L'inizio della fine

PARTE PRIMA

Affronteremo in questa Panoramica il periodo più critico ma anche generoso del cinema del ‘900. Un lasso temporale in cui il sistema classico della produzione, della creazione e della fruizione, viene confutato del tutto. Dalle ceneri di questa rivoluzione il cinema sembra rinascere più forte che mai. Forse questo è vero come industria, ma non come linguaggio classico. Perché per perdurare deve disconoscere sé stesso ed abbassarsi al livello delle nuove generazioni di spettatori. Questi anni costituiscono l’inizio della fine del cinema classico, che terminerà nel 1997, con ‘Titanic’.

Il periodo che stiamo per trattare gira intorno al 1968. Prima o poi questa data sarà ricordata come una di quelle più funeste, in cui l’umanità ha gettato al vento secoli di storia in nome di qualche non-ideale insensato, come quello dei capelli lunghi o l’amore libero, ossimoro dei più ridicoli. Lo scenario che abbiamo davanti è perlopiù il seguente.

1963 – La Fox chiude gran parte dei suoi set in seguito al disastroso esito di "Cleopatra" (1963, 243 minuti di durata), uno degli ultimi kolossal in salsa peplum (1). Con l’ampliamento dello schermo, sempre più anamorfico, ovvero schiacciato e lungo (si arriva sino ad un rapporto 2,55/1, quando prima lo standard è 1,33/1), che rende l’immagine più profonda nel campo e ricca di movimento, si cerca di combattere la TV e di catturare nuove fasce di pubblico. Ma non è il modo giusto per assecondare una rivoluzione sociale che dopo qualche anno esploderà fragorosa grazie ai movimenti di contestazione e alla tv, che porta nelle case programmi e modi di vita appositamente pensati per i più giovani.

In Francia, una decina di anni prima, avviene una cosa straordinaria: alcuni critici particolarmente battaglieri, autodefinitisi ‘giovani turchi’, fondano la Nouvelle Vague. Molti di essi, i più importanti, passano alla regia per sorprendere tutti con film dall’impatto fortemente e volutamente dirompente. Le innovazioni di registi del calibro di Godard, Truffaut, Chabrol rivoluzionano sia la parte estetica del film, come il montaggio, l’uso della musica, la linearità del racconto, che quella contenutistica. Il ‘cinema di papà’, quello classico e consolatorio, che era l’espressione di una società paludata, viene ridicolizzato con la solita foga cieca dei meno esperti.

Il fatto che i nuovi registi fossero critici cinematografici, formatisi su tutta la produzione a loro antecedente, permette delle riflessioni sul mezzo sino ad allora impensate. Ma anche in altre parti dell’Europa stava accadendo qualcosa di fenomenale. In Svezia svetta il genio di Bergman, uomo di teatro passato dietro la ‘lanterna magica’. Nelle sue opere argomenti esistenzialisti come la morte, la fede, la vita raggiungono vette tragiche altissime ("Il Settimo sigillo", "Sussurri e Grida", "Persona"). In Italia invece si afferma Fellini, che presto passa dal realismo de "Lo Sceicco bianco" e "I Vitelloni" ad uno stile onirico e personalissimo ed eccessivo.

Questi film arrivano negli USA ed aprono gli occhi a tanti spettatori, che accalcano piccoli cinema di New York e Los Angeles, le due capitali americane di quest’arte. Ma non solo. Alcuni giovani cineasti si innamorano di tutte queste novità e cercano di portarne qualcuna anche nel mercato più grande e influente del mondo.

1967 - Prendiamo il caso di ‘Bonnie & Clyde’ (o ‘Gangster Story’). Una sceneggiatura (scritta da Robert Benton e David Newman) che parla di due anti-eroi, rapinatori spietati, gira tra le mani dei più grandi produttori, che la rifiutano per i valori a loro detta a-morali che il film avrebbe veicolato. Avrebbe potuto dare, cioè, un’immagine falsata e romantica del mondo del crimine (cosa che avverrà dopo qualche anno anche con "Il Padrino"). Warren Beatty fa vedere la sceneggiatura a Truffaut, che la gira a Godard. I due francesi, impegnati in altri progetti, rifiutano ma danno il loro parere, condito da qualche consiglio tecnico. Beatty decide poi di coinvolgere Arthur Penn, con cui aveva lavorato nel dramma surreale "Mickey One" (1965).

Jack Warner (boss della Warner Brothers), decide di finanziare il film ma il suo appoggio non è mai completo. Quando vede i primi ‘giornalieri’ rimane esterrefatto. Solo quando Beatty (che all’epoca era una star in forte ascesa) gli dice che in realtà è un omaggio ai grandi gangster movie americani decide di proseguire con la lavorazione. A film terminato, lo fa uscire prima nei cinema di periferia, contrariamente alla norma. ‘Gangster Story’ ha un immediato successo. Per la prima volta il pubblico nuovo riempie le sale. Inizia così ad avere sempre più peso nelle decisioni strategiche delle case di produzione.



Il bellissimo e duro finale, connotato da un montaggio davvero innovativo, che si lega tutto sullo sguardo degli attori. Niente musica. Solo rumore e silenzio, senza musica extra-diegetica(colonna sonora).

1968 – Roger Corman e la sua "factory" risultano fondamentali per il cinema americano. Ingegnere di formazione, Corman diventa un regista di film a bassissimo costo. Famose le sue pellicole tratte dai racconti con Edgar Allan Poe, con Vincente Price protagonista (I vivi e i morti -1960, Il pozzo e il pendolo -1961, I racconti del terrore -1962, I maghi del terrore -1963, La Tomba di Ligeia e La maschera della morte rossa – 1964). Ama i film di genere artigianali e ben presto scopre che è più divertente produrli che dirigerli. La sua vivace intelligenza cinematografica lo porta a scoprire praticamente tutti i registi migliori della Hollywood del futuro. In alcuni dei suoi 400 lungometraggi prodotti, infatti, troviamo la firma di Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Ron Howard, Joe Dantee James Cameron, Jonathan Demme, Sylvester Stallone, Paul Bartel, Jack Nicholson, Peter Bogdanovich. Realizzare un film a basso costo impiega meno tempo e risorse di uno hollywoodiano. Inoltre, non ci sono produttori monolitici e manichei che bloccano ogni tipo di innovazione. Anzi, qui la novità viene appoggiata e sostenuta. Se fallisce una grande produzione (come abbiamo visto e vedremo poi) si rischia di far saltare tutto il sistema. Se un film di Corman non incassa, si volta pagina e si ricomincia.

I film di Corman trovano terreno fertile in quegli anni per alcuni motivi: i cinema si svuotano e nascono come funghi i drive-in, in cui i giovani vanno a consumare (in tutti i sensi) e vogliono film a forte impatto visivo e senza alcuna introspezione psicologica. I drive-in negli anni ’60 raggiungono negli USA quota 5.000. Questo è il contesto ideale per il cinema di genere.

Nel 1968 Corman produce ‘Bersagli’, in cui si narra di un killer che spara senza spiegazione apparente a persone sconosciute. Il film di Peter Bogdanovich è interessante per il suo essere cinema e metacinema insieme, messa in scena e reale. Un film che parla di film e di attori, intrecciato ad una vicenda drammatica e realistica (2). L’intellettualismo di Bogdanovich deriva dal suo essere critico prima di cineasta. Purtroppo il suo film, che fa registrare il pienone nelle sale, viene ritirato dopo la morte di Robert Kennedy, ucciso in un modo molto simile a quello rappresentato sullo schermo. "Bersagli" è il documento filmico più inquietante di quegli anni pervasi da una strisciante violenza che esplode improvvisa sul finire del decennio.


"Vado ad ammazzare qualche maiale", dice il protagonista dopo aver fatto scorta di munizioni. Il cortocircuito e anche il paradosso tra realtà e finzione sono evidenti quando il killer si spaventa guardando sullo schermo Boris Karloff in uno dei film di Corman.

1969- Bert Schneider è un giovane anarchico e ribelle espulso da alcune università e rifiutato dall’esercito americano per il suo comportamento eversivo. La sua fortuna è quella di essere il figlio del Presidente della Columbia Picture. Coi soldi di babbo fonda una band con cantati fotocopia dei Beatles, i Monkees. Su di loro realizza album, film e documentari tv (per la prima volta cinema e tv si intersecano intorno ad uno stesso soggetto). Il successo di questi strimpellatori è buono per un paio di anni. Così con alcuni amici (Jack Nicholson, Bob Rafelson, Dennis Hopper, Peter Fonda) dediti a droghe e alcol decide di occuparsi di cinema. Nel 1969 produce ‘Easy Rider’, un film di bassissima qualità artistica ma di enorme impatto sociale. Non spendiamo altre parole per questa pellicola che appare oggi datata e risibile, nonostante sia stato elogiato anche in Europa.



In questo stesso anno (1969) segnaliamo due eventi più importanti.
Per la prima volta una Major distribuisce un film vietato ai minori (che per di più vince l’Oscar). Temi come l’omosessualità e la prostituzione maschile non erano mai stati rappresentati. È "Un uomo da marciapiede", con Jon Voight e Dustin Hoffman, per la regia di John Schlesinger che proviene direttamente dal ‘free cinema’ inglese e ama le tematiche difficili (suo anche "Il Maratoneta", 1976, con Laurence Olivier e Dustin Hoffman). La Casa di produzione in questione è la United Artists, nata nel 1919 per volere di Charles Chaplin, Douglas Fairbanks, Mary Pickford e D. W. Griffith. La UA dà pieno potere ai registi, assecondandone il talento. Così vedono la luce le opere di Woody Allen, Paul Mazursky, Sylvester Stallone, Francis Ford Coppola, Bernardo Bertolucci… Questa scelta, appena 11 anni dopo, ne sancisce il fallimento.



Esce il film "Il mucchio selvaggio", di Sam Peckinpah. Si tratta di un western crepuscolare e moderno (Scorsese, Tarantino, John Woo e molti altri hanno preso moltissimo sia da lui che da Sergio Leone) sia per il tema (anti-eroi cattivi e assassini) che per la messa in scena (sangue a fiumi, montaggio serrato). Basti solo dire che nel film ci sono 3.643 inquadrature, un numero incredibile per l’epoca (solo Oliver Stone con "Ogni Maledetta Domenica", del 1999, farà meglio con 3.700!). Peckinpah è un tipo strano, alcolista e drogato, è poco affidabile ma con un genio incredibile per la messa in scena. Gli piace la violenza come fatto estetico e morale al contempo. "Il cane di paglia" (1971), disturbante e coinvolgente al contempo, ne è la prova lampante.



Un tranquillo studioso di matematica si trasferisce nel paese natale della moglie, dove vive una piccola comunità rurale. Immediatamente si palesa lo scontro tra civilizzazione e tribalità, legge e istinto, essere sociale e essere animale, che culmina con atti di grande violenza.

1972 - LaParamount Pictures nel 1996 viene acquistata da Charlie Bluhdorn e si dimostra lo Studio più lungimirante nell’andar incontro alle nuove istanze, tematiche e formali, del pubblico sessantottino (tanto da distribuire alcuni fil chiave come il già citato ‘Bersagli’). Tra il finire dei 60 e l’inizio del 70 la Paramount passa dal 9° al primo posto tra le Major. Fondamentali risultarono due uomini. Il primo è Charlie Bluhdorn, appunto, il secondo è Robert Evans.

Bluhdorn è un austriaco divenuto miliardario a 30 anni capo del colosso Gulf+Western. Il secondo è un ex attore con un incredibile talento nella produzione di film di successo. Messo da Bluhdorn a capo della produzione, riesce in pochi anni a far uscire molti capolavori del cinema classico dell’ultimo periodo. Un breve elenco dei lungometraggi voluti da Evans: "La strana coppia" (1968), "Romeo e Giulietta" (1968), "Rosemary's Baby" (1968), "Love Story" (1970), "Harold and Maude" (1972), "Serpico" (1973), ‘Il Grande Gatsby’ (1974), ‘La Conversazione’ (1974). Come vedete, a film dalla struttura classica, ha affiancato prodotti innovativi per l’epoca, che testimoniano il crescente disagio giovanile. Abbiamo quindi il talento dissacratore di Roman Polanski ("Rosemary's Baby"), la denuncia sociale con Al Pacino ("Serpico"), un amore al limite della perversione ("Harold and Maude"). La società con tutte le nuove istanze e la rivoluzione valoriale viene messa in scena. Ma il suo capolavoro, Evans, lo realizza con "Il Padrino" (1972).



Note:

1 – Da Wikipedia: Il Peplum (o Sword and sandal, cioè Spada e sandalo, una definizione più comune in lingua inglese) è un sottogenere cinematografico che comprende sia il film d’azione che fantastico, entrambi ambientati in contesti biblici o del periodo greco o romano, utilizzando elementi storici o mitologici. Il nome deriva dalla parola greca, mutuata dal latino, che indica una tunica femminile greca, il peplo, semplice da realizzare ed apprezzata dai reparti costume di questi film, molti tra questi a basso costo. È conosciuto anche come "il cinema dei forzuti" a causa degli atletici e muscolosi protagonisti.

2- "Targets", la trama: Padre di famiglia impazzito s'improvvisa cecchino killer, mentre è destinato ad incrociare, sul suo percorso, un attore di film horror ormai in declino (Boris Karloff). Interessante pellicola che tenta di esplorare due piani dell'orrore: quello della finzione (il cinema) e quello della realtà (la cronaca nera). Karloff conferisce al suo personaggio la giusta dose di saggezza e di fascino, al punto che questo è uno degli ultimi film interpretati dall'attore (spentosi due anni dopo), meritevole d'essere ricordato.

Archibald Alexander Leach



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