Barlume di classico





RIFLESSIONI SU UN FILM DI GENERE

Lo studio dei generi cinematografici costituisce uno dei temi preferiti dalla critica intesa come analisi, interpretazione e comprensione del fenomeno cinema. Rivedere ‘Gli Intoccabili’, di Brian De Palma, mi ha fornito recentemente uno spunto per arricchire il discorso laddove l’avevamo lasciato con la Panoramica precedente.



Uscito nelle sale del 1987, molti ricorderanno che il film narra le vicende romanzate che portarono all’arresto di Al Capone, famigerato gangster della Chicago degli anni ‘30. Astuto e molto ben protetto da vari strati di corruzione trasversale dalla politica alla polizia al mondo civile, Capone si arricchì grazie al Proibizionismo, vendendo illegalmente alcool con corollario di gioco d’azzardo. Solo un manipolo di uomini speciali, come da classica iconografia dell’eroe ‘senza macchia né paura’, ma con distintivo, riuscirà ad ingabbiarlo accusandolo di frode al fisco. In apparenza un reato secondario, eppure il solo per il quale si avevano prove sufficienti. Alla guida del gruppo di eroi vediamo un giovane Kevin Costner, nei panni dell’idealista e coraggioso Eliot Ness (agente federale dalle cui memorie è stata prima tratta una serie tv e poi questo film), e un maturo Sean Connery, che interpreta il poliziotto irlandese Jimmy Malone, mentore del giovane collega. Per Connery questo fu un ruolo che gli valse un Oscar e che ripeté quasi pedissequamente in Highlander. Al Capone fu interpretato da Robert De Niro, in una delle sue consuete prove di overacting, che però ci ha regalato la storica sentenza "tu non sei niente, solo chiacchiere e distintivo…".



‘Gli Intoccabili’ è ambientato negli anni ’30, periodo in cui il gangster viene mitizzato letterariamente e cinematograficamente, sia in chiave positiva che negativa. Se il gangster può redimersi e assurgere a simbolo dell’individuo che acquista coscienza riscattandosi dall’avidità della società e dalla ferocia dell’uomo contro i suoi simili, homo homini lupus, dall’altro diventa simbolo dell’ingordigia e dell’autodistruzione. Al pari del detective e dello sceriffo, diventa fondamentale per la narrazione hollywoodiana. Con il passare degli anni cinematografici è via via più strutturato, problematico e irrisolto, pieno di zone grigie in cui tutti noi possiamo riconoscerci. Agisce nella zona liminare tra legge e coscienza, tra mala e giustizia, incarnando didascalicamente l’insieme di norme che una società adotta per autoregolamentarsi e al contempo segnalandone i limiti. Queste figure, insomma, sono l’America, con la sua forza e le sue contraddizioni. Spesso il gangster assume sfaccettature scespiriane, da equilibrista tragico del bene/male, che avoca a sé tutto il crimine del mondo facendosene summa catartica: tenta di essere il peggiore scalando la piramide della malavita ma proprio in cima frana rovinosamente nel sangue (‘Scarface’); talvolta invece è un prigioniero nel labirintico destino che gli è capitato e nonostante gli sforzi soccombe al suo imprinting di fuorilegge (‘Nemico pubblico’ di Michael Mann e ‘Carlito’s way’ di De Palma). Cambiano i fattori ma il risultato finale è sempre drammatico: per quanto si adoperi, il gangster non può realizzare la propria personalissima visione dell’american dream.

Nel film di De Palma, tutto questo non lo vediamo. L’estrema caratterizzazione degli attori ricopre un ruolo fondamentale, restituendoci un clima d’epoca in cui il modo di pensare era diverso e non c’era spazio per i cosiddetti antieroi degli anni 70, alla Serpico o Padrino. Quindi tutto è volutamente, potremmo azzardare, monodimensionale: Ness e Malone sono granitici nel loro proposito (solo il primo si pone dei piccoli dubbi riguardo la strategia da seguire), e Capone è violento sino al parossismo (come Joe Pesci in ‘Quei bravi ragazzi’), incarna una malvagità fumettistica e come tale fortemente ridicola, come quando piange al refrain ‘ridi pagliaccio!’…

La scelta di De Palma di dare un taglio simile alla storia (riscritta per lo schermo dal commediografo David Mamet) si inquadra in un determinato periodo storico, quando ancora la narrazione recuperava la classicità pur rielaborandola attraverso una sensibilità diversa. Gli anni ‘80, per il cinema, sono quelli della post-modernità, un frullatore di segni e significanti, di moltiplicazioni di visioni s/oggettive. Il film ora diventa un insieme di punti di (s)vista, di citazioni, di rimandi culturali, che segnano l’apice dell’industria culturale che ancora adesso si sta ‘complicando la vita’ (due esempi di questa tendenza, da approfondire, sono la serie Pallottola Spuntata e i Simpson). Il cinema diventa in quegli anni una componente tra le altre del sistema mediatico e ludico mondiale. Una fonte non più primaria, originale, ma derivativa. Con ‘Gli Intoccabili’ siamo solo all’inizio di un processo di sfruttamento di un’opera in modo cannibalescamente multi-mediale: basti dire che questo film è tratto da una serie tv, è in preparazione il prequel, con l’ascesa di Al Capone (sempre dello stesso regista), e da esso sono stati lanciati vari video-games (3 media). Inoltre, inaugura la stagione delle citazioni classiche con la scena principale, il climax, che si svolge sulle scalinate della stazione di Chicago con una carrozzina che rimanda a quella de La corazzata Potëmkin di Ejzenštein verrà poi parodiata dalla Pallottola Spuntata 33 e 1/3). Nulla se confrontato all’uso cross-mediale (brutta parola che va tanto di moda oggi e che significa sfruttamento commerciale grazie alla declinazione di un testo in più mezzi), da Guerre Stellari ad Avatar.



In questo fotomontaggio le 4 più celebri scene con carrozzina della cinematografia mondiale. In senso orario, l'originale del film di Ejzenštejn, la citazione di De Palma, la parodia ne 'La Pallottola Spuntata 33 e 1/3' e la ricostruzione di Guidobaldo Maria Riccardelli, sedicente critico cinematografico ne 'Il secondo tragico Fantozzi', che il ragionier Ugo giustamente sequestrerà.

Dal punto di vista della messa in scena, ‘Gli Intoccabili’ è un campionario del decoupage classico. Con questo termine francese si indica il montaggio filmico degli anni d’oro di Hollywood che nonostante il frazionamento di inquadrature si restituiva all’occhio dello spettatore una visione continua e omogenea della scena. Tale risultato era possibile per l’attenta organizzazione degli elementi profilmici (tutto quello che concorre alla messa in scena, dal trucco alla scenografia) e per la sceneggiatura dettagliata.

In sintesi: noi percepiamo delle scene come uniche quando invece sono la risultante del montaggio di più inquadrature. Al contrario, quando abbiamo unità di ripresa, come ci permette il piano sequenza, aumenta il senso di artificiosità della messa in scena. ‘Nodo alla gola’ di Hitchcock è stato il primo lungometraggio girato con un unico piano sequenza. In verità sono più piani sequenza montati tra di loro con ingegnosi stratagemmi, come quello di sfumare un’inquadratura sulle spalle di un protagonista e riprendere dallo stesso punto. E aggiungiamo che tutto il film si svolge in due stanza di appartamento, quindi il set è abbastanza circoscritto. Orson Welles avrebbe potuto anticipare il regista inglese se avesse trovato i fondi per realizzare uno dei suoi tanti progetti saltati, visto che era molto interessato all’utilizzo di questa tecnica ed estetica al contempo (come testimonia il leggendario incipit de ‘L’infernale Quinlan’).





Due scene da 'The Rope (1948)', conosciuto da noi come 'Nodo alla Gola', il film girato totalmente da Alfred Hitchcock in piano sequenza. In realtà, gli 80 minuti di durata sono divisi in 8 piani sequenza diversi, legato tra loro con abili stratagemmi. All'epoca, non era possibile fare di più perché una bobina durava 10 minuti. Nella foto in basso, presa al minuto 2,33 del filmato linkato, il cambio rullo: la macchina fa un primissimo piano di una giacca e poi si riallontana.

Ne ‘Gli Intoccabili’ De Palma gira in maniera molto fluida sia in esterni che in interni. Spesso inizia le inquadratura con una gru che riprende dall’alto verso il basso. Questa scelta tecnica era molto adottata nell’epoca d’oro di Hollywood, perché è, alla stregua delle parole di un narratore, un accompagnare lo sguardo del pubblico nelle vicende che stanno per accadere sullo schermo. ‘Vieni, andiamo a vedere cosa succede in quest’altro mondo, in questa nuova realtà’, potrebbe esserne la dichiarazione implicita di questo patto di credibilità tra film e spettatore che entra così in faccende non sue, da estraneo e curioso. Grazie a questo e ad altri segni sintattici si abbatte la barriera tra mondo reale e mondo della finzione scenica.



Una delle scene iniziali de 'Gli Intoccabili', con la gru che scende dall'alto in basso. Si noti la struttura chiusa della scena, senza che si possa vedere il cielo. Dagli anni 30 la città assurge a protagonista dei film criminali, opprimente e schiacciante: un labirinto senza via d'uscita sia fisica che morale ('La foresta pietrificata' del 1936, 'La città nuda' del 1948, 'Violenza' del 1947). Questo frame è preso dal trailer a cui il link rimanda, in cui si può ammirare la summa della tecnica di De Palma.

Il fatto che, spesso all’inizio dei film, si scenda dall’alto in basso, ‘dalle nuvole alla terra’ sta a significare l’apparente estraneità di chi guarda ma dà anche un senso di tranquillità e serenità, che spesso viene contraddetto da vicende drammatiche. Il serial tv ‘Desperate Housewives’ inizia tutte le sue puntate con queste inquadrature, accompagnate dalla voce off di una delle vecchie protagoniste, morta alla prima puntata (analogia con un’altra modalità espressiva classica chiaramente ripresa da ‘Viale del Tramonto’). Che la tv, di qualità e soprattutto americana, rielabori tali procedimenti linguistici, dimenticati dal cinema a noi contemporaneo, sta a significare come siano tutt’ora funzionali ad una messa in scena credibile e godibile.

L’inquadratura dal basso in alto, al contrario, dà sensazioni minacciose, provoca spavento, ed è per questo adottata da molti film horror o anche dai noir, quando viene messa in scena una paura inconoscibile ma imminente.



Il pilot (primo episodio di una serie TV, che di solito dura il doppio di uno normale) presenta a livello stilistico già tutte quelle caratteristiche che abbiamo detto. Prima e dopo la sigla vediamo un dolly inquadrare dell'alto in basso ed insinuarsi nella vita dei personaggi. Movimenti di macchina da presa (dolly o gru e carrellate) sono accompagnati dalla voce interiore della protagonista e dal contrappunto musicale. Il risultato è una scena fluida e avvincente, sino al colpo di scena che squarcia il velo di ipocrisia della comunità e da cui si snoderanno le varie singole storie.



Questa scena, invece, è tratta da 'American Beauty', film del 1999. Dopo un veloce prologo, dal minuto 0,48 inizia una vera e propria discesa agli inferi nella vita sfortunata del protagonista un anno prima della sua morte. È lui stesso a raccontarcelo. Notate come la voce off del narratore morto, le riprese dall'alto, la location (una tranquilla periferia borghese americana) siano elementi del tutto simili al serial succitato, a riprova che ci sono stilemi espressivi oramai condivisi e irrinunciabili se si vuole trasmettere determinate sensazioni.

‘Gli intoccabili’ ha, in conclusione, le stimmate del cinema criminale classico e hollywoodiano con stilemi del genere western che smorzano il pathos del racconto, qui meno tragico di altri esperimenti simili. De Palma è uno dei grandi registi di genere contemporanei: il tocco autoriale si è sempre esercitato su canovacci riconoscibili che hanno spaziato dall’horror (‘Fantasma del Palcoscenico’) al thriller di matrice hitchcockiana (‘Complesso di colpa’), dal giallo (‘Blow up’) al gangster movie (‘Scarface’ e il grandissimo ‘Carlito’s way’). Con questo film il regista italoamericano sceglie di raccontare cosa accade dall’altra parte del crimine. Se in ‘Scarface’ racconta la nascita e la morte di Tony Montana nella Miami degli anni ’80 (guarda caso anche lo scenario di un altro caposaldo del filone più recente, ‘Miami Vice’), qui si narra la storia dalla parte della legge. Non si mitizza il ganster ma anzi la sua nemesi legale, come si fa nel grande western. Solo che qui invece dei campi lunghi garantiti dagli spazi senza confini della prateria la vicenda si snocciola tra angoli delle strade e appartamenti, tra uffici e grattacieli che impediscono di vedere il cielo. La frase ‘solo chiacchiere e distintivo’ rimanda infatti alla figura dello sceriffo tutore della legge nel cosiddetto far west.

Archibald Alexander Leach



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