Oggetto: Scarpe inglesi

Massimo Simoniti

da Milano, giovedì 20 giugno 2019 alle ore 06:45:28


Egregio Gran Maestro


È sempre un piacere avere la possibilità di scriverLe su questo, superbo sito che permette di dialogare,  discutere ed apprendere non unicamente i fondamenti dell’abbigliamento e dell’eleganza maschile, ma da l’occasione di comunicare e conoscere le basi del buon gusto, del bello e il senso ben vivere che dovrebbero costituire i tratti della nostra civiltà. Concetti come classico, tradizione e ad armonia sembrano ormai lontani ed appannaggio di minoranze di persone che si ostinano a coltivarli. Rifletto a volte sulla poesia che Pasolini  fa dire nell’episodio “La ricotta” del film RoGoPaG, a un regista impersonato da Orson Welles:


"Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più".


Mai come in questi versi si può cogliere in modo consapevole e disperato il sentirsi estraneo ad un presente sempre più omologato e a un futuro che è sempre più un deserto culturale. Di fronte all'accelerazione artificiale della nuova società industriale che vuol distruggere il passato per instaurare solo il presente, oppone la nostalgia del sacro, degli antichi valori, il rimpianto del passato non basta più. Credo che solamente una rivoluzione potrà salvare la tradizione, al di la delle affermazioni retoriche di amore per il passato fatte dai più (sui vari mezzi di informazione di massa) e che sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque, nel migliore dei casi, tale amore è decorativo, o 'monumentale', come diceva Schopenhauer, non certo storicistico, cioè reale e capace di nuova storia.


In questo senso discutere, parlare, proporre modelli di stile, del corretto abbigliamento o anche riflettere su cosa sia il Dandy è sommamente rivoluzionario, in un mondo che dell’effimero, dell’usa e getta e dell’omologazione ha la sua cifra distintiva.  Questo Pamphlet contro la condizione postmoderna, non vuole ridursi ad un semplice amarcord o ad una sterile critica contro il cattivo gusto imperante, contro la diseducazione al bello nella moda, nelle arti e nella vita in genere, vuole essere sia un punto di partenza personale verso una assimilazione della “teoria” e dei fondamenti dell’abbigliamento maschile per poi approdare al proprio stile ed ad un eleganza, e sia una condivisone di alcune riflessioni su quella che è lo stato attuale della condizione postmoderna


come l’aveva definita Francois Lyotard. Credo che tutte le discussioni stimolate da Lei e dagli autorevoli cavalieri membri dell’ordine contribuiscono a dare centralità della dimensione del soggetto per ridar senso e valore alla modernità, in modo che l’individuo s'inserisca in rapporti sociali senza però identificarsi completamente con alcun gruppo; a differenza di come purtroppo la massificazione degli stili e del pensiero impone. Dovremmo arrivare In quest'ottica, come teorizzava il sociologo francese Touraine, ad una società che è moderna in senso positivo, non è una società che fa tabula rasa del passato e delle credenze, ma quella che trasforma l'antico in moderno senza distruggerlo.


Ricollegandomi al discorso di prima, per tradizione intendo la grande tradizione: la storia degli stili. Per amare questa tradizione occorre un grande amore per la vita. La piccola borghesia dedita al consumo non ama la vita: la possiede. E' ciò implica cinismo, volgarità, penso che nel fatto stesso di essere critici e rivoluzionari, implichi amore per la vita, e, con questo, la revisione rigenerante, energica, amorosa della storia dell'uomo, del suo passato.


Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà probabilmente la più brutta epoca della storia dell'uomo: l'epoca dell'alienazione industriale. Il neocapitalismo illuminato e socialdemocratico, in realtà più duro e feroce che mai. A questo negli ultimi 30-40 anni si è aggiunto un capitalismo finanziario che dilagando in tutto il pianeta ha distrutto quasi definitivamente quel mondo classico e l’umanesimo che contraddistingueva la nostra storia e la nostra civiltà. Ad esso ha sostituito il dominio della tecnica e della produzione anche nella pittura, nel cinema e nelle arti in genere, basta guardare allo stato di liquefazione dell’architettura, del design e della moda, dove ad una pratica della teoria si sono sostituiti tanti pensieri individuali prodotti del sistema. In tal senso l’Ordine si pone a difesa dell’idea di modernità, intesa come progresso umano, della storia come un emancipazione nella quale l’uomo realizza e arricchisce le proprie facoltà, il che implica la perfettibilità sia dell’individuo che della collettività politica e dell’umanità. Un mondo in cui queste tre entità si affermano attraverso la cultura, il lavoro , l’arte, la scienza e la tecnica, in sostanza un mondo in cui l’uomo ha fede in se stesso, crea ed è protagonista di una civiltà nuova e più avanzata della precedente, un modello di vita ed azione. Il sistema postmoderno nega tutto questo, nega tutti i valori ultimi che possano legittimare orientamenti della società o comportamenti alla vita umana ed alla società, il risultato è lo svuotamento della socializzazione, perdita di fondamenti stabili e perdita di credibilità nell’individuo e frammentazione dell’identità. Basta guardarsi attornio per osservare torme di individui tutti presi a digitare qualcosa sullo smartphone all’ultima moda, con auricolari con e senza filo nelle orecchie, chiusi nella loro individualità e sempre più incapaci a comunicare, schiavi della risposta immediata di presunte applicazioni che dovrebbero aiutare a socializzare, ma che in realtà non fanno altro che isolare gli uni dagli altri. Uomini e donne vestiti in modo improbabile, che utilizzano bermuda per muoversi nel mondo come se fossero in spiaggia,  uomini che mostrano polpacci e pedalini o che ai piedi hanno orridi sandali e infradito, donne per cui vale la pena di riprendere la frase di Coco Chanel «è terribile vedere quelle ginocchia!». Giovani maschi e femmine che vagano per le nostre città in tuta ginnica o pantaloncini da basket. La tecnologia al posto di liberare l’individuo, di dargli nuove possibilità di crescere, l’ha reso schiavo tute questi “social” (orrendo inglesismo) hanno di fatto realizzato quello che il filosofo  Guy Debord teorizzava alla fine degli anni “60”,  tutta la società è un immensa accumulazione di spettacolo, la vita degli individui è un flusso di immagini mercificate dalla vita moderna e reificata dalle immagini stesse; va seguito l’imperativo per cui l’importante è apparire. Apparire in migliaia di foto inutili messe in rete, basta vedere le migliaia di bulimici turisti che soffocano le nostre città, e che fotografano tutto, ma che in realtà, tranne una sparuta minoranza, non capisce realmente nulla di quello che vede; quei ruderi antichi di cui parlava la poesia di Pasolini a quante persone dicono ancora qualcosa? Quel mondo classico rappresentato dai resti antichi, dalle chiese e dai borghi dimenticati riesce a comunicare qualcosa all’uomo postmoderno che consuma e brucia mode e falsi stili? fortunatamente esistono ancora persone a cui quel passato parla e racconta cose, sto pensando a tutti coloro che si occupano dell’artigianato di altissima qualità che rifiuta i capitali stranieri e rifugge dalla logica del marketing come Marinella, ma che nello stesso tempo ha portato all’estero il proprio prodotto senza snaturalo: il vero made in Italy.  Forse è da questo che dobbiamo ripartire per tentare di cambiare, e forse i momenti sono quelli giusti per rivoluzionare il paradigma per cui


un se l’abito deve mostrare di essere firmato ed essere alla moda. Non importa se i colori sono orrendi (basta che siano alla moda), se il materiale è scadente, ma il prezzo altissimo (vuol dire essere alla moda), se le scarpe fanno apparire il piede più lungo, o se la camicia ha un colletto che tra pochi mesi sarà giudicato dalla collettività ridicolo, esso è alla moda. Bisogna attrarre l’attenzione con l’esagerazione ed il cattivo gusto fare spettacolo mostrando tatuaggi e scritte che istoriano il corpo.


Credo  che chi vuole vestirsi da uomo deve sapere che attirerà sempre l’attenzione della massa, e che ottemperare al precetto di Lord Brummell richiederà uno sforzo ancora più grande per risultare coerente con se stesso. Quale? Padroneggiare modi, l’educazione, l’eloquio: perché l’eleganza nasce da dentro.  Prima di congedarmi e porgerLe i saluti e ossequi per l’opera di divulgazione del buon gusto svolta da Lei e dagli altri cavalieri, volevo sottoporle un dubbio (che per i molti abituati alle scarpe alla “moda” sembrerà assurdo)  in merito alle calzature.


Ho acquistato con soddisfazione il modello Chelsea Francesina di Edward Green, ora voglio continuare ad ampliare e costruire la mia scarpiera acquistando delle half brogue e quarter brogue. Per quanto riguarda le prime sono indeciso tra il modello Kensington o Stockton di Tricker’s, il modello Wilfred di Cheaney c’è anche il modello Cadogan di Edward Green ma volevo per l’occasione acquistare altri marchi storici dell’artigianato inglese. Per le quarter brogue sono indeciso tra il modello Berkeley di Edward Green e le Nakagawa o le Charles Cap-Toe full grain leather di George Cleverley, purtroppo per il marchio Cleverley non ho trovato a Milano o dintorni nessuno che lo tratti, l’unico modo per acquistarle sembra essere o andare a Londra o acquistarle on line da Mrporter con i rischi della misura del numero che un acquisto on line comporta. Mi rivolgo alla sua sapienza per valutare i miei dubbi su quale scarpa sia più adatta


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Giancarlo Maresca

Egregio signor Simoniti,
gran parte della sua lettera è un'analisi dei tempi alla luce del rapporto del potere coi valori umani e la tradizione. Capisco i suoi sentimenti al riguardo perché ne condivido il fondamento, ovvero il senso di insoddisfazione per la direzione verso cui la cultura dominante sta conducendo il gregge di cui volenti o nolenti facciamo parte anche noi, sebbene in qualità di pecore nere. L'idea di base è che il bene corrisponda al progresso, concetto che comprende ed esalta ogni tipo di semplificazione dei problemi e delle cose. Il progresso toglie o riduce la fatica, i pericoli, la miseria, la malattia e la vecchiaia. Il suo scopo è salvaguardare la vita ad ogni costo, anche quello della libertà. Del resto la libertà è un ideale moderno, creato dal pensiero borghese europeo e sostenuto dal capitalismo fin quando gli ha fatto comodo, o forse fin quando il capitale è stato in mani occidentali. Ora che nel firmamento del denaro si sono accese altre galassie, le regole del gioco stanno cambiando. Il mondo è stato affidato al moralismo e alla scienza, la cui santa alleanza ha generato un circuito di obblighi e divieti così largamente condivisi che tutti hanno iniziato ad amare le catene come fossero una protezione. Il cuore del problema è che sono riusciti anche a spacciare l'aumento della facilità e quantità della vita, che si chiama progresso, come se fosse un aumento di qualità della vita. E' qui che non ci siamo, perché la qualità della vita ha nome civiltà. Tra progresso e civiltà c'è una fondamentale differenza: il primo si avvia solo se ogni suo meccanismo si muove, la seconda può avanzare solo se alcune parti restano fisse. Infatti essa non prescinde mai dalla libertà, dal senso del sacro, dal ruolo della bellezza nelle cose pubbliche e private, dall'importanza dell'individuo e da quella delle identità collettive.

Nell'ultimo capoverso propone una gamma di possibili scarpe, chiedendomi una mano nella scelta. Purtroppo non la conosco abbastanza, anzi in teoria non la conosco affatto. In pratica la sua missiva mi dice molto, ma non mi voglio basare su quanto so senza che mi sia stato espressamente detto. Farò dunque in questo modo: analizzerò i modelli e poi sarà lei stesso a decidere, magari con qualche dato in più,  quali facciano al suo caso. Peraltro lei mi scriveva più di un anno fa e nel frattempo avrà fatto acquisti. Non sarebbe certo un male, quel che spero è piuttosto che non abbia abiurato la fede estetica in favore della praticità.






I modelli Kensington e Stockton di Tricker’s (qui riprodotti nello stesso ordine) hanno sei coppie di buchi, una soluzione che rende difficoltoso pareggiare i lacci e quindi in linea generale esclude chi trovi difficoltà a lavorare chino, ovvero chi abbia una ragguardevole età o stazza. Entrambe   presentano proporzioni più che piacevoli è una notevole accollatura, dettaglio che contribuisce al loro tratto giovanile. La differenza tra i due modelli non si trova nella tomaia, ma nella forma. La Kensington ha la punta morbidamente squadrata, con un abbozzo di becco a scalpello, mentre la Stockton ha un puntale tondo che rende la calzatura più raccolta e anche leggermente più corta. In conclusione sono scarpe molto adatte a chi ama pantaloni dal fondo stretto, da diciannove centimetri in giù, perché l’accollatura a giro caviglia li valorizza e viceversa. Da preferire la Stockton se si vuole una pelle scamosciata, la Kensington se si cerca una scarpa d’effetto.


La Wilfred di Cheaney è costruita su una forma poco aggraziata, con un puntale triste come una tisana. La mancanza di un “punto vita”, che nella scarpa è importante quanto nella giacca, denuncia natali modesti. Insomma una “scarpa scuola” ottima per studenti e man mano da dimenticare dopo il liceo.




La Cadogan di Edward Green è la scarpa da uomo maturo, in tutti i sensi. Alta di collo, ampia di scollatura, larga di pianta pur contando su un punto vita netto, lascia al piede tutto il comfort e all’uomo un’immagine di controllo.




La Berkeley di Edward Green sembrano costruite sulla stessa forma della Cadogan. La quarter brogue è la scarpa più versatile del palinsesto maschile e questa rappresenta in pieno la categoria. Un centro perfetto.


La Nakagawa di Cleverley è un un modello che non lascerà il segno, per non dire un errore di percorso. Non trovo in essa alcun senso dell’equilibrio. Un prodotto per tipi fighi ansiosi di farsi notare come tali.


Di una pasta esattamente opposta è fatta la Charles di Cleverley, che nasconde l’estrema raffinatezza delle sue scelte invece di ostentare uno stile che non ha. Sebbene la scollatura molto ampia, la scarpa c’è tutta, anzi lo scarpino, perché la punta affilata e il tacco corto sono costruiti in modo da assottigliare, anzi alleggerire il piede.

Si faccia vivo,
nel frattempo cavallerescamente la saluto
Giancarlo Maresca

da Napoli, lunedì 3 agosto 2020 alle ore 11:44:27
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Massimo Simoniti


Spettabile Gran Maestro è con grande piacere che leggo i suoi commenti, nel frattempo ho acquistato il modello Cadogan di Edward Green. La praticità è effimera tanto quanto i suoi molti adepti, la fede estetica è un faro che ci guida. Stavo valutando l’acquisto di un paio di quarter brogue che nella scarpiera non dovrebbero mai mancare, perché permettono, in alcune occasioni, di alleggerire il formalismo di una Oxford cap toe a punta liscia. Dapprima ho studiato le quarter brogue Philip di John Lobb ma il broguering dell’impuntura sul gambetto non mi convince, successivamente ho scoperto il marchio Gaziano e Girling, che dovrebbe unire lo stile italiano con la manualità costruttiva inglese, con le Churchill che però mi sembrano meno decise rispetto a Edward Green. Anche su questo Le chiedo il suo illustre parere.


Cavallereschi Saluti

Massimo Simoniti


da Milano, martedì 25 agosto 2020 alle ore 02:55:52
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Giancarlo Maresca



Egregio signor Simoniti,
effettivamente il broguering al gambetto fa della Philip II di John Lobb una third brogue, più che una quarter brogue. Tale soluzione intermedia colloca il prodotto in una zona di interesse più limitato rispetto alla collaudatissima modellistica canonica, facendone una scelta per chi ha già una scarpiera completa e cerca le rifiniture. Quanto a Gaziano e Girling è una casa che va guardata con attenzione, perché insieme a tante edizioni creative di nessun peso classico realizza anche dei pezzi semplicemente belli, in cui la grinta tipica del marchio è incanalata al servizio e non in conflitto con la compostezza della tradizione. E' comunque la loro un'estetica fusion, che riunisce la linea italiana alla volumetria inglese e al cromatismo francesecome, come necessariamente avviene e avverrà per tutte le calzolerie artigiane e fabbriche di nascita postclassica. Non dimentichiamo che tutte le arti devono rispondere ai canoni di quella dominante, che ora è la cucina da ristorazione, in cui il criterio fusion è legge per chiunque non abbia alle spalle una tradizione già consolidata.



La Churchill di G&G è bella, ma non regge il paragone con la Berkeley di Edward Green per un dettaglio fondamentale. 


E' sempre vero che quell'impuntura a forma di naso che guarnisce il gambetto delle oxford (e anche qualche derby) di Edward Green è un po' melensa, ma salta anche all'occhio come la doppia impuntura alla tomaia e la smerlatura più grossa al puntale conferiscano a questo modello il vigore di una vera brogue, anche se quarter, cosa che manca alla delicata essenzialità della Churchill. 

Cavallereschi saluti
Giancarlo Maresca

da Napoli, domenica 30 agosto 2020 alle ore 20:06:49
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