Carlos "Charlie" de Beistegui

Titani

Giampaolo Marseglia

da Napoli, giovedì 9 luglio 2020 alle ore 19:50:40

Carlos de Beistegui y de Yturbe, nacque a Parigi il 31 Gennaio del 1895 e morì a Biarritz il 17 Gennaio del 1970. Era abitualmente chiamato “Charlie” oppure “il Conte di Montecristo”. Fu un multimilionario, collezionista d’arte e di arredamento, che diventò una delle figure più importanti della vita mondana europea del 20° secolo.
Aveva la nazionalità spagnola per via dei suoi antenati messicani, che avevano accumulato un ingente patrimonio costituito da piantagioni, miniere d’argento e palazzi. Studiò prima nel college di Eton e poi all’università di Cambridge.
Nei primi anni 30 del secolo scorso commissionò all’architetto Le Corbusier la costruzione di un attico sugli Champs Elisées, il cui ampio giardino pensile fu allestito da Salvador Dalì.
Nel 1939 acquistò il castello di Groussay a Monfort l’Amaury (nel dipartimento degli Yvelines nella regione dell’Ile-de-France) e passò tutto il successivo trentennio a migliorare la struttura e gli interni di questo castello compreso il vasto parco che lo circondava.
Nella struttura di Groussay era compreso un teatro da 150 posti ispirato alla Margravial Opera House di Bayreuth; nel corso degli anni de Beistegui accumulò nel castello una ricchissima collezione di dipinti antichi, vasi cinesi, arazzi spagnoli, statue di bronzo, mobili d’epoca et similia.
Groussay riscosse l’ammirazione di architetti d’interni del calibro di David Nightingale Hicks e di Mark Hampton, che lo definirono “the most beautiful house in the world”.Cecil Beaton rimase così colpito dalle stanze di Groussay, che ne utilizzò una come modello per la libreria di Henry Higgins nel film “My fair lady”.
Beistegui non ebbe problemi nel corso della seconda guerra mondiale, in quanto la bandiera spagnola (dunque neutrale) che sventolava sul castello, lo tenne al riparo da requisizioni e altri consimili problemi.
Nel 1948 de Beistegui acquistò il Palazzo Labia sul Canal Grande di Venezia e lo fece completamente restaurare, dopodiché lo arredò con mobili e dipinti d’epoca, inclusi alcune opere di Raffaello, Annibale Carracci e Guido Reni.
Il 3 settembre del 1951, a restauri ultimati, Palazzo Labia ospitò “le Bal Oriental”, un bal masqué che rappresentò uno degli eventi mondani più spettacolari di tutto il 20° secolo. Gli inviti furono distribuiti sei mesi prima dell’evento per permettere ai futuri partecipanti l’adeguato allestimento dei costumi da indossare.
L’elenco degli invitati comprendeva i più famosi esponenti del jet set, tra i quali l’Aga Khan, Barbara Hutton, Fulco di Verdura, Patricia Lopez Willshaw, Daisy Fellowes, Alexis de Rédé, Cecil Beaton, ecc. Salvador Dalì e Christian Dior, invitati, disegnarono vicendevolmente il costume da indossare.
Seppur invitati né Winston Churchill, né il Duca e la Duchessa di Windsor parteciparono al ballo. Tantomeno partecipò Peggy Guggenheim, non invitata a causa di precedenti dissapori con l’ospite.
Il “party of the century” - come fu poi definite dalla stampa internazionale - contribuì a lanciare la carriera di Pierre Cardin e di Nina Ricci, ai quali fu affidata la fattura di decine di costumi per l’evento.
Attorno al 1960 de Beistegui vendette Palazzo Labia alla RAI RadioTelevisione Italiana. Nel 1999 il castello di Groussay, compresa gran parte degli arredi recuperati da Palazzo Labia, fu venduto, per conto del nipote Jean de Beistegui, da Sotheby’s nel corso di un’epocale vendita in 6 giorni, la prima realizzata su suolo francese dalla rinomata Casa d’aste.
Charles de Beistegui non si sposò mai, anche se fu visto al fianco di numerose donne nel corso della sua vita. Sulla sua sessualità fiorirono varie speculazioni, tra cui quella che fosse bisessuale.
















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Giampaolo Marseglia

Le Bal Oriental.

Ultimi scampoli dell’estate veneziana 1951. La laguna è in fermento per la mostra del Cinema appena inaugurata, mentre a Palazzo Labia di Stra tutto è pronto per celebrare l’estro di una stella, non della pellicola ma della moda. Si tratta del talentuoso couturier francese Christian Dior; in suo onore è stata organizzata quella che sarà ricordata come la festa più esclusiva del Ventesimo secolo, Le Bal Oriental.
Christian Dior, poi scomparso nel 1957, è stato il designer dell’eleganza e del lusso per il jet-set di tutto il mondo; nel suo atelier parigino, inaugurato solo cinque anni prima di quell’evento veneziano, ha vestito centinaia di principesse, dive, nobildonne e salottiere, e lo sfarzoso e bizzarro ballo in maschera si è celebrato, naturalmente, all’insegna del suo stile e del suo genio creativo.
Voluto dall’eccentrico milionario messicano Don Carlos de Beistegui y de Yturbe, a quel tempo proprietario di Palazzo Labia, il Bal Oriental ha visto sfilare un migliaio di personaggi fra i protagonisti dell’aristocrazia del tempo, in quella notte magica. Non a caso nei rotocalchi si parlava dei “mille di Palazzo Labia”.
Per presenziare al party, nobili, signori, madame, artisti e star di tutto il mondo, raggiunsero Venezia a bordo di aerei privati e yacht.
Il ballo fu anche il trampolino di lancio per due giovani stilisti che realizzarono per l’evento circa quaranta costumi e alcuni degli allestimenti scenografici: si trattava di Pierre Cardin e dell’italiana Nina Ricci.
Ogni abito era un capolavoro di altissima sartoria: broccati in stile settecentesco, sete, velluti, perle, pizzi, e poi costumi etnici, svettanti copricapi piumati, altissime parrucche ricciolute, turbanti risplendenti di pietre preziose e stravaganti maschere.
Così abbigliati gli ospiti volteggiavano nelle stanze di Palazzo Labia, nei saloni affrescati dal Tiepolo e negli appartamenti che furono residenza della fastosa nobiltà veneziana del Settecento.
Quella sera decine di gondole accompagnavano i blasonati ospiti a Palazzo, accolti da lacchè in livrea e da una miriade di fiaccole che esaltavano i riflessi delle sete e dei lustrini cuciti sugli sfarzosi costumi.
E così, uno dopo l’altro, approdavano a Villa Pisani aristocratici e milionari di tutto il mondo, ospiti illustri, stilisti come lo spagnolo Cristobal Balenciaga e l’italiana Elsa Schiaparelli e il fotografo e costumista Cecil Beaton.
Il padrone di casa Don Carlos de Beistegui y de Yturbe, noto negli ambienti mondani come il Conte di Montecristo, scelse di presentarsi abbigliato come il Re Sole, arrampicato su calzature alte quaranta centimetri. Il collezionista cileno Arturo Lopez Willshaw e sua moglie Patricia scelsero di vestirsi da imperatore e imperatrice della Cina, mentre Lady Diana Cooper e il Barone di Cabrol presenziarono nei panni di Cleopatra e Antonio.
Ogni costume, ispirato alla Venezia di fine Settecento e preparato con mesi di anticipo, era una vera opera d’arte, un motivo di vanto e un’occasione per brillare sopra tutti nella notte della laguna. Un evento al limite del reale, quasi sospeso nel tempo, e un allestimento faraonico che riportarono Venezia, per un’ultima volta, agli antichi fasti del suo secolo d’oro; questo è stato Le Bal Oriental. Qualcosa che difficilmente si ripeterà in futuro.








Per chi volesse ancora godere di immagini del Ballo, segnalo un breve filmato dell'epoca presente su YouTube, e soprattutto una sontuosa raccolta di 133 fotografie reperibili su Pinterest.

https://youtu.be/80U252U8FmM

https://www.pinterest.it/paperfaberge/beistegui-ball/

da Napoli, giovedì 9 luglio 2020 alle ore 20:12:36
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Giampaolo Marseglia

L'appartamento parigino


Nel 1932 la rivista Architecte pubblica l'articolo di Le Corbusier "Appartement avec terrasse, avenue des Champs-Elysées, à Paris" che descrive il progetto dell'appartamento realizzato al sesto e ultimo piano dell'hotêl particulier in avenue des Champs-Elysées a Parigi tra il 1929 e il 1932 per l'eccentrico conte Charles de Bestegui.

È il periodo degli années folles nella capitale francese e al fianco di una operante borghesia che ha ormai acquisito un ruolo centrale nel sistema economico e produttivo della nuova civiltà industrializzata, un'aristocrazia in decadenza cerca un proprio ruolo e una propria legittimazione sociale attraverso feste in maschera e eventi mondani prontamente registrate e divulgate nelle colonne della rivista new-yorkese Vogue.

Charles de Beistegui nasce a Parigi nel 1895 da una ricca famiglia di origini messicane. Eccentrico multimiliardario e arredatore di professione - dichiaratosi surrealista dallo stravagante quanto eccessivo eclettismo neoclassicista - Charles ereditata una consistente somma dopo la morte del padre nel 1925 e si immerge completamente negli eventi mondani della haute bohème parigina.

Nel 1929 chiede agli architetti Gabriel Guevrekian, André Lurçart e Le Corbuser con Pierre Jeanneret una proposta per un attico all'ultimo piano dell'hotêl particulier  di famiglia al numero 136 di avenue des Champs-Elysées. Lo scopo è quello di poter disporre di un appartamento che, secondo quanto racconta lo stesso Beistegui, «non è destinato a essere abitato, ma a servire da cornice per delle grandi feste». Un decor de fête quindi, una machine à amuser dove ospitare gli eventi e le serate della Café Society di quegli anni a Parigi e poter così legittimare e istituzionalizzare la propria posizione sociale al fianco di famiglie e figure dalla reputazione ormai consolidata come i Noailles, Faucigny-Lucinge, Pecci-Blunt e Beaumont.

La descrizione dell'appartamento, pubblicata dalla rivista Architecte (Le Corbusier 1932) esplicita, attraverso la costruzione del testo, il tema narrativo che si declina nell'opera.

«Un atto di devozione nei riguardi di Parigi» scrive Le Corbusier, una promenade architectural che «costituisce un paesaggio architettonico, tanto interno quanto esterno, creato apposta su differenti piani stabiliti a quattro livelli successivi». Specifiche prospectives émouvantes, viste precise su architettura e fatti urbani inquadrano i «luoghi sacri di Parigi»: «L'Arc de Triomphe, la Tour Eiffel, il Sacré-Coeur e infine la massa verde che si estende dagli Champs-Elysées passando per le Tuileries fino a Notre-Dame».

La prima terrazza «è uno spazio verde e di lastre di pietra, chiuso da pareti di bosso e di tasso [...] una pressione su un bottone elettrico e la palizzata di verde si eclissa lentamente». Anche la seconda esplanade è circoscritta da muri verdi di siepe, mentre nell'ultima terrazza, sulla sommità dell'immobile, pareti alte e bianche precisano i limiti di un pavimento in erba e racchiudono una porzione di cielo che diventa il soffitto di una vera e propria stanza a cielo aperto.

Elementi che appartengono al convenzionale vocabolario di uno spazio esterno assumono la forma di quelli riconducibili ad uno spazio interno precisando una forte ambiguità sul piano del carattere tra esterno e interno. Intenzione resa ancora più esplicita nell'ultima terrazza dalla presenza di un caminetto che, scrive Le Corbusier, «serve a fare il fuoco durante le serate fresche» e, precisa a seguire, «il padrone del luogo, seguendo l'impronta evidente di una mode ravissante, ha aggiunto da sé un riquadro di camino spagnolo in stile Luigi XV».














da Napoli, giovedì 9 luglio 2020 alle ore 20:31:42
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Giampaolo Marseglia

Le Chateau de Groussay:


Montfort l'Amaury: Un evento di massima mondanità, rapacità e nostalgia è cominciato oggi, e durerà sino al 6 giugno, nel candido castello di Groussay, a cinquanta chilometri da Parigi.

Accorrono da ogni parte, anche con aerei speciali, arredatori, antiquari, esperti di riviste d' interni, e soprattutto la folla di curiosi e adoratori di un mondo perduto, quello del bel vivere raffinato e evanescente, per vedere un' ultima volta un luogo leggendario nella storia dell' arredare, il solo capolavoro sopravvissuto di un uomo che passò il suo tempo a creare la scenografia adatta a rappresentare la sua vita, una vita prodiga, egoista, futile e grandiosa, la vita di Charles de Beistegui: nome mitico nella storia dei ricevimenti, dei balli, dello spreco, del capriccio e del gusto, venerato, imitato, temuto, disprezzato.

A quasi trent' anni dalla sua morte, il nipote Jean e i suoi sei figli, che fino ad oggi avevano conservato con amore e rispetto il luogo, il castello e i trenta ettari di giardino arredati di pagode, piramidi, tende tartare e templi dell' amore, se ne liberano, esausti di tanta opulenza ormai insensata, e hanno affidato la dispersione di ogni oggetto alle case d' aste Sotheby's e Poulain-Le Four.

I cinque giorni della messa all' incanto dei 2416 lotti dovrebbero rendere tra i 30 e i 50 miliardi. Il castello, finalmente svuotato dall' accumulo sfrenato di oggetti, autentici e preziosi, falsi e costosi, mobili, quadri, sculture, specchi, tendaggi, porcellane, arazzi, argenti, valigie, tappeti, batterie di pentole di rame, modellini architettonici, e anche, molto interessante, una Fiat 500 cabriolet disegnata da Ghia nel 1960 (carrozzeria dipinta finto legno, sedili di vimini, tendine di tela bianca con frange, motore posteriore, stima 600-900 mila lire), usata da Beistegui infermo per muoversi nel parco, sarà messo in vendita a partire da 80 miliardi.

Prezioso il catalogo in quattro volumi, che nel momento in cui l' asta demolisce e cancella per sempre quella che qualcuno ha definito "la Disneyland dell' alta società anni '50", assicura ai posteri eventualmente interessati, la testimonianza di un' ossessione creativa, di una follia narcisistica e di un gusto imperiale, tra il classico e il surrealista, che influenza ancora, con meno sregolatezza, un certo arredamento.

Charles de Beistegui, passaporto spagnolo impostogli dal re di Spagna Alfonso XIII, amico di famiglia, era nato nel 1895 a Parigi in uno splendido palazzo affacciato sulla piazza des Invalides, e doveva la sua ricchezza a miniere d' argento in Messico, da cui i nonni erano fuggiti nel 1867, dopo l' esecuzione dell' imperatore Massimiliano.

Aveva studiato a Eaton e a Cambridge, era totalmente cosmopolita: bello e affascinante da giovane, grasso e odioso dopo l' ictus che lo colpì attorno ai 60 anni, scapolo incallito (Orson Welles aveva detto di lui, "è esigente anche con le donne, come minimo le vuole duchesse"), riteneva del tutto ridicolo e inelegante lavorare.

Non lo fece un solo giorno della sua vita, preferendo stare molto a letto, in proustiana efficienza, a schizzare le idee di arredamento per il suo capolavoro, appunto il castello di Groussay, che poi il diligente "ritrattista di interni" russo Alexandre Serebriakoff, una specie di suo schiavo maltrattato, trasformava in bei disegni e l' amico architetto (non laureato, ex stilista di moda) cubano Emilio Terry, realizzava con entusiasta mancanza di attenzione alla staticità, essendo sia Beistegui che lui solo interessati all' effetto scenico, al piacere estetico, alla meraviglia.

Il castello, costruito nel 1815 dalla duchessa di Charost, senza particolare valore architettonico, fu acquistato nel 1939, alla vigilia della guerra, fastidioso e volgare evento che per tutta la sua durata non toccò il gentiluomo e fu da lui totalmente ignorata. Incominciò subito a innalzare la sua creazione, l' amabile, pignola, fastosa e eccessiva autobiografia del suo gusto, della sua ricchezza e del suo senso del bel vivere.

La bandiera di Spagna, nazione neutrale, la rendeva intoccabile, e mai un solo ufficiale tedesco d' occupazione osò metterci piede. Nasceva la biblioteca a cattedrale, dalle alte pareti ricoperte sino al soffitto di decine di quadri, vero o falso '600, tra cui lo sconcertante ritratto naive dei nani di Maria I, regina del Portogallo, datato 1787 e firmato José Conrado Roza, valutato all' asta tra i 600 e i 900 milioni), fregandosene il proprietario delle restrizioni a costruire.

Nascevano il Salone Giallo, il Salone Blu, la Sala da Bigliardo, la Galleria Goya, e contro ogni logica di guerra arrivavano per lui dall' Inghilterra, nella Francia occupata, indispensabili chinz disegnati a clematidi, copiati da un frammento proveniente da Versailles.

La casa si riempiva di divani e poltrone Luigi XVI firmati Delaporte, autentici (90-120 milioni) e di scrivanie dello stesso stile ma intagliate dal falegname Toulouse nel ' 40 (60-80 milioni), e intanto nella miseria di guerra, i restauratori si facevano pagare con polli ("belli e grassi") e altri rischiavano la fucilazione per portargli, in bicicletta da Parigi, lampade finto Napoleone III fatte col metallo che avrebbe dovuto essere consegnato ai tedeschi per le loro necessità belliche.

Nella prefazione al catalogo, Clive Aslet, direttore di "Country life", ricorda che alla fine della guerra "gente che aveva subito ogni privazione reagiva violentemente contro questo sibarita ben nutrito, che viveva circondato dalla bellezza, dalle comodità e dall' opulenza. Un maggiore americano ne suggerì la fucilazione".

Ma gli erano invece profondamente grati tutti quegli aristocratici o artisti ("Come nasce?" era la domanda che sempre faceva prima di ricevere qualche nuovo invitato), i visconti di Noailles, i Troubeskoi, i Polignac la principessa Murat, Louise de Vilmorin, Marcel Achard, George Auric, Francis Poulenc, Jean Cocteau, Cecil Beaton, che arrivavano in treno da Parigi a Montfort l' Amoury, dove li attendevano carrozze a cavalli (per i signori anche biciclette) che li portavano in un paradiso intoccato dalla guerra.

In "Un gentiluomo cosmopolita" Jean-Louis de Fucigny-Lucinge ricorda che "grazie a lui ci ritrovavamo tutti nel mondo di Madama Tartina: croissant caldi, burro, ottimi pranzi, fuoco nei camini, tutto ciò che la guerra ci aveva fatto dimenticare". Dei suoi meravigliosi giocattoli architettonici, dei suoi arredamenti strabilianti, del suo fanatico perfezionismo, dopo aver immaginato, sognato, realizzato, si stancava subito.

Aveva fatto epoca, ed è tuttora citato come massima stravaganza barocco-cubista, l'attico che si era fatto costruire nel 1929, sui tetti degli Champs Elysées da Le Corbusier, allora architetto di massima avanguardia. Restano solo le foto di questa fantasia surrealista ispirata a Dalì, tra cui la celebre stanza senza pareti, un terrazzo, però arredato in stile Luigi XV, con un tappeto di finta erba, troumeau, camino, poltrone, cristalli e mori veneziani.

Di quella casa di cui si stancò in meno di dieci anni ci sono all' asta, tra l' altro, il moro finto Meissen '700, datato 1925, stima 1- 2 milioni. In Italia questo signore scorbutico divenne famoso quando, il 3 settembre 1951, diede un fantasmagorico ballo in maschera a Venezia, dove aveva acquistato Palazzo Labia, affrescato da Gian Domenico Tiepolo, oggi sede Rai.

C' era il gran mondo, in costume ispirato a Longhi e Casanova, e lui, vestito da procuratore della repubblica veneziana, con immensa parrucca bianca e sospeso su trampoli, riceveva l' Aga Khan e Lady Churchill, Jacques Fath e Lady Cooper, il generale Marshall e il Marchese di Cuevas con il suo balletto.

La stampa ritenne oltraggiosa quell' esibizione di futilità e dovizia in un' Italia ancora stremata dalla guerra perduta. Ma assicurano che i veneziani si divertirono moltissimo ad assistere finalmente ad uno spettacolo fiabesco e ancora c' è chi ricorda come gli invitati, scesi nelle calli in piena notte, si mischiarono al popolo, e citano il ballo sfrenato della Begum Aga Khan con un bel gondoliere.

Dopo l' apoteosi del ballo, il palazzo non interessò più il volubile anfitrione, che lo vendette. In ricordo di quella notte che segnò non la ripresa della grande mondanità raffinata e aristocratica ma la sua fine definitiva, chi vuole può almeno acquistare all' asta una delle molte livree da lacchè, indossate dal personale, di cotone giallo ricamato a colori copiate da quelle dei palafrenieri al gran ballo della duchessa di Richmond alla vigilia di Waterloo: stime tra le 600 mila e il milione e mezzo.

NATALIA ASPESI, 2 giugno 1999.










da Napoli, giovedì 9 luglio 2020 alle ore 20:47:29
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Giancarlo Maresca

Illustre Cavaliere Marseglia,

grazie di tanta abbondanza e bellezza, per non dire sfarzo e raffinatezza. Effettivamente nelle due ultime immagini degli interni del castello di Groussay ci si ritrova nello studio del professor Higgins come descritto dal magico film My fair lady.

Cavallerescamente
Giancarlo Maresca
da Napoli, domenica 2 agosto 2020 alle ore 19:12:41
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