Egregio
Gran Maestro
È sempre
un piacere avere la possibilità di scriverLe su questo, superbo sito che
permette di dialogare, discutere ed
apprendere non unicamente i fondamenti dell’abbigliamento e dell’eleganza
maschile, ma da l’occasione di comunicare e conoscere le basi del buon gusto,
del bello e il senso ben vivere che dovrebbero costituire i tratti della nostra
civiltà. Concetti come classico, tradizione e ad armonia sembrano ormai lontani
ed appannaggio di minoranze di persone che si ostinano a coltivarli. Rifletto a
volte sulla poesia che Pasolini fa dire
nell’episodio “La ricotta” del film RoGoPaG, a un regista impersonato da Orson
Welles:
"Io sono una forza del
Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più".
Mai come in questi versi si può cogliere in modo
consapevole e disperato il sentirsi estraneo ad un presente sempre più
omologato e a un futuro che è sempre più un deserto culturale. Di
fronte all'accelerazione artificiale della nuova società industriale che vuol
distruggere il passato per instaurare solo il presente, oppone la nostalgia del
sacro, degli antichi valori, il rimpianto del passato non basta più. Credo che solamente una
rivoluzione potrà salvare la tradizione, al di la delle affermazioni retoriche
di amore per il passato fatte dai più (sui vari mezzi di informazione di massa)
e che sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque, nel migliore dei casi,
tale amore è decorativo, o 'monumentale', come diceva Schopenhauer, non certo
storicistico, cioè reale e capace di nuova storia.
In
questo senso discutere, parlare, proporre modelli di stile, del corretto
abbigliamento o anche riflettere su cosa sia il Dandy è sommamente
rivoluzionario, in un mondo che dell’effimero, dell’usa e getta e
dell’omologazione ha la sua cifra distintiva.
Questo Pamphlet contro la condizione postmoderna, non vuole ridursi ad
un semplice amarcord o ad una sterile critica contro il cattivo gusto
imperante, contro la diseducazione al bello nella moda, nelle arti e nella vita
in genere, vuole essere sia un punto di partenza personale verso una
assimilazione della “teoria” e dei fondamenti dell’abbigliamento maschile per
poi approdare al proprio stile ed ad un eleganza, e sia una condivisone di alcune
riflessioni su quella che è lo stato attuale della condizione postmoderna
come l’aveva definita Francois Lyotard. Credo che
tutte le discussioni stimolate da Lei e dagli autorevoli cavalieri membri
dell’ordine contribuiscono a dare centralità della dimensione
del soggetto per ridar senso e valore alla modernità, in modo che l’individuo
s'inserisca in rapporti sociali senza però identificarsi completamente con
alcun gruppo; a differenza di come purtroppo la massificazione degli stili e
del pensiero impone. Dovremmo arrivare In quest'ottica, come teorizzava il
sociologo francese Touraine, ad una società che è moderna in senso positivo,
non è una società che fa tabula rasa del passato e delle credenze, ma
quella che trasforma l'antico in moderno senza distruggerlo.
Ricollegandomi
al discorso di prima, per tradizione intendo la grande tradizione: la storia
degli stili. Per amare questa tradizione occorre un grande amore per la vita.
La piccola borghesia dedita al consumo non ama la vita: la possiede. E' ciò implica
cinismo, volgarità, penso che nel fatto stesso di essere critici e
rivoluzionari, implichi amore per la vita, e, con questo, la revisione
rigenerante, energica, amorosa della storia dell'uomo, del suo passato.
Noi
ci troviamo alle origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca
della storia dell'uomo: l'epoca dell'alienazione industriale. Il neocapitalismo
illuminato e socialdemocratico, in realtà più duro e feroce che mai. A questo
negli ultimi 30-40 anni si è aggiunto un capitalismo finanziario che dilagando
in tutto il pianeta ha distrutto quasi definitivamente quel mondo classico e
l’umanesimo che contraddistingueva la nostra storia e la nostra civiltà. Ad
esso ha sostituito il dominio della tecnica e della produzione anche nella pittura,
nel cinema e nelle arti in genere, basta guardare allo stato di liquefazione
dell’architettura, del design e della moda, dove ad una pratica della teoria si
sono sostituiti tanti pensieri individuali prodotti del sistema. In tal senso
l’Ordine si pone a difesa dell’idea di modernità, intesa come progresso umano,
della storia come un emancipazione nella quale l’uomo realizza e arricchisce le
proprie facoltà, il che implica la perfettibilità sia dell’individuo che della
collettività politica e dell’umanità. Un mondo in cui queste tre entità si
affermano attraverso la cultura, il lavoro , l’arte, la scienza e la tecnica,
in sostanza un mondo in cui l’uomo ha fede in se stesso, crea ed è protagonista
di una civiltà nuova e più avanzata della precedente, un modello di vita ed
azione. Il sistema postmoderno nega tutto questo, nega tutti i valori ultimi
che possano legittimare orientamenti della società o comportamenti alla vita
umana ed alla società, il risultato è lo svuotamento della socializzazione,
perdita di fondamenti stabili e perdita di credibilità nell’individuo e
frammentazione dell’identità. Basta guardarsi attornio per osservare torme di
individui tutti presi a digitare qualcosa sullo smartphone all’ultima moda, con
auricolari con e senza filo nelle orecchie, chiusi nella loro individualità e
sempre più incapaci a comunicare, schiavi della risposta immediata di presunte
applicazioni che dovrebbero aiutare a socializzare, ma che in realtà non fanno
altro che isolare gli uni dagli altri. Uomini e donne vestiti in modo
improbabile, che utilizzano bermuda per muoversi nel mondo come se fossero in
spiaggia, uomini che mostrano polpacci e
pedalini o che ai piedi hanno orridi sandali e infradito, donne per cui vale la
pena di riprendere la frase di Coco Chanel «è terribile vedere quelle
ginocchia!». Giovani maschi e femmine che vagano per le nostre città in tuta
ginnica o pantaloncini da basket. La tecnologia al posto di liberare
l’individuo, di dargli nuove possibilità di crescere, l’ha reso schiavo tute
questi “social” (orrendo inglesismo) hanno di fatto realizzato quello che il
filosofo Guy Debord teorizzava alla fine
degli anni “60”, tutta la società è un
immensa accumulazione di spettacolo, la vita degli individui è un flusso di
immagini mercificate dalla vita moderna e reificata dalle immagini stesse; va
seguito l’imperativo per cui l’importante è apparire. Apparire in migliaia di
foto inutili messe in rete, basta vedere le migliaia di bulimici turisti che
soffocano le nostre città, e che fotografano tutto, ma che in realtà, tranne
una sparuta minoranza, non capisce realmente nulla di quello che vede; quei
ruderi antichi di cui parlava la poesia di Pasolini a quante persone dicono
ancora qualcosa? Quel mondo classico rappresentato dai resti antichi, dalle
chiese e dai borghi dimenticati riesce a comunicare qualcosa all’uomo
postmoderno che consuma e brucia mode e falsi stili? fortunatamente esistono
ancora persone a cui quel passato parla e racconta cose, sto pensando a tutti
coloro che si occupano dell’artigianato di altissima qualità che rifiuta i
capitali stranieri e rifugge dalla logica del marketing come Marinella, ma che
nello stesso tempo ha portato all’estero il proprio prodotto senza snaturalo:
il vero made in Italy. Forse è da questo
che dobbiamo ripartire per tentare di cambiare, e forse i momenti sono quelli
giusti per rivoluzionare il paradigma per cui
un
se l’abito deve mostrare di essere firmato ed essere alla moda. Non importa se
i colori sono orrendi (basta che siano alla moda), se il materiale è scadente,
ma il prezzo altissimo (vuol dire essere alla moda), se le scarpe fanno
apparire il piede più lungo, o se la camicia ha un colletto che tra pochi mesi sarà
giudicato dalla collettività ridicolo, esso è alla moda. Bisogna attrarre
l’attenzione con l’esagerazione ed il cattivo gusto fare spettacolo mostrando
tatuaggi e scritte che istoriano il corpo.
Credo
che chi vuole vestirsi da uomo deve
sapere che attirerà sempre l’attenzione della massa, e che ottemperare al
precetto di Lord Brummell richiederà uno sforzo ancora più grande per risultare
coerente con se stesso. Quale? Padroneggiare modi, l’educazione, l’eloquio:
perché l’eleganza nasce da dentro. Prima
di congedarmi e porgerLe i saluti e ossequi per l’opera di divulgazione del
buon gusto svolta da Lei e dagli altri cavalieri, volevo sottoporle un dubbio
(che per i molti abituati alle scarpe alla “moda” sembrerà assurdo) in merito alle calzature.
Ho
acquistato con soddisfazione il modello Chelsea Francesina di Edward Green, ora
voglio continuare ad ampliare e costruire la mia scarpiera acquistando delle half
brogue e quarter brogue. Per quanto riguarda le prime sono indeciso tra il
modello Kensington o Stockton di Tricker’s, il modello Wilfred di Cheaney c’è
anche il modello Cadogan di Edward Green ma volevo per l’occasione acquistare
altri marchi storici dell’artigianato inglese. Per le quarter brogue sono
indeciso tra il modello Berkeley di Edward Green e le Nakagawa o le Charles
Cap-Toe full grain leather di George Cleverley, purtroppo per il marchio
Cleverley non ho trovato a Milano o dintorni nessuno che lo tratti, l’unico
modo per acquistarle sembra essere o andare a Londra o acquistarle on line da
Mrporter con i rischi della misura del numero che un acquisto on line comporta.
Mi rivolgo alla sua sapienza per valutare i miei dubbi su quale scarpa sia più
adatta