è la matriarca delle fibre vegetali. Viene usata da qualcosa come seimila anni e si ricava da comuni erbacce della famiglia delle urticacee, in grado di riprodursi anche spontaneamente. Non va confusa con l’ortica estratta dalla Urtica dioica di origine europea, che ha i peli che pizzicano. La ramia bianca, che in fiocco si presenta di un brillante colore perlaceo, viene dalla Bohemeria nivea tipica della Cina; la ramia verde (o nandù) si ricava invece dalla Bohemeria utilis originaria della Malesia. Diversamente dal cotone, che si ricava dalla peluria del seme, il ramié è una fibra cellulosica che proviene dalla zona tra corteccia e fusto della pianta detta floema o libro. Pertanto, esattamente come lino, canapa e iuta appartiene alla categoria delle fibre liberiane. Non ama il lavaggio a secco, ma con una media di 12 e picchi da 26 centimetri è la più lunga fibra vegetale attualmente conosciuta. Sebbene sensibile allo sfregamento, per resistenza alla trazione e durata nel tempo non ha paragoni, tanto che le mummie dei faraoni venivano per lo più avvolte nel ramié e non nel lino. La fibra utile è così tenace che per isolarla non basta la macerazione, occorre un laborioso processo di decorticazione e bagni in ambiente basico per sgommarla. In quanto conduttrice di calore ha mano fresca, resa un po’ abrasiva dalla particolare sezione spigolosa. La sua ragguardevole lunghezza dona un filato molto meno peloso della canapa, quindi più luminoso e meno caldo. Tra l’altro vanta un potere di assorbimento dell’umidità superiore alle altre fibre vegetali. In mescola col cotone acquista morbidezza e raggiunge forse la sua espressione più performante, anche se perde in carattere. Per i pantaloni è preferibile la mescola, in camiceria la purezza assoluta o quasi, ma con peso inferiori a quello del caso di specie.




Il tessuto che mi mostra ha un’armatura a tela cui gli orditi meno fitti delle trame, grosso modo in rapporto di 3 a 4, conferiscono porosità da un lato e trasparenza dall’altro. Per quanto posso vedere l’ordito è leggermente più grosso e potrebbe contenere in mescola intima una percentuale di cotone. La fibra principale, non particolarmente brillante, dovrebbe essere una ramia verde sbiancata e tinta. Quello che non si vede è il comportamento, che sembra quello di una sostanza cristallina. Rigido e freddo come vetro, al pari di quest’ultimo il ramié puro tende a finire in mille pezzi, ovvero a stazzonarsi quanto e più del lino. Un Illustre Cavaliere poco tempo fa affermava che il ramié sta al lino come il mohair alla lana merinos. Una brillante proporzione. La giacca dovrà dunque essere come lei già la immagina, sfoderata e con tasche applicate, magari due in alto per evitare tasche interne. Un capo per il tempo libero di un uomo libero, del quale la trasparenza finirà per citare un tratto di disinibizione non adatto a tutti gli scenari.




Se la strada ironica le piace, prenda in considerazione l’idea di farci una giacca Nehru coi bottoni a vista come quella indossata da Bond nella caverna del dott. No. Naturalmente con una leggera fodera, che darà all’insieme quel tanto di formalità che serve a una serata estiva in cravatta nera. Se invece cerca un uso quotidiano in cui godersi, se non esibire, una freschezza di cui pochi hanno esperienza, ci faccia una giacca-camicia su suo modello personale. Bottoni sempre e comunque in trocas, se li trova anche col piede.




Sarebbe da codardi abbandonare l’argomento senza affrontare una domanda naturale, la cui risposta è però molto amara. Come mai una fibra economica, igienica, ecologica, bella e fresca come il ramié trova così poca applicazione nel fashion system? Come mai i marchi che muovono miliardi di dollari e cercano ovunque migliori margini di profitto usano il costoso lino a tonnellate e snobbano ramia, canapa e ortica?  C'è qualcosa che accomuna tali fibre, un peccato mortale che a un certo punto della storia le ha condannate a una vita di emarginazione: provengono da piante che crescono e si moltiplicano spontaneamente, senza interventi artificiali sul piano genetico o chimico. Come ben sa, caro Villa, l’informazione ci abbuffa di ideali ambientalisti e visioni catastrofiche per alimentare i nostri sensi di colpa, ma nella realtà nessuna scelta nel senso della sostenibilità si  può assumere se contraria all’interesse dell’industria. In particolare di quella chimica che sta diventando un centro di potere così importante che presto potrebbe scavalcare anche le banche. O comprarsele. Colossi del genere, che intendono gestire cibo e acqua su scala globale, non accetteranno senza combattere (a ogni livello visibile e invisibile) la promozione di prodotti che non le facciano guadagnare con fertilizzanti e diserbanti da un lato e diritti su sementi OGM dall’altro.




C’è anche un’altra spiegazione, per accedere alla quale dobbiamo liberarci dalle panzane sulle crisi e accettare che il mondo non è mai stato così pieno di denaro, in tutte le sue molteplici forme. Quanto al polimorfismo del denaro apro una parentesi per far notare come esso rappresenti l'unica merce che, forse perché non percepita come tale, pur acquisendo aspetti sempre attuali non cancella i vecchi e nemmeno i più antichi. I pomodori vertebrati che durano un mese  hanno soppiantato i delicati Sammarzano, così come le batavie uso Tasmanian hanno costretto la gran parte dei tessuti tradizionali a suicidarsi alleggerendosi. Le transazioni col palmare, invece, non hanno affatto messo in pensione i supporti cartacei. Ancora esistono assegni, cambiali, libretti di deposito, cedole azionarie, lettere di credito e altra roba che ha secoli di vita, molti più di qualsiasi altra commodity. Insomma sul piano monetario vecchio e nuovo convivono, mentre nel commercio il secondo scaccia inevitabilmente il primo. La forza di tale continuità, dovuta a generazioni di finanzieri ben più lungimiranti di imprenditori e politici, ha fatto in modo che a differenza di altre risorse il denaro disponibile sul pianeta sia aumentato a dismisura, sebbene a singhiozzo e in misura non omogenea. I milionari, una volta mosche bianche, ora si contano anch'essi a milioni. Chi il denaro lo maneggia per mestiere sta ben attento a nascondere tale caotica abbondanza sotto la leggenda della crisi, che sa essere un velo che nasconde chi ce l’ha fatta e una  coperta che consente a tutti gli altri la calda consolazione del lamento e della speranza. Coloro che dispongono di mezzi sufficienti al superfluo sono sempre più facoltosi e sempre più interessati agli effetti indiretti delle cose, ovvero al loro ritorno d’immagine più che alla soddisfazione nel farne esperienza. In conclusione, questo periodo straricco e fortemente influenzato da alcuni settori industriali non è l’ambiente giusto per le materie prime povere, sia perché  chiunque può coltivarle con pochi investimenti, sia perché non hanno appeal. Ecco perché troviamo sempre più numerose le schiere dei sostenitori di Baby cachemire, summer vicuna, blu diamond e altre invenzioni ad alta tecnologia e valore aggiunto, mentre nessuno chiede il misero ramié, che non avrà pagato più di dieci cucuzze al metro.


Cavallerescamente
Giancarlo Maresca

da Napoli, domenica 2 agosto 2020 alle ore 12:51:50
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Lorenzo Villa

Imbattibile Gran Maestro,

 

a costo di ripetermi non esito a sottolineare come il rianimarsi della Cittadella non sia un ritorno, fisicamente circolare, ma una nuova traiettoria, capace già da oggi di stare a mille leghe da ogni altro spazio web o socials. E’ evidente come la strada qui sia dentro noi stessi, un lavoro disciplinato di ricerca e coscienza, scevro da ogni attualità dell’immagine e del lusso fotografico. Noi viviamo tutti i giorni così. A molti sembrerà strano, ma questa è la vita dell’Uomo Classico Elegans e nella Cittadella non facciamo altro che riversare passioni, studi, ambizioni, cimenti, dubbi.

Forse proprio il ramié è una metafora dell’oggi. E le sue parole sono precisissime nel descrivere uno stato delle cose amaro e triste. Ma chi sa vivere sa divertirsi e chi sa divertirsi con gusto sa dove è la bellezza, fuggitiva e imprendibile, invero letale e affascinante. L’amiamo per questo. Sarà proprio il caso di aumentare le scorte di questo tessuto…

 

Mi entusiasmano le quattro tasche su di un impianto monopetto tradizionale. Conviene con me sulla fodera nelle maniche ovvero sfodererebbe anche quelle ?

Mi diverte la giacca Nehru, forse anche per chi la indossa in foto, ma non so quanto sia affine alla mia sensibilità. Vedremo.

 

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Lorenzo Villa

da Parma, martedì 4 agosto 2020 alle ore 09:31:13
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Giancarlo Maresca

Illustre Cavaliere Villa,
la riapertura dei lavori alla Cittadella parte da motivazioni di cui taccio e prelude a sviluppi di cui saranno i fatti a parlare. Sono infatti in esecuzione nuovi progetti, tra cui l'immenso archivio, denominato Repertorio, che offrirà agli Illustri Cavalieri l'esperienza di muoversi attraverso tutto il materiale prodotto dall'Ordine negli ultimi venticinque anni. L'apertura avverrà entro la fine dell'anno, il completamento e messa a regime nel 2023. E' invece già a buon punto una App che sarà scaricabile da chiunque e migliorerà la fruizione della Cittadella da dispositivi mobili. Su richiesta invierà notifiche relative alle novità pubblicate in tutte le aree in chiaro, evitando che debbano essere ricercate. Si tratta comunque solo di veicoli da trasporto, il centro di produzione del sapere cavalleresco è nelle ricerche condotte nel corso degli eventi e qui nei Laboratori. La sua visione del segmento di storia in cui ci stiamo avventurando come un paragrafo nuovo e non la prosecuzione di uno lasciato appeso è probabilmente giusta, ma anche qui sapremo dai fatti stessi cosa stavamo facendo.




Quanto alle maniche, col lino, cui il ramié si può assimilare, la tradizione napoletana le vuole sfoderate. Ciò comporta maggiore stazzonamento e, ben presto, la formazione di pieghe non più addomesticabili nemmeno col ferro caldissimo, che tra l'altro il ramié sopporta come una passeggiata. In alto vede una foto di una mia giacca del 1997. La manica è corrugata come una carruba e non ci si può fare più niente, perché le pieghe sono diventate rughe. La fodera rallenta e attenua questi fenomeni,  sta a lei decidere se andarvi incontro o contrastarli.

Cavallerescamente
Giancarlo Maresca
da Napoli, martedì 4 agosto 2020 alle ore 11:16:42
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