Compendio



DEL SENTIRE D’UN GENTILUOMO



e) Del rifuggire la mollezza e l’affettazione
Il termine mollezza immediatamente ci dischiude l’immagine di chi, giunto magari con pieno merito alla tranquillità economica, trascorra una vita di agi priva di stimoli intellettuali, senza dare agli altri o pretendere da se stesso, incedendo così lungo la strada dei vizi. Non solo! Un’altra figura ci appare, fors’ancor meno edificante: quella di colui che, pur non godendo di un’adeguata floridezza, adotta uno stile di vita debosciato scelto tra cliché come "annoiato gentiluomo", "enfant terribile", "bohemienne", "artista incompreso", "maestro spirituale" e via continuando tra questa galleria delle cere di vittime parassite.

Abbiamo già definito l’educazione come l’attività di educere, cioè portare fuori, la virtù. Nel paragrafo sulla "Buona educazione maschile", si è delineato chiaramente il gentiluomo come individuo il cui comportamento è presidiato dall’esercizio della virtù. Forse questo termine generico, in un’epoca in cui tutte le parole che contengono doveri vengono usate di rado, rende difficile immaginarne il reale significato. In passato si è ecceduto nel senso contrario, scrivendone sin troppo. Non c’è molto da dire sulle virtù, in quanto esse vanno lette nella coscienza e non nei libri. Sono tre le più importanti, che ispirano e contengono tutte le altre, La prima, la più grande di tutte, occupa da sola il vertice perché tutte le altre in qualche modo tendono ad essa. E’ la Carità. La seconda è l’Onestà, la terza la Pazienza. Ogni pensiero, ogni atto, è virtuoso se contiene un pizzico di questi principi e non ne contrasta nessuno.



Il gentiluomo è colui che ha fatta propria la virtù, tirandola fuori dal profondo dove chiunque può arrivare e pochi ritornano. Facendo riferimento ai gradi della cavalleria, paggio, scudiero e cavaliere, il gentiluomo è il cavaliere. Il cammino, come tutti i percorsi iniziatici, non è agevole, comporta tempo, rinunce e sacrifici. La conoscenza è una via interminabile, non una stazione dove ci si possa sentire giunti a destinazione. E’ movimento, evoluzione, sorpresa, capacità di stupirsi. Una volta ferma, non rappresenta un capitale della cui rendita si possa vivere, ma una sicurezza che rapidamente si corrompe. Lo stesso accade per la virtù, che non è che una forma spirituale di conoscenza. Se si interrompe la sua ricerca, sia pur inconsapevolmente ci si trova a camminare all’indietro. Il baratro della deboscia si apre più facilmente quando si sia in alto che quando ci s’inerpichi per salire. E’ solo il costante esercizio della virtù che permetterà al gentiluomo di restar tale. I maggiori imperi della terra hanno trovato il loro epilogo quando, abbandonando il proprio rigore morale, la classe dirigente ha indugiato negli ozi e nella mollezza. V’è un tempo per la guerra ed uno per la pace. La spada può essere riposta, ma senza dimenticare il luogo in cui essa è conservata, che deve essere immediatamente raggiungibile. Il gentiluomo può godere del bere, del fumare, della cura di interessi dilettevoli e dei piaceri dell’amore, ma non deve dimenticare che il proprio percorso non è scandito solo da quelli. I metronomi che cadenzano il tempo che gli è concesso sono quelli dell’impegno, della dignità e dell’onore. Lo spazio c’è per il piacere, non per la mollezza.



Quel che abbiamo sinora scritto vale per la prima delle due figure che ci sono apparse nelle immagini rappresentate all’inizio di questo capitolo. L’uomo che, dopo aver meritato coi fatti, abbandona il fare. Vi è anche colui che, ancor prima di raggiungere una qualche vetta anche modesta, assume quegli atteggiamenti caratteristici sopra delineati. Il termine che definisce tali comportamenti è affettazione. Vediamo qual è il significato attuale di tale lemma: "Abuso di ornamenti studiati, artifizio soverchio di squisitezza nelle parole e nei modi, mediante il quale uno si sforza di farsi attribuire certi pregi che gli mancano". Ci conforta nella nostra valutazione Oscar Wilde che ci rammenta che l’affettazione è dell’ignorante. Essa è, quindi, caratteristica di chi non ha intrapreso o completato il cammino. Nella vita di tutti i giorni s’incontrano sempre più spesso persone che, riconoscendo falsi modelli di vita elegante, scopiazzano proprio chi ha abbandonato la vetta ed è precipitato nella voragine della mollezza. Costoro sono quelli che, per ignoranza o per pigrizia, credono di essere arrivati da qualche parte per meriti non conseguiti coi fatti, ma per una sorta di diritto acquisito dalla loro sensibilità. Dicono spesso di sapere, ma la loro è solo superficiale informazione.

A chi non è capitato, conversando, d’incappare in termini o, addirittura frasi complete in lingua francese od inglese? Chi usa tali espressioni è convinto di offrire l’immagine dell’uomo di mondo, ma le espressioni straniere hanno senso solo se infungibili, o provenienti da persone con una lunga dimestichezza col paese della loro origine. E’ bene ricordare che le parole sono uno strumento nobile e potente quando usate con padronanza, senza la quale sono solo aria, appena riscaldata dalla laringe. Vantare viaggi, oggetti, esperienze, contatti, amori, il tutto ad imitazione della stampa patinata e della televisione, cioè del nulla basato sul nulla, dello zero moltiplicato per zero, questa è l’affettazione in cui cade più frequentemente chi non ha braccia forti abbastanza da reggere il peso della virtù. Rientrano nell’affettazione tutti gli atteggiamenti destinati ad attirare attenzione o consenso quando copiati e non intimamente sentiti, lungamente maturati o legittimamente ereditati.


Molti polli, non comprendendo che resteranno comunque in un pollaio, pensano di emergere indossando penne di pavone. Tra queste vi sono alcuni divertimenti che l’affettato si impone senza partecipazione. La nostra invidiata e decisamente invidiabile popolazione ama tradizionalmente numerosi sport: il nuoto, lo sci, l’atletica leggera, la scherma, il pugilato, la lotta e tra tanti altri uno su tutti, il calcio. In realtà questo è un gioco, non uno sport, differenza poco nota quanto semplice. Giochi sono quelli con la palla, sport quelli senza. Ebbene, vi sono sempre più persone che s’impongono di giocare a golf ed oggi al polo. Non si può non nutrire qualche dubbio sul reale gradimento di tali passatempi da parte di chi per tutta una vita è andato alla stadio a vedere partite di pallone e, d’un tratto, ha nel proprio portafogli la tessera d’un circolo che ama immaginare esclusivo. Discorso similare si potrebbe fare per un gioco di società che qualche anno fa aveva improvvisamente trovato sempre più adepti fuor dalla sua patria d’origine: il bridge. Moltissimi vi si lanciarono, abbandonando giochi più squisitamente maschili come gli scacchi ed il biliardo. Il fatto che sia stato sostituito da un passatempo ottuso come il Burraco la dice tutta sulla sincerità di quell’infatuazione. Perplessità suscita anche l’improvvisa passione per la Coppa America. Nel periodo in cui si disputa, abbondano i discorsi farciti di nomi di barche, d’equipaggi, di pronostici e classifiche. La maggioranza di tali esperti dell’ultima ora avrebbe difficoltà anche ad individuare la direzione del vento, o a mettere a segno la vela più semplice. Quanto meglio sarebbe per costoro se, invece di sforzarsi ad esser competenti di qualcosa per cui non provano un naturale interesse, provassero pazientemente a scalare la montagna dell’eleganza partendo dai piedi del monte. Essi, invece, ripetono pappagallescamente l’esteriorità di chi vedono in vetta o peggio di coloro i quali, pur essendo stati sulla sommità, son precipitati dal versante opposto a quello dal quale son saliti: la china della mollezza.

Disgraziatissime sono poi le pose di cortesia con chi non si sopporta. L’ipocrisia è la prima via d’uscita dalla virtù, il resto si raccoglie lungo la stessa discesa. Il vir sa che oltre agli amici ed alleati esistono anche nemici ed avversari, coi quali ogni condiscendenza è indice di debolezza morale. Quanto meglio sarebbe, dovendo relazionarsi a persona con cui si è in disaccordo per opinioni, storia personale o stile di vita, limitarsi al semplice ed elegante "lei" ed a poche distaccate parole. Chi cerca nelle varie forme di affettazione un’elevazione sociale, trova unicamente la palude dell’insipienza o il campo minato del ridicolo.

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