Compendio



DEL SENTIRE D’UN GENTILUOMO



d) Delle belle maniere e delle raffinatezze

Raffinare è un verbo che contiene un duplice ordine di significati. Da un lato è levigatura di ogni scabrosità superficiale, dall’altro è selezione profonda dei principi nobili attraverso processi che nella fisica hanno molti nomi e nel comportamento umano solo due, che poi sono la stessa cosa: scelta e rinuncia. Il gusto non è che estrazione e trasmissione del piacere dalla bellezza. Il piacere è un bene raro e prezioso, ma è contenuto nella bellezza e questa nel cosmo, il giardino di Dio, è la cosa più comune in assoluto. Come se non bastasse, si aggiunge a quella naturale la bellezza artificiale, creata in gran copia dall’uomo. Isolare il piacere da questa massa infinita rappresenta appunto una raffinazione, un’Opera alchemica governata da principi che – a differenza di quelli scientifici – sono veri in quanto veri e non in quanto spiegabili o comprensibili. Il gentiluomo ideale agisce, reagisce e giudica se stesso, anche se non necessariamente gli altri, in termini di belle maniere. La vigilanza e l’esercizio della sensibilità lo conducono verso la raffinatezza nella misura in cui perfezionano le sue capacità di svolgere quel processo che abbiamo visto.



Taluni manuali consigliano di rifuggire la raffinatezza, confondendola con l’affettazione o l’esagerazione. In simili testi si suggerisce la semplicità nel vivere, come traguardo ultimo dell’eleganza. Dato in questo modo, il consiglio è simile a quello di un allenatore che spieghi ai suoi atleti che per vincere l’oro di Olimpia dovranno "semplicemente" correre più velocemente degli altri. E’ vero, ma inutile da sapere senza apprendere e percorrere in prima persona, con la dovuta fatica e lentezza, tutto il percorso che può condurre a quella prestazione. Poiché vi sono molte cime nella cordigliera delle raffinatezze, non è escluso che alcuni giungano a quella dell’essenzialità assoluta, meglio conosciuta in tutte le religioni e culture come santità, ma in genere l’essenzialità è relativa. C’è chi ritiene essenziale lo champagne, chi la birra, chi ancora l’acqua di fonte e così via. Se non si parte dalla certezza radicata ed efficace che gli uomini sono veramente ed infinitamente diversi tra loro, ogni parola che non sia nelle materie cosiddette scientifiche è una parola di troppo. E’ ovvio che i consigli di cui sopra si rivolgono ai così detti «nouveau riches». Verosimilmente gli autori dei manuali sono preoccupati che costoro, non avendo il sostrato culturale per utilizzare in modo univoco e cioè con stile le sostanze di cui dispongono, possano perseguire degli eccessi che li facciano approdare sulla sponda del ridicolo senza ricavarne un significativo benessere. Tali trattati, in un’epoca di consumismo, hanno ragione. Sono destinati ad un numero sempre maggiore di persone e perfettamente inutili, quanto infinitamente inutile è avere ragione.



Questi nostri scritti non pretendono di dire il giusto, ma il gusto. Non si rivolgono ai poveri di spirito, ma ad Uomini che abbiano già fatto un percorso verso l’affinamento di quest’ultimo, verso il bello, o che, comunque, abbiano la determinata e seria intenzione di affrontarlo. Pertanto si rifugge, qui, da un certo tipo di semplicità; qui si sfida la montagna, si sale, non si passeggia per monotone pianure. La nostra ricerca tende alle raffinatezze, fors’anche alle leziosità, per conquistarle, farle proprie e dominarle, non per esserne dominati. "Habere non Haberi". Qui si discetta di un Uomo in posizione centrale rispetto all’universo, di un Uomo che abbia consapevolezza di se e che non abbia paura di apparire. Rispettando la misura ed il sacro principio del neminem ledere, il vero signore si concederà anche qualche eccesso e qualche stravaganza. Ma si rifletta su questo: li concede a se se stesso o agli altri? L’umanità ha bisogno di queste cose molto più di quanto ne abbia bisogno la somma dei suoi componenti. Senza un certo "carico" estetico non avremmo ereditato castelli e cattedrali, liturgie sacre e profane, monumenti e simboli, costumi, tradizioni e via dicendo, fino alla gastronomia. Il minimalismo, asessuato e gelido, contiene la bellezza come un sepolcro, non la celebra come un altare. Togliere è una gran cosa, evitare è disumano. La precauzione è un’assicurazione sulla vita, la prevenzione un anticipo sulla morte.



Essere o apparire? L’Uomo raffinato appare in quanto è. Si dice che il portamento di un uomo ed il suo modo di vestire comunichino emozioni e stati d’animo attraverso un loro linguaggio. L’uomo raffinato sa che ciò è verissimo, eppure sembra che non ne tenga gran conto. Conosce questa lingua, ma non la compita sillaba per sillaba, parola per parola, come fanno coloro che non la dominano e ne sono anzi dominati. Poiché egli ha appreso ad essere, sa che essendo se stesso non potrà comunicare altro che questo. Lo fa eseguendo la propria musica con tutta l’orchestra che ha a disposizione. I violini saranno nella cravatta e i violoncelli nel servizio di porcellana; i fiati nel giardino e le percussioni nella quadreria. Chi può dirlo, senza aver visto? Poiché a Verdi preferisce Wagner, si tratterà di una musica non proprio popolare. Il volgo, non comprendendoli, liquiderà ogni accordo, ogni dettaglio, con qualche motto di scherno. I buoni ascoltatori ne colgono la melodia, forse la stessa che costituisce il nocciolo dell’universo. Ogni uomo l’ha in se. Il gentiluomo la esprime nei modi e nella sensibilità, il raffinato si cimenta addirittura nel riprodurla. Tutto ciò da un lato significa che la raffinatezza non è necessaria conseguenza né della buona educazione, né della sua assenza.



Il gentiluomo è un uomo raffinato che non ha alcuna paura di esserlo. Ama la ricerca e, quando ha trovato ciò che cercava, ne gode pienamente. Poiché sa trarre da un oggetto un piacere sincero e durevole, egli non lo ostenta, lo possiede! Non molti anni addietro si è imposto una sorta di gusto per la privazione detto "minimalismo", che consiste nel limitare all’essenziale ogni cosa della quale l’uomo si circonda. Il suo credo consiste nell’eliminazione degli oggetti e delle forme non primarie. Sicuramente tale modo di vivere ha origine nella paura di osare. La paura alberga nell’uomo, non nel Vir. Mi piace, qui, anche se sicuramente superfluo, ricordare il motto dannunziano "Memento audere semper". Il gentiluomo accosta colori, forme ed oggetti, i più disparati tra loro, in un "unicum" armonico. E’ da questi accostamenti che nascono le possenti ed immortali note del preludio dell’"Oro del Reno". Queste raffinatezze interiori o personali hanno la loro manifestazione esteriore o sociale nelle cosiddette belle maniere, sicché il cerchio si chiude. Nel senso che qui ci interessa, le maniere sono il "modo di comportarsi nei rapporti con gli altri uomini soprattutto in quel che riguarda le forme esteriori, la finezza o meno del tratto". Il gentiluomo ha riguardi per tutti. La consapevolezza di sé non lo porta, per altro, ad essere indifferente verso i più deboli, i bisognosi. Egli è tollerante e, se pratica l’ironia anche con se stesso, rifugge dal sarcasmo nei confronti altrui. Un modo di porgere derisorio denota insicurezza. Chi è certo delle proprie ragioni non sbeffeggia chi non riesca a penetrare una verità che, per quanto tale, è pur sempre personale. Suonano di monito le parole del marchese Massimo Tapparelli d’Azeglio "Persino al povero selvaggio che con un rito puerile crede procurarsi nella vita futura sorte migliore che non ebbe nella presente, io mi guarderei di cancellare dal cuore questa sua fede, se non fossi sicuro di potercene sostituire un’altra di conforto maggiore. Qual diritto ho io di rendere più miserabile che non volle farlo Iddio uno spirito immortale?".



La stessa attenzione che pone nel circondarsi di cose ed abitudini belle, il gentiluomo la pone nelle relazioni con gli altri. E’ un perfetto cavaliere con le Dame; non è mai familiare con gli inferiori, perché da queste confidenze nascono le peggiori offese; indossa l’abbigliamento appropriato in ogni occasione. E’ schivo nella vittoria e dignitoso nella sconfitta. Un vecchio adagio recitava "A tavola ed a tavolino si vedono il signore ed il signorino". Di questo detto, interessiamoci per ora dell’ultima parte, lì dove si fa riferimento al gioco in società. Il gentiluomo, ove vinca, rende onore allo sconfitto. Anche laddove perda, non appesantisce l’atmosfera lagnandosi, né tanto meno corre il rischio di depauperare il vincitore facendolo sentire in colpa, qualora la posta fosse significativa. Mai farà cenno alla cattiva sorte, né si altererà qualora il gioco non sia stato condotto secondo i principi della piena correttezza. La punizione che l’uomo di gusto infligge è la sua assenza, il rifiuto ad ulteriori inviti. Se in queste pagine c’è un imperativo categorico, è questo.



L’uomo elegante non è mai vano. Vi sono persone che riempiono i loro conversari di parole straniere, magari pronunziate in modo improprio, di aforismi, citazioni di autori che hanno una loro notorietà solo in ristrette cerchie e altri effetti speciali come sfoggio di una fatua vanità. La bella compagnia o la bella tavola non sono arene di combattimento, cioè luoghi deputati alla selezione dei più forti, ma dei più gradevoli. E la capacità di ascoltare è la più rara ed apprezzata. Nei salotti, prima o poi capta di intrattenersi a riferire fatti e commentarne i protagonisti. Il gentiluomo sarà cauto nei commenti e discreto nelle confidenze che gli vengono riferite. Saprà serbare qualunque informazione gli sia affidata, sia che ne venga a conoscenza in un momento di sfogo da parte della persona che gliela trasmette, sia che ne abbia notizia affinché ne diventi depositario. Un uomo di "belle maniere" non indugerà mai nel pettegolezzo o ancor di più nel tradimento d’una notizia riservata lasciatagli in custodia. Vi sono alcuni che, appreso un accadimento, positivo o negativo che sia, s’infiammano nel commentarlo, alimentando così animose discussioni fra i presenti o, ancor più, accendendo gli animi nel parteggiare ora per uno ora per l’altro. Il gentiluomo, viceversa, è moderato nelle valutazioni. Le sue osservazioni saranno sempre pacate anche quando ciò che gli viene riferito contiene notizie obbrobriose od, al contrario, assolutamente meritorie. Egli tenterà, innanzitutto, di verificare la veridicità di quel che apprende e, ove i fatti riferitigli lo convincessero, cercherà, se essi sono infami, di evitare qualsiasi commento, nella consapevolezza che il silenzio può essere, in taluni casi, la peggiore e la più sdegnosa delle censure. Qualora sia coinvolto personalmente attenderà il momento opportuno per sparare un solo colpo, mortale. Nel caso opposto, in cui le notizie siano lodevoli, troverà splendide parole per l’accaduto e gli artefici, particolarmente se presenti.

Il gentiluomo è equilibrato nei ragionamenti. Se fosse coinvolto quale parte in una discussione cercherà di rimanere estraneo alla stessa e, solo se vi fosse sicura insistenza da parte dei presenti a che vi prendesse parte, s’impegnerà ad essere quanto più obiettivo possibile. Egli sa che la realtà è una, ma viene vista da varie angolature. La maggioranza delle persone crede che ciò che vede sia ciò che è e non una parte, delimitata dal proprio angolo visuale. Non cercano di capire la verità, ma d’imporre il proprio punto di vista sugli altri, in taluni casi anche alzando il tono della voce o usando modi arroganti. La persona adusa alle "belle maniere" lascerà che l’oratore di turno esprima con vivace ostinazione quel che egli crede sia la verità assoluta e, successivamente, rimarcando, all’inizio della propria risposta, l’eventuale giustezza delle argomentazioni dell’interlocutore, esprimerà le proprie idee riguardo a ciò ch’è oggetto della conversazione, sempre in modo prudente, pacato ed accorto, anche quando fosse assolutamente certo delle proprie convinzioni. Al termine non mancherà di sottolineare, sempre con garbo, come qualsiasi accadimento possa essere valutato da più punti di vista e, come solo dall’unione di questi si possa avere una visione globale dello stesso. Pertanto non solo vano è il tentativo di chi voglia spacciare per verità assoluta quel ch’è il risultato di una introspezione, sia pur approfondita, ma personale e, come tale, parziale, ma, di più, se tale tentativo fosse fatto con arroganza si potrebbe correre il rischio di degenerare nella maleducazione.

L’uomo dabbene si asterrà dall’essere frettoloso o, ancor peggio, superficiale nell’elargire pareri o, addirittura, ammaestramenti. Se venisse richiesto d’un suggerimento s’offrirà a dare il proprio punto di vista solo nel caso avesse un’oggettiva e comprovata esperienza nella particolare questione. La saggezza e l’onestà intellettuale gli saranno di presidio. E’ caratteristica dell’uomo rozzo il voler dare risposte e consigli in ogni occasione, per apparire sempre all’altezza della situazione. In taluni casi il sapere di non sapere è di per sé simbolo di saggezza, oltre che d’integrità spirituale e signorilità.

L’uomo elegante, ove s’avvedesse che il suo interlocutore sia incappato in un errore grave ed obiettivo potrà farglielo notare solo se sia in cordiale confidenza con colui. Non siamo padri e madri di tutto il mondo. Il far notare un fallo ad un estraneo, a meno che egli non chieda espressamente un parere, è consentito solo nel caso in cui a costui possa derivarne un pericolo per la sua integrità. Nella circostanza in cui ci si trovi nella condizione di dover esprimere il proprio dissenso s’userà assoluto tatto nel far ciò. Dovendosi adoprare a tale incombenza non sarà disdicevole premettere al disappunto il far notare che anche voi, se vi foste trovati in tali condizioni, probabilmente avreste fatto lo stesso errore, se non peggiore, e solo perché, per fortuito destino, non ve ne siete trovati è che potete indicare un diverso punto di vista che potrà giovare, se applicato alla situazione in cui quegli si trova.



Il gentiluomo non porta l’elmo e la spada come ornamento, ma sa usarli meglio del villano in quanto lo fa con totale controllo dei mezzi e delle strategie. Indosserà le vesti da battaglia ed impugnerà le armi solo quando è in guerra, cioè quando ogni tentativo di pace o armistizio sia risultato vano o inaccettabile. Dio vi salvi allora dalla sua lingua, perché essa sa attendere anche anni l’occasione per colpire da vicino e nel modo più devastante. Disposto a cedere, sorvolare, giustificare e comprendere, non accetterà compromessi sui principi fondamentali e sul primo tra essi: l’onore. Se non si tratta di questo, preferirà la concordia. Sa troppo bene che, quando sia costretto a combattere, è sempre e solo sino alle estreme conseguenze.

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