PREMESSA L’argomento della tavola è ampio e complesso, per cui ritengo opportuno suddividerlo in paragrafi anche per una più agevole consultazione. Ho già scritto alcune cose sull’argomento nel capitolo sull’anfitrione (vedi), ma, anche sollecitato da interventi di miei visitatori, vorrei affrontare l’argomento più compiutamente. Sia che pranzi da solo a casa sua, sia che partecipi ad una cena, un gentiluomo si comporta sempre allo stesso modo, per cui anche per se solo si fa imbandire (o s’imbandisce) la tavola con tovaglia, tovagliolo, piatti, bicchieri, posate adeguati rifuggendo dal tovagliolo di carta e dall’ignobile plastica. L’alibi della praticità dell’usa-e-getta non regge davanti al rispetto che si deve a se stessi. LA TAVOLA In qualunque manuale di bon ton o in qualunque rivista femminile si trovano adeguate descrizioni sul modo di imbandire una tavola. Insisto solo su alcuni punti essenziali, quali i bicchieri: uno per ogni tipo di vino, oltre quello per l’acqua. Le posate saranno adeguate al menu. A destra, partendo da destra, il cucchiaio (solo se sono previsti brodi o altri piatti liquidi) ed i coltelli in ordine per le varie entrées. A sinistra, cominciando da sinistra, le forchette, pure in ordine per le varie portate. Al centro, davanti al piatto la posata per la frutta. Quella per il dessert, invece sarà ai lati del piatto. Personalmente amo i sottopiatti, molto più decorativi dei piatti normali su cui appoggiare il piatto in arrivo dalla cucina. Indispensabile, poi, il piattino per il pane. Tranne che per circostanze specialissime abolisco il finger-bowl: l’unico cibo che si porta alla bocca con le mani è il pane e, quindi, non v’è necessità di un’abluzione pubblica per le proprie dita. Si può fare eccezione ad esempio per ostriche e frutti di mare in conchiglia, ma un gentiluomo dovrebbe avere sempre un eccellente controllo del pollice e dell’indice con il quale tiene ferma la valva da cui sarà estirpato, con la forchetta, il prelibato bocconcino. Mai, dico mai, portare la valva alla bocca. Per limoni da spremere su determinati piatti (fritture, ostriche etc.) basta solo il tovagliolo per l’improvvida gocciolina. STARE A TAVOLA Un gentiluomo a tavola osserva delle regole fisse, codificate da secoli ed inviolabili. Innanzitutto la postura. La sedia sarà accostata alla tavola quel tanto che consente di poggiare sulle proprie cosce il tovagliolo e prenderlo disinvoltamente. Lo schienale sarà perfettamente parallelo al lato della tavola. Il tovagliolo riposerà sempre sulle cosce, anche se si è in presenza di piatti che potrebbero macchiare giacca o cravatta. Meglio una macchiolina su un capolavoro di Maurizio Marinella che un tovagliolo infilato nel collo della camicia, che fa tanto contadino all’osteria durante un’abbuffata domenicale. Il tovagliolo serve soltanto per le labbra e per le mani. Mai usarlo – come ho visto fare al primo cittadino di una città – per detergersi il sudore o, peggio, per soffiarsi il naso. Mai i gomiti sulla tavola mentre si mangia. E molto scorretta l’abitudine di mangiare tenendo tra sé ed il proprio piatto l’avambraccio non impegnato per portare il cibo alla bocca. A parte il pericolo di macchiare la manica con la solita gocciolina di salsa, si da l’impressione di non reggersi in piedi. I gomiti sono consentiti solo tra un piatto e l’altro. Mai chini a tavola. Qualunque sia la pietanza è il cibo che va portato alla bocca e non viceversa. Soltanto gli animali mettono la testa nel truogolo. Essenziale un uso appropriato delle posate, piatto per piatto. Se si hanno dubbi basterà osservare come si comportano gli altri commensali e quali posate adoperare. Due le regole essenziali. Mai portare il coltello alla bocca, mai usare il cucchiaio per nulla che non sia liquido o quantomeno mollemente cremoso. Non è fine neanche arrotolare spaghetti o altra pasta lunga aiutandosi con il cucchiaio. Soprattutto se ha cucinato il padrone (o la padrona di casa) e v’è una pietanza che a voi non piace, è il caso di desistere da sdegnosi gesti del tipo: «detesto l’aglio», oppure «non sopporto il basilico». Sareste autorizzati a tanto solo nel caso in cui foste musulmani e vi venisse servito del maiale. Non tutti sono espertissimi nello sbucciare la frutta e si può ricorrere a qualche éscamotage se si vogliono evitare brutte figure. Se si è in un ristorante si potrà chiedere una fetta d’ananas (servita di regola già tagliata a pezzetti), oppure una macedonia o una composta di frutta. Se si è ospiti di amici basterà rinunciare con una qualunque scusa. CONVERSAZIONE ED ATTEGGIAMENTI Tralascio l’ovvio. Il cellulare (spento o reso inoffensivo) riposerà in fondo ad una tasca. Ovunque ci si trovi la conversazione sarà leggera e stuzzicante, avendo il buon gusto di non porre in imbarazzo nessuno. Se, ad esempio, la scollatura della vostra dirimpettaia calamitasse la vostra attenzione, distogliete gli occhi. Uno sguardo insistente non farebbe altro che dar fastidio alla proprietaria del decolletè e susciterebbe seccate reazioni della vostra accompagnatrice e dell’accompagnatore dell’altra dama, per non dire dei padroni di casa che potrebbero depennarvi per sempre dalla lista dei loro ospiti. I toni della conversazione siano pacati. In genere una voce forte sostiene argomenti deboli, ma a tavola una voce forte è, prima di tutto, gradevolissima sintomo di cattiva educazione ed è incredibilmente fastidiosa per gli altri. Se volete comunicare qualcosa a tutti (proponendo un brindisi, ad esempio), chiedete l’attenzione ed evitate di far tintinnare coltello e bicchiere. A fine cena (o in presenza di una pietanza straordinariamente buona o nuova) si faranno adeguati complimenti all’anfitrione, così come, al congedo, ci si complimenterà per la splendida riuscita della serata, commentando questo o quel piatto e la scelta dei vini. Se si è stati ospiti in un ristorante, oppure ci si è recati in un ristorante su indicazione di uno dei nostri amici, eventuali defaillance del servizio potranno essere ricordate per scelte future, ma non andranno mai – dico mai – sottolineate con l’organizzatore della serata. Lo si potrà fare in separata sede. Eventuali scuse per un cattivo cibo o un pessimo servizio saranno respinte con una frase leggera di circostanza del tipo "Quel che conta è l’essere stati bene insieme" il che è spesso l’unica motivazione per una cena in casa o al ristorante. Il miglior ingrediente rimane sempre la compagnia: occhio alle scelte!