Camicia Hawaiiana

Camiceria

Maurizio Bardini

da Lucca, lunedì 6 luglio 2020 alle ore 08:54:54

Ma pensa, che sorpresa ! Era da parecchio tempo che non visitavo il sito delle Noveporte, dopo esserne stato assiduo fruitore negli anni che furono, e stamattina lo trovo perentoriamente animato e vivo ! Ho imparato tantissimo qui grazie ai Cavalieri ed ora che vedo che si è tutto rimesso in moto trattengo a stento un 'hurrà': Gran Maestro Maresca, Cavalieri tutti, mi siete mancati come un bicchiere di acqua gelata ! Gira e rigira nessuno in internet è capace di trattare questi argomenti come Voi. Spero proprio che sia iniziato il noveporte 2.0 . BRAVI !


Adesso la nota dolente. Mi perdonerete se lordo queste pagine così elevate per chiedere il parere sulla cosiddetta camicia hawaiiana. Sono settimane che ci rifletto e che mi vorrei lanciare in una prova. Per il mare di giorno, la spiaggia, secondo me ha un fascino forte. Una marea di film l'hanno portata protagonista e l'iconogrofia si spreca. A me affascina molto, per di più mi ricordo un mito di cui non perdevo una puntata : Magnum PI. Ferrari e belle donne. Chiedere di più ??


Ebbene, Gran Maestro, cosa ne pensa ? Un paio di esemplari per il mare o da rigettare nella spazzatura ? 











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INVIO

Giancarlo Maresca

Egregio  signor Bardini,

noi Cavalieri usiamo chiamare "popolo" una comunità, anche dispersa, che si riconosce come Nazione in quanto adotta la stessa lingua, cucina, fede e senso del sacro. La stessa parola, questa volta in senso privativo, definisce la quantità di persone che in un determinato campo non dispone delle competenze sufficienti a discernere il giusto dallo sbagliato e deve quindi far ricorso a strumenti appunto "popolari" come guide, decaloghi e pregiudizi di massa in genere. Questa seconda accezione è quindi relativa a uno scenario limitato, nel senso che non esiste un "popolo" come tale, ma solo come massa prona alle opinioni altrui sull'argomento in oggetto. Dall'altra parte stanno i connoisseurs, ovvero quanti sono in grado, partendo dai soli fatti e oggetti, di emettere sulla base delle loro esperienze e studi un parere motivato e pesante. Ciò  detto, il popolo (qui ovviamente riferito al campo dell’abbigliamento) è convinto che il classico si esprima attraverso abito, scarpa in cuoio, camicia e cravatta. In realtà il classico è una visione del mondo e non un codice, né tanto meno un armadio. I blue jeans degni di tal nome sono un capo classico, e lo stesso accade per alcuni modelli di sneakers e – qui volevo arrivare – di camicie hawaiane. Una giacca che non è utile a chi la indossa perché inabitabile o poco capace, e/o non risponde allo scopo originario di conferire dignità, ruolo e/o grazia alla figura maschile, non ha diritto a figurare in un guardaroba classico. Allo stesso modo le camicie hawaiane sono classiche se rispettano i criteri per e con i quali sono state create per la prima volta.



Alfred Shaheen (1922 - 2008)

Come sempre, ogni considerazione su un capo ci riporta alla sua nascita. Ciò che lei trova mancante negli altri spazi su temi simili non ha a che fare col talento, quanto col metodo. Se si parte dai fatti storici e li si analizza con coerenza speculativa, ogni conclusione risulta chiara e rispettabile, anche se non del tutto condivisa. Ciò che nasce da opinioni resta invece opinione, senza mai diventare disciplinata critica e coscienziosa ricerca. Tutto qui. La camicia hawaiana vide la luce  tra la fine degli anni 20 e l’inizio dei 30 a Honolulu, dove il  “Musa-Shiya the shirtmaker" di Honolului di Kōichirō Miyamoto mise in commercio delle camicie stampate a disegni giapponesi. Poco tempo il cinese Ellery Chun le iniziò a vendere su scala più vasta nel suo “Clothiers & dry goods” di Waikiki. Grazie al carattere seriale e professionale dell’offerta, Chun è considerato il padre della camicia hawaiana e come tale ha lasciato in eredità i diritti sul nome con cui è internazionalmente nota, “Aloha shirt”, registrato nel 1937.  Dopo la seconda guerra mondiale molti militari e civili impegnati nel conflitto tornarono dalle Hawaii con capi del genere, diffondendoli negli Stati Uniti. Ci pensò poi Elvis Presley, indossandola nella foto che ha già pubblicato, a farla conoscere al resto del mondo.



Una Shareen Tiare tapa identica a quella di Elvis.
Il sito in sovrimpressione la vende oggi a 999,00 $

Quella indossata da Elvis era stata disegnata da Alfred Shaheen, il vero profeta della Aloha shirt. Shaheen aprì la sua attività nel 1948 dopo aver condotto ricerche sui disegni di tutti gli arcipelaghi del sud Pacifico. Immettendoli nelle sue collezioni realizzò un prodotto dal sapore doppiamente originale, sia nel senso di unico che di autentico. Sia chiaro che i popoli nativi non hanno nessun ruolo nella nascita delle camice hawaiane e non usavano nulla del genere prima che quegli intraprendenti stranieri le inventassero.




Quando cominciarono ad adottarle preferirono quelle stampate sul rovescio, in modo che i colori fossero attenuati. Il contributo degli indigeni fu spirituale, non commerciale, in quanto la loro antica cultura disponeva di uno stile riconoscibile, noto come “tapa”. Si tratta di una tecnica con cui si stampa su una sorta di stuoia ricavata battendo la corteccia interna del gelso-carta fino a farla diventare cedevole e sottile, per poi compattarla in due strati sovrapposti con le fibre dell’uno disposte trasversalmente rispetto all’altro. I disegni, essendo impressi da singoli stampini fissati su un rullo, hanno dimensioni ridotte, ma dotati di quella fantasia visionaria e archetipica tipica dei popoli di culto sciamanico. Ora che abbiamo ricostruito l’opera dei pionieri, possiamo rispettosamente comprenderne la ricetta.




Una Aloha shirt è chiusa da asole e bottoni, che possono avere anche due soli buchi. L’allacciatura è intera, non a polo. Le maniche sono piuttosto corte, fermandosi ben prima del gomito. La linea dovrebbe essere praticamente quella di un grosso tubo privo di pinces e punto vita, anche se, dopo aver distrutto le button down, il corrosivo dilagare dello slim-fit ha profondamente intaccato anche quest’altro piccolo contributo americano all’abbigliamento maschile. Il colore conta, ma non è necessario che ce ne siano tanti.



Ciò che fa la differenza tra i pezzi banali e quelli d’elite è un’immaginazione tra l’onirico e il naif nella visione degli oggetti rappresentati. Il disegno deve essere ispirato alle tecniche tribali o alla natura e deve essere ad impressione diretta, giammai dare l’effetto della stampa a riserva che invece appartiene al batik. Poiché si porta per lo più fuori dai pantaloni, al fondo deve essere tagliata dritta e piuttosto corta, con una lunga sezione priva di bottoni. In genere i bottoni utili sono cinque, più uno eventuale al collo. Il colletto è privo di pistagna, ma non fa pezzo unico con la paramontura come nel modello alla Capri/Saint Tropez. Il materiale più comune è la tela di puro cotone, ma forse vengono ancora meglio in viscosa (o lyocell, o tencel), fibre ricavate dalla cellulosa fresche e drappeggianti, che rendono molto bene i colori più tenui. Favolose anche in seta mista a fibre artificiali, mentre è consigliabile evitare alte percentuali di fibre sintetiche. Ciò detto, passi una bella estate nelle sue Aloha shirt. Dove trovarle? L'e-commerce ne offre in quantità e varietà illimitate. Se poi cerca effetti vissuti, potrà trovare a prezzi un po’ superiori qualche Aloha d’epoca e anche dei pezzi con etichetta o tessuti di Shaheen, che però arrivano a prezzi più importanti e possono superare i 2.000 scudi per il disegno “Tiare tapa” su fondo rosso che Elvis indossava sulla copertina del disco Blue Hawaii. Naturalmente era fatta da Shaheen coi suoi tessuti, che comunque vendeva anche ad altri produttori. 

  1. Cavallerescamente
    Giancarlo Maresca
da Napoli, martedì 7 luglio 2020 alle ore 03:19:40
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INVIO

Maurizio Bardini

Ci sono risposte che si desiderano e sperano. Come quella che Lei, insigne Gran Maestro delle Noveporte, mi ha qui dato. Non mi ripeterò in complimenti per la strepitosa descrizione storica del capo e del vostro metodo di lavoro e vita. La mia ammirazione è già assoluta.

Non posso però non compiacermi per il suo parere sulla camicia hawaiiana. Non le so spiegare il perchè ma dall'anno passato esercita su di me un forte fascino. Con la sua benedizione e forte del retaggio storico che mi ha presentato non esiterò oltre nell'acquisto e nell'indossarla.

Oltre a tutto quanto già detto c'è una cosa che secondo me la rende irresistibile. E' uno dei pochissimi capi che identificano inequivocabilmente e perentoriamente la VACANZA, il MARE, l'ESTATE. Certo ci sono altri capi della bella stagione sul blu ma questi possono al limite essere portati anche in altre occasione, a volte anche in città. Lei no. La camcicia hawaiiana sa troppo di vacanza, di spiaggia, di vento, di cocktails e, perchè no,di bikini all'orizzonte. Non ha mezzi termini. Se la si indossa si è lì per divertirsi in estate. 

Grazie.

Cordiali saluti

M.Bardini

da Lucca, giovedì 9 luglio 2020 alle ore 09:01:29
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